martedì 24 novembre 2015

"El Mandrier" di via Cisternone




Sulla facciata di una delle ultime case, precisamente al n 78 di via del Cisternone, c'è una nicchia con il mezzo busto di un "mandrier", che sembra osservare la strada. Probabilmente realizzato in gesso, in origine era dipinto: aveva la giacca nera, il papillon ed in testa il caratteristico "caregon", l'abbigliamento tipico del "mandrier"; oggi risulta piuttosto deteriorato.
Il proprietario di questa casa, signor Skerl, è deceduto da tempo, per cui sull'origine del busto dobbiamo far affidamento ai ricordi delle persone. Dalle notizie tratte dai libri dei rioni di F. Zubini si legge che il busto sarebbe originario di Scorcola e dovrebbe provenire dal fondo Krausenek.  Le opinioni dei vicini sono diverse: uno afferma di aver appreso dal proprietario che il busto sarebbe il frutto di una ruberia fatta dai ragazzi della zona ai danni dei coetanei servolani, un altro vicino riporta che il proprietario gli avrebbe rivelato che sarebbe stato ritrovato da suo padre in un edificio, mentre si stavano eseguendo lavori di ristrutturazione.
Noi siamo abituati a vederlo come muto scrutatore e speriamo che possa rimanere tale ancora a lungo, in quanto tutt'ora l'edificio è in attesa di nuovi proprietari.
Leggo sul quotidiano "Il Piccolo" del 13 ottobre del 2005 un simpatico aneddoto riguardo questo busto: un medico pediatra chiamato per una visita serale a domicilio spiegava alla famiglia che, avendo avuto delle difficoltà a rintracciare l'edificio corrispondente all'indirizzo, aveva chiesto indicazioni ad un tizio affacciato ad una finestra lì vicino, il quale però non aveva voluto fornire informazioni. Come avrete intuito, nel buio non si era accorto di essersi rivolto al busto del "mandrier".


La casa di via Cisternone con il busto nella nicchia
                                    
 Nel 1912 a questa via fu attribuito il nome di "Cisternone", per la presenza di un grande serbatoio d'acqua che veniva convogliata dall'acquedotto di Aurisina sulla rete idrica cittadina. Questa cisterna venne costruita nella seconda metà del secolo scorso dalla Società "Acquedotto di Aurisina" per destinarlo ad uso della stazione ferroviaria.

Vie e Piazze di Trieste Moderna di Antonio Trampus

martedì 10 novembre 2015

Fontana del Nettuno



L'acquedotto

La Cesarea Regia Commissione alle Fabbriche (K.K. Baucommission), istituita da Maria Teresa nel 1749 per la realizzazione e direzione dei suoi progetti edilizi e portuari, aveva costruito l'acquedotto con i proventi del dazio sul pesce. La conduttura aveva inizio a San Giovanni (a quota96), dove tutt'ora esiste la costruzione del capofonte, seguiva la vallata di San Giovanni e le pendici del colle del Farneto, infine, scendendo lungo la via dell'acquedotto, arrivava in piazza San Giovanni.

La costruzione delle fontane

Per le necessità della città venne deliberato che avesse tre sbocchi pubblici: nell'antica piazza Grande ed in altre due piazze principali e che per ognuno di questi venisse costruita una fontana ornamentale in pietra bianca. Mentre l'acquedotto era stato realizzato dallo stato, l'onere della costruzione delle fontane avrebbe dovuto essere sostenuto dal comune, ma questo, oberato di spese, riuscì a far rientrare gli importi delle fontane del Nettuno e di piazza Ponterosso nella cifra complessiva dell'acquedotto, impegnandosi solo per le spese relative alla fontana dei Continenti. Le tre fontane furono commissionate a Giovanni Mazzoleni [1] che per l'esecuzione scelse la collaborazione di tre "scalpellini di fino" Giovanni Venturini, Giuseppe Grassi e Giambattista Pozzo. 
Il primo tenente di artiglieria, ingegnere Giovanni Corrado de Gerhard, direttore della Commissione alle Fabbriche stese nel marzo 1755 un accordo per la costruzione della fontana vicino al Canal Piccolo. Il contratto, approvato dal comandante militare conte de Hamilton, prevedeva dettagli, misure e la qualità del marmo di detta fontana; precisò che il Nettuno doveva essere affiancato da tre cavalli dalle bocche dei quali doveva uscire l'acqua, fra il resto dovevano venir realizzati dei bacini più piccoli per poter abbeverare il bestiame. Il lavoro doveva essere concluso in sei mesi, ma dai documenti risulta che il 7 dicembre l'autorità sollecitò il compimento dell'opera. Finalmente conclusa la fontana viene posta nell'allora piazza della Dogana[2], chiamata così perché l'unico edificio esistente, posto dove oggi sorge il Palazzo del Tergesteo, era quello della Dogana (1750-1754). Il sito era ancora extraurbano e si apriva direttamente sul mare tramite il Canal Piccolo, che verrà interrato per la costruzione del palazzo della Borsa (arch. Antonio Mollari 1802-1806).

Due viste su piazza della Borsa con la fontana del Nettuno.
Nella seconda immagine si nota che all'interno della vasca della fontana erano poste delle barre in metallo su cui appoggiare i secchi ed altri recipienti per attingere l'acqua.

Lo smantellamento

Ancora nel 1887 la fontana veniva usata dalle donne del borgo per lavare i panni. Con pretesti inconsistenti il 9 giugno 1920 la fontana venne tolta e riposta nei depositi comunali.
Pochi mesi dopo il Comune si trovò nella necessità di liberare parte del materiale conservato nei magazzini Comunali di viale Miramare 63, per la valutazione delle opere e delle pietre, il 23 settembre 1920, fu inviata una commissione della quale faceva parte il direttore del museo di Storia e Arte dott. Sticotti, lo scrittore e storico Francesco Babudri con dei maestri scalpellini e il fotografo Pietro Opiglia, nella relazione che stilarono, fra le altre cose, venne suggerito di collocare sul manto erboso che circondava il Museo di Storia Patria e del Risorgimento di villa Basevi [3], sia il Nettuno che la statua di bronzo allegoria di "Trieste" (del Monumento della dedizione di Trieste all'Austria), utilizzando uno zoccolo già presente nel deposito, per cui era prevista una modesta spesa relativa al solo costo del trasporto delle opere. Probabilmente non se ne fece nulla, dal momento che O. De Incontrera nel 1939 sulla Porta Orientale, scrisse che la fontana era ancora presente nel medesimo fondo comunale ed auspicava di poterla rivedere al più presto in qualche piazza della città, suggerendo di collocarla nello spiazzo simmetricamente opposto alla gemella fontana con il puttino in piazza del Ponterosso, area che doveva essere liberata dal mercato. La stessa proposta era stata espressa da Giulio Cesari, dieci anni prima (nella Rivista mensile della città di Trieste) ed era pure il primo progetto della piazza Ponterosso, quando questa si stava delineando nel nascente Borgo Teresiano, tanto che la sua prima denominazione nel 1764 fu "Piazza delle due Fontane", poi per motivi economici non venne realizzato.






1920 smantellamento della fontana del Nettuno, che verrà trasportata nei depositi comunali.


Piazza della Borsa dopo la rimozione della fontana del Nettuno


Il trasferimento in piazza Venezia

Trentuno anni più tardi si chiese allo scultore Nino Spagnoli di realizzare un restauro dell'opera, rivelatosi poi molto complesso avendo da ricostruire diverse parti della scultura, per porla in piazza Venezia, nel punto dove in precedenza sorgeva il monumento di Ferdinando Massimiliano, rimosso per motivi politici nel 1920. 
In occasione del restauro il comune fece stilare da Baccio Ziliotto un'epigrafe che venne scolpita sulla vasca, per fissare brevemente la storia della risorta fontana.


QUEST'OPERA 
DI GIOVANNI MAZZOLENI DA BERGAMO
DECORO' DAL MDCCLV AL MCMXX
PIAZZA DELLA BORSA
E QUI PER CURA DEL COMUNE
NEL MCMLI RISORSE


L'iscrizione di Baccio Ziliotto scolpita sulla vasca nel 1951 riassume la movimentata vita della fontana.
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La fontana inaugurata il 30 giugno 1951 alla presenza del sindaco Gianni Bartoli e il professor Silvio Rutteri, al tempo direttore dei Musei di Storia e arte, venne collocata al centro del piccolo giardino ornato da panchine, diversi alberi, cespugli e fiori.


Piazza Venezia in una foto degli anni '50 con la fontana al centro del giardino circondata da piante e alberi.


La fontana in piazza Venezia dopo la ristrutturazione dello scultore Nino Spagnoli
foto S.Sergas

La collocazione attuale

Quando nel 1999 il Comune pensò alla riqualificazione delle maggiori piazze della città, venne bandito un concorso, che fu vinto dal gruppo di architetti Bernard Huet (1932-2001), Gaetano Ceschia e Federico Mentil i quali pensarono ad un lungo percorso pedonale che collegasse  piazza Unità a piazza della Borsa e, attraverso via Cassa di Risparmio, a piazza Ponterosso, con una fascia pavimentata con i vecchi masegni originali, assieme ad una nuova pavimentazione in pietra arenaria fiammata e pietra d'Istria chiara. Venne inoltre proposto il ritorno della fontana del Nettuno nella sua collocazione originaria. I lavori furono conclusi nel 2010 e l'inaugurazione della piazza si ebbe l'anno successivo.



Riposizionamento della fontana in piazza della Borsa, scatto realizzato da Sergio Sergas nel luglio 2010 


Nettuno Dio del mare, di tutte le acque e dei naviganti, si erge su una conchiglia posta al centro della vasca, viene rappresentato con una fluente barba, la mano sinistra impugna il tridente simbolo della divinità, mentre la destra si appoggia su un doppio riccio di gusto barocco raffigurante un'onda spumeggiante, alla base ai piedi tre cavalli, animali sacri alla divinità, dalla bocca dei quali sgorga l'acqua.









[1] Giovanni Battista Mazzoleni Zogno, 22 ottobre 1699 – Zogno, 10 novembre 1769 (Bergamo), visse nella nostra città dal 1750 al 1768.

[2] Piazza della Borsa.
Lo spiazzo che venne a formarsi all'inizio del ’700 dal progressivo interramento delle saline prospicienti alle mura civiche, venne battezzato nel 1749  Piazza del Canal Piccolo o della Portizza, con la costruzione dell' edificio Doganale (sostituito poi dal Palazzo Tergesteo) dal 1754 prese il nome di Piazza della Dogana, dopo il 1791 in seguito al trasferimento della Dogana cambiò denominazione in Piazza della Dogana Vecchia, nel 1802 con la costruzione del palazzo neoclassico di Antonio Mollari assunse il toponimo di Piazza della Borsa, dal 1939 al 1944 la piazza venne intitolata a Costanzo Ciano, dopo il '44 fu ripristinato il precedente toponimo. 

[3]  Museo di storia patria e del Risorgimento 
Giuseppe Basevi aveva fatto costruire una villa in via Besenghi 2 in una posizione dominante per godere del verde del Bosco Pontini e nel contempo poter ammirare la città.
La villa non era ancora completata quando Basevi pensò che poteva essere trasformata in un museo che rievocasse il passato storico e artistico della città, a tale scopo volle offrire l'edificio al Comune, l'atto di donazione venne stilato il 15 marzo 1901, G. Basevi morì il 1907  senza vedere realizzato il suo proposito.
La costruzione venne adattata a questa nuova sistemazione, vennero trasferite le opere dal palazzo Bisentini, arrivarono le prime collezioni e nel 1911 il salone fu aperto solo alle visite scolastiche,  il Museo di Storia Patria e del Risorgimento, fu solennemente inaugurato dal sindaco Giorgio Pitacco, il 20 dicembre 1925. 
Nove anni dopo, le collezioni risorgimentali confluirono nel Civico Museo del Risorgimento nella Casa del Combattente appositamente costruita.
Dieci anni più tardi Villa Basevi fu gravemente danneggiata da una bomba caduta nelle vicinanze, le collezioni del Civico Museo di Storia Patria furono trasferite nel palazzo Morpurgo in via Imbriani 5.  La villa Basevi lasciata andare in rovina e fu demolita nel 1961.

[4]  Baccio Ziliotto
Nato a Trieste il 10 gennaio 1880, figlio di Enrico Ziliotto, di antica famiglia vicentino-padovana, e della triestina Emma Macerata, studia nella scuola elementare fino al 1891 e poi nel Ginnasio comunale superiore.
Nel 1899 si iscrive all’Università di Vienna e successivamente all’Università di Graz, dal 1900 al 1903, quando consegue l’abilitazione all’insegnamento delle lingue classiche e dell’italiano.
Inizia la sua carriera di insegnante presso il Ginnasio italiano di Pisino, donde passa al Ginnasio comunale superiore “Dante Alighieri” di Trieste, istituto del quale sarà preside dal 1913 al 1938, allorché è costretto a lasciare la sua scuola per la posizione antiebraica assunta dal governo fascista.
Segue un periodo di isolamento; e sarà la Lega Nazionale a reinserirlo nella vita pubblica nominandolo presidente (primo del secondo dopoguerra) e a dedicargli una lapide nel quarantesimo anniversario della sua rifondazione.
Per tre anni (1915-1918 ) viene internato nei campi d’internamento austriaci.
Presidente della Società di Minerva e per tredici anni dell’Università Popolare di Trieste, svolge conferenze di musicologia, storia dell’arte italiana, cultura italiana e della Regione Giulia, storia dell’Umanesimo triestino e istriano e del Settecento giuliano.
Collabora alle riviste “Pagine istriane”, “La Porta Orientale”, “Archeografo Triestino”, “Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria”, “Giornale Storico della Letteratura Italiana”.
Tra le sue molte opere sono da citare la monografia su Capodistria (1910); La cultura letteraria a Trieste e nell’Istria. Parte prima (e unica): Dall’antichità all’Umanesimo (1913); Storia letteraria di Trieste e dell’Istria (1924); Le lettere italiane nella Venezia Giulia (1945); Dante e la Venezia Giulia (1948); Dal confine austriaco, a cura della figlia Donatella (1980); e le edizioni della Rinaldeide di Alessandro Gavardo (1946) e dell’Istrias e dei Carmina di Raffaele Zovenzoni (1950).
Scompare nell’ottobre del 1961. (Università Popolare Trieste)







Le foto pubblicate provengono da collezioni private
Bibliografia:
"Fontane a Trieste" F.De Vecchi - L.Resciniti - M. Vidulli Torlo
"Borgo Teresiano" "Borgo Giuseppino" Fabio Zubini
 "La fontana del Mazzoleni di Piazza Unità"  di Oscar Incontrera in La Porta Orientale - Trieste A. IX, n. 3-4/1939
"Le fontane di Trieste" di Giulio Cesari - Rivista Mensile della città di Trieste - febbraio 1929
"L'acquedotto Teresiano di Trieste" di Paolo Guglia.
"Trieste Itinerari" (Geo-Paleontologico) - 19 agosto 2014

lunedì 2 novembre 2015

San Giusto martire: 2 oppure 3 novembre?

Oggi siamo abituati a festeggiare San Giusto, patrono di Trieste, il 3 novembre.
Peraltro, così è scritto su ogni calendario ed agenda, e così sembrerebbe esser sempre stato... ma ne siamo sicuri?

In realtà, la decisione di festeggiare San Giusto il 3 novembre è cosa recente: la data "esatta", festeggiata fino a meno di un secolo fa, era il 2 novembre.

A ricordarcelo e confermarcelo, molti documenti storici, anche importanti... ad esempio, nel famoso Atto di accettazione della Donazione di Trieste, inviato dal Duca Leopoldo d'Austria al Dominio Tergestino del 30 settembre 1382 è scritto:

I cittadini di Trieste, i loro eredi e successori dovranno ogni anno nel giorno di San Giusto martire, il quale cade nel dì 2 di novembre, dare a Noi, ai nostri eredi e successori nella città di Trieste a titolo di censo annuo cento orne di vino Ribolla della migliore qualità che si potrà avere in quell'anno

E nell'"Acta Sanctorum Novembris". pubblicato nel 1887, la commemorazione di "S. Justus M. Tergesti" è riportata in "dies secunda":


Ed anche dai quotidiani triestini, fino al 1914 indubbiamente di desume che la festività cadeva il 2 novembre.

E allora?
Se nel 1382 cadeva il 2 novembre, ed altrettanto ancora nel 1914 ... quand'è che si è deciso di spostarlo al 3 novembre?
E per quale motivo?

Circola una spiegazione, che sa tanto di abborracciata scusa, che richiama presunte e non ben comprensibili "esigenze liturgiche": poiché il 2 novembre cade la commemorazione dei defunti, per evitarne la sovrapposizione la commemorazione di San Giusto sarebbe stata posticipata al giorno successivo...
A parte il fatto che non si comprende perché ad un certo punto questa sovrapposizione di date abbia cominciato a creare qualche problema, visto che è dall'anno di grazia 988 che ciò avveniva senza soverchi fastidi, basti osservare che il 2 novembre continuano ad essere solennemente festeggiati alcuni altri santi: ad esempio, Sant'Ambrogio Abate continua indefessamente ad esser festeggiato il 2 novembre, in barba a qualsiasi sovrapposizione...
Non solo: ma lo stesso San Giusto è patrono non solo di Trieste, ma anche di Albona-Labin; e qui viene solennemente festeggiato il 2 novembre.

Il motivo di questo altrimenti inspiegabile "spostamento" in realtà sembrerebbe essere del tutto politico: il 3 novembre 1918 era attraccata a Trieste la torpediniera Audace, ed il Regio Esercito italiano aveva occupato la città.
Si trattava della famosa "redenzione", tanto millantata e mitizzata, ma in realtà molto poco sentita dalla popolazione locale (che non tardò a soprannominare la torpediniera Audace "la maledetta barca").
Il governatore militare si trovò quindi nella necessità, già dall'anno successivo, di indurre i triestini - ormai "italiani ciapai col s'ciopo" - a festeggiare il 3 novembre, giorno della presunta "redenzione"... e quale miglior sotterfugio, se non quello di spostare inopinatamente il giorno della festività del patrono, tanto caro ai Triestini, facendolo coincidere così con l'anniversario dell'occupazione?
Detto, fatto: i Triestini si trovarono così, loro malgrado, a festeggiare il giorno della loro presunta "liberazione"...