Contrada del Corso, a sinistra il palazzo della famiglia Salem e lo slargo del mercato delle Pignate, in fondo piazza della Legna (piazza Goldoni). Foto Civici Musei di Storia ed Arte |
Piazza o piazzetta delle pignate o pignatte [2], questi sono i nomi riportati nei giornali del tempo di uno slargo che si trovava nella contrada del Corso (Corso Italia), dopo l'edificio d'angolo con via San Giovanni (dal 1922 via M.R.Imbriani), la denominazione, che non divenne mai ufficiale, era talmente nota da venir usata persino negli annunci pubblicitari come riferimento dei negozi situati in quella zona.
Un'inserzione pubblicitaria del tempo che cita la denominazione popolare della piazza delle Pignatte per indicare la posizione del deposito.
Collezione M. Salich
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La disposizione delle case creava uno spazio sul quale si teneva un mercato di terraglie piuttosto povero, dove venivano vendute a prezzi modesti: utensili da cucina, pentole di terracotta, terrine, catini, boccali, vasi di fiori e vasi da notte, la delicata merce veniva esposta su panchette (banchetti), ma soprattutto a terra su stuoie, paglia o fieno. Le pentole in terracotta erano molto diffuse, ma piuttosto fragili e per rinforzarle interveniva "el conzapignate" [1] rivestendole con un reticolo di ferro. Nel 1925 Riccardo Gurresch nella sua rubrica sul Piccolo "Vecchia Trieste" offre una descrizione molto dettagliata delle merci che venivano vendute in questo piccolo mercato, oltre a quanto detto si potevano trovare anche cucchiai di legno, mestole, taglieri, mortai (pestapevere), vari tipi di setacci, ma anche trappole per topi e gabbie adatte alle diverse specie di uccellini.
In questa vivace piazzola le donne erano esposte a tutte le intemperie, avevano degli ombrelli per ripararsi dal sole e dalla pioggia e nelle giornate più fredde potevano ristorarsi e trovare riparo nel vicino "Caffè Vesuvio", un locale particolare detto anche "Caffè dei fasoi", perché per rimediare ai magri introiti della giornata di notte serviva fagioli e salsicce ai nottambuli, che concludevano così la loro serata di bagordi.
Pare che il mercato sia continuato fino al 1872, il nome invece rimase fino al 1913 quando le case che corrispondono al numero 24 e 26 furono demolite per permettere la costruzione del palazzo realizzato su progetto dell'arch. E.Tureck e dell'ing. F. Bolaffio, che verrà eretto in linea con il palazzo Polacco. Per individuare la zona si può far riferimento all'unica casa tutt'oggi esistente al numero civico 26 (nella mappa al N°28) di Corso Italia, con il piccolo poggiolo al secondo piano, anche se l'ingresso ad arco è stato visibilmente modificato.
Alcune ordinanze sul commercio al minuto
Il commercio era sempre stato regolato da propri statuti, nel 1814 con il ritorno dell'Austria dopo le occupazioni napoleoniche, vennero emesse diverse nuove ordinanze per disciplinare il commercio al dettaglio e abolire abusi e disordini, anche per l'elevato numero di banchetti di vendita che si trovavano lungo le vie e nelle piazze, ad esempio per ottenere la concessione per vendere la mercanzia per la strada, fra le altre cose, era necessario dimostrare di avere i capitali sufficienti per intraprendere tale industria e di aver sempre mantenuto una buona condotta morale, nella giornata di domenica o altra festa di precetto, ad eccezione dei generi alimentari, nei mercati veniva vietata la vendita di qualsiasi genere, si invitava a moderare la voce quando veniva reclamizzata la propria merce, era d'obbligo lasciare pulito il sito occupato, i contravventori venivano puniti con pene pecuniarie.
[1] Conzapignate - Artigiano ambulante, solitamente proveniente dal carso, che riparava pentole e altri utensili da cucina che con il tempo si erano deteriorati. Si faceva sentire urlando lungo le strade "conzapignateee", portava con se gli strumenti di lavoro e dopo aver raccolto il materiale, lo accomodava al momento in strada o nei cortili, specializzato nelle pentole di terracotta oltre a rivestirle con una rete realizzata con il filo di ferro per rinforzarle, riparava eventuali s'ciopadùre (fessure o crepe) bloccandole con delle graffette metalliche, probabilmente oltre a queste aggiustava con lo stagno o con i ribattini, le pentole di rame, di ferro smaltato che compaiono nella seconda metà dell'800, quelle di alluminio che compaiono i primi anni del '900, le "caldiere" (caldaie) e quant'altro. Anche se per le pentole in metallo era preferibile la competenza e l'attrezzatura "del stagnin" o "stagna pignate".
Ernesto Kosovitz nel suo vocabolario del dialetto triestino del 1889, sotto la voce "conzapignate" riporta "sprangaio" NdR cioè: artigiano che accomodava oggetti di terraglia rotti, rimettendoli insieme con spranghette o punti di filo di ferro.
[2] pignatta s. f. (olla - pentola - marmitta) recipiente fornito di manici per cuocere i cibi l'etimologia del termine è incerta, probabilmente deriva da pigna, in latino pineata, per la somiglianza delle più antiche pentole o pignatte di terracotta, panciute e rastremate verso il basso con il coperchio a cono, con la forma della pigna.
Bibliografia:
Vecchia Trieste di Riccardo Gurresch (Piccolo, 21 luglio 1925)
Le insegne dell'Ospitalità di A.Seri - P.Covre - L.Grassi
Trieste che Passa di A. Leghissa
Trieste costumi e mestieri dai documenti dell'ottocento di Bianca Maria Favetta
Nuovo dizionario del dialetto triestino di Gianni Pinguentini
Vocabolario del dialetto triestino di Ernesto Kosovitz
[1] Conzapignate - Artigiano ambulante, solitamente proveniente dal carso, che riparava pentole e altri utensili da cucina che con il tempo si erano deteriorati. Si faceva sentire urlando lungo le strade "conzapignateee", portava con se gli strumenti di lavoro e dopo aver raccolto il materiale, lo accomodava al momento in strada o nei cortili, specializzato nelle pentole di terracotta oltre a rivestirle con una rete realizzata con il filo di ferro per rinforzarle, riparava eventuali s'ciopadùre (fessure o crepe) bloccandole con delle graffette metalliche, probabilmente oltre a queste aggiustava con lo stagno o con i ribattini, le pentole di rame, di ferro smaltato che compaiono nella seconda metà dell'800, quelle di alluminio che compaiono i primi anni del '900, le "caldiere" (caldaie) e quant'altro. Anche se per le pentole in metallo era preferibile la competenza e l'attrezzatura "del stagnin" o "stagna pignate".
Ernesto Kosovitz nel suo vocabolario del dialetto triestino del 1889, sotto la voce "conzapignate" riporta "sprangaio" NdR cioè: artigiano che accomodava oggetti di terraglia rotti, rimettendoli insieme con spranghette o punti di filo di ferro.
[2] pignatta s. f. (olla - pentola - marmitta) recipiente fornito di manici per cuocere i cibi l'etimologia del termine è incerta, probabilmente deriva da pigna, in latino pineata, per la somiglianza delle più antiche pentole o pignatte di terracotta, panciute e rastremate verso il basso con il coperchio a cono, con la forma della pigna.
Bibliografia:
Vecchia Trieste di Riccardo Gurresch (Piccolo, 21 luglio 1925)
Le insegne dell'Ospitalità di A.Seri - P.Covre - L.Grassi
Trieste che Passa di A. Leghissa
Trieste costumi e mestieri dai documenti dell'ottocento di Bianca Maria Favetta
Nuovo dizionario del dialetto triestino di Gianni Pinguentini
Vocabolario del dialetto triestino di Ernesto Kosovitz
Argomento interessantissimo, complimenti...
RispondiEliminaMolte grazie, mi fa piacere che abbia gradito questo argomento.
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