venerdì 5 giugno 2015

El Melon e la Colonna dell'Aquila


Rappresentazione della piazza di Trieste nel 1765 dove, davanti alla chiesa di San Pietro, si può vedere la colonna con l'Aquila Imperiale.
Da "Passeggiata storica per Trieste" proprietà di A. Tribel - Carlo Lieger dis.


Il 4 aprile 1560 in piazza Grande, a quel tempo denominata piazza San Pietro [1], venne eretta in onore dell'imperatore Ferdinando I (1503-1564) che nel 1550 aveva promulgato la riforma degli Statuti Triestini, una colonna in pietra bianca sormontata da un'aquila imperiale dorata (o di marmo nero, per alcuni storici [2]), realizzata dallo scultore vicentino Francesco Graziani, denominata "la colonna dell'aquila". Le facce del capitello furono adornate con gli stemmi dell'Austria, di Trieste e del Capitano, dipinti da Giorgio Vincenti di Capodistria.
Il costo di quest'opera pesò considerevolmente sulle casse del Comune già gravate da debiti e altre spese, questo nonostante fosse stata probabilmente riutilizzata la colonna che nel 1508 nella stessa piazza aveva retto il leone di San Marco [3], anche l'iscrizione che, fra bassorilievi di scene d'armi, scudi ed emblemi, si trova su un lato del basamento, probabilmente non si discosta molto dalla precedente.



NUMINE SUB NOSTRO
FELICES VIVITE GENTES
ARBITRII VESTRI
QUIDQUID HABETIS ERIT
D.F.         I.R.

Sotto i nostri auspici vivete felici o cittadini e rimarrà quel che avete a vostra disposizione.



Su un altro lato della base, sotto un'immagine molto logorata si legge parzialmente la data in cui la colonna venne eretta "M.D.L.X." cioè 1560.
Foto Margherita Tauceri.

Nell'aprile del 1783, per evitare i frequenti allagamenti dovuti all'alta marea venne innalzato il livello del lastricato della piazza e in quell'occasione la colonna fu rimossa, riguardo a questo fatto Marco Pozzetto scrive [4] che nel 1782 il livornese Carlo Dini, direttore dell'Ufficio delle Fabbriche di Trieste, voleva che la colonna dell'aquila fosse tolta in quanto crepata in più punti e a rischio di crollo a causa del basamento sconnesso, inoltre in quella posizione ostacolava la rivista militare ed era opinione comune che fosse d'intralcio al transito dei carri e carrozze.
La colonna infatti venne tolta e dimenticata fino al 1843, dopo la sistemazione del piazzale della Cattedrale, che si presentava prima incolto e accidentato, qui fu posta su un nuovo piedistallo ottagonale con due ordini di gradini, l'aquila probabilmente si era persa durante qualche trasloco o rimossa all'epoca dell'occupazione francese assieme agli stemmi asburgici del capitello, sulla sommità venne posta una sfera di pietra con infissa la riproduzione del "Signum Sancti Sergi" [5], simbolo della città noto con il nome improprio di "alabarda" [6]; per questo motivo popolarmente venne definita "la colonna col melon", anche se la sfera in pietra non ha nulla a che vedere con l'acroterio della torre campanaria, simpatico emblema della nostra città.


  Il piazzale della Cattedrale in un'immagine di fine ottocento.
Il muro separa il piazzale da una proprietà privata, in fondo sopra al Bastione Rotondo si vede la "Casa del Capitano", parte del castello costruita fra gli anni 1468 - 1471 in origine formata da una casa fortificata affiancata da una torre, che dopo essere stata rimaneggiata e intonacata perse il suo aspetto originale per apparire come una comune abitazione, questo fino ai restauri degli anni '30 che coinvolsero tutta l'area del castello e riportarono questa struttura a una configurazione più simile a quella tardo medievale.
Foto da un'immagine stereoscopica CMSA modificata.


La colonna era un punto di aggregazione e unico ornamento del piazzale limitato dai muri che circondavano il vasto fondo con case, campagne e terreni alberati di proprietà di Davide Fischmann e di Giuseppe Popper, conosciuto anche come campagna Pillepich, nome dei precedenti proprietari. Sotto questa proprietà è nascosta la basilica romana che emergerà con gli scavi fatti alla fine degli anni '20.
Foto collezione Cosimo Sisto.


Sparite Aquile Imperiali e Alabarde l'unico emblema superstite del capitello è lo scudo del Capitano imperiale, il barone Antonio della Torre e Croce subentrato nel 1560 a Giovanni d'Hoyos.
Foto Sergio Sergas.


In quegli anni la piazza era più piccola di come la vediamo oggi, chiusa dai rustici muri che delimitavano i terreni alberati e le campagne vicine, rimase tale fino alla fine degli anni '20 quando il Comune acquistò i fondi per creare un maestoso parco per la collocazione del monumento ai Caduti della prima guerra, durante i lavori di scavo inaspettatamente emersero i resti della basilica civile romana. Per molti anni anche la cattedrale fu protagonista di un importante restauro che aveva l'obiettivo di ritrovare la struttura trecentesca, nel 1933 circa il piazzale della Cattedrale venne abbassato per riportarlo al livello medioevale e in quell'occasione fu necessario rialzare il piedistallo della colonna aggiungendo un gradino, portandone il totale a tre come li vediamo oggi.


A sinistra della Cattedrale la cappella di San Giovanni Battista, che fu battistero fino al 1861, con la facciata ancora nascosta dalla costruzione realizzata sull'antico portichetto per ricavare l'abitazione dei santési (sacrestani). Nella foto sotto: dopo i restauri del 1932 la facciata venne riportata alle forme del 1380, abbattendo le sovrastrutture ottocentesche, ricostruendo il portico con il soffitto a capriate e il pavimento in pietra.
Foto collezione Sergio Sergas.


I lavori che coinvolsero tutto il colle verso il 1933 arrivarono al sagrato e al piazzale che vennero abbassati di circa 50 centimetri per raggiungere il livello medievale, come si vede la colonna rimase sopraelevata rispetto al nuovo piano stradale, in questa occasione al piedistallo venne aggiunto un gradino.
foto collezione Sergio Sergas


Probabilmente per il passare del tempo e con i movimenti conseguenti ai lavori fatti nell'area attorno alla colonna "l'alabarda" s'inclinò, questo risulta abbastanza evidente nelle foto fatte dopo gli anni '50, un articolo de "Il Piccolo" del 4 settembre 1976 riporta la colonna con la sfera di pietra orfana dell'alabarda, che, dopo il dovuto restauro ritornò a occupare il suo posto non più sbilenca ma "fiera e impettita".






La colonna "del melon", sul capitello si vede uno stemma scalpellato e il foro lasciato da un altro,                                                                   probabilmente a incasso 
                                                              Foto Sergio Sergas.




L'acroterio medioevale in arenaria sormontato "dall'alabarda" era collocato all'apice dell'antica torre completata nel 1343, la decorazione a solchi verticali simili a spicchi ha fatto sì che venisse associato a un melone.
Foto collezione Sergio Sergas.

Il "melone" sormontato "dall'alabarda" è un altro degli emblemi della città, è un acroterio in pietra arenaria con 13 costolature simili a spicchi e proprio per questa caratteristica venne identificato con un melone, alto 1,13 metri, sull'anello posto alla strozzatura si trovava un'iscrizione in caratteri gotici in gran parte andata perduta: "JHS XPS REX VENIT IN PACE", in cui sono stati usati i cristogrammi, abbreviazioni molto diffuse nel periodo medioevale, con significato "Gesù Cristo re è venuto in pace". Oggi sono riconoscibili solo i caratteri segnati in neretto ed è probabile che fra le varie interpretazioni che ci sono pervenute questa sia la più attendibile; la frase è interrotta dopo "REX", presumibilmente da una data, e non ci sarebbe lo spazio per altre parole che vengono invece riportate da Ireneo della Croce "DEVS HOMO FACTUS EST" (Dio si è fatto uomo).


La parte posteriore del melone con quella che potrebbe essere una data intervallata da una croce.
Foto Margherita Tauceri.

L'attuale campanile, come attesta l'iscrizione posta sulla sommità dell'arco ogivale dell'ingresso, venne costruito fra il 1337 e il 1343 a rivestimento dell'antica torre romanica ormai instabile, durante questi lavori fu demolita la parte centrale del propileo romano e frammenti del fregio e alcuni bassorilievi con elmi, scudi, spade e corazze furono incastonati nelle mura.
La torre culminava con un alto tetto molto inclinato rivestito in pietra, tipico dell'architettura medievale sulla cui cuspide si trovava l'acroterio con l'alabarda, nell'aprile del 1421 venne colpita da un fulmine che la lesionò gravemente, il 10 maggio 1422 iniziarono i lavori di sistemazione che la portarono ad assumere l'aspetto attuale, con il tetto a quattro falde molto basso, rivestito in tegole; in quest'occasione l'acroterio venne tolto e rimase per anni appoggiato sul muro di fronte alla cattedrale, in seguito sarà spostato diverse volte, nel 1885 venne collocato nel giardino del Museo Lapidario, dove causa la friabilità della pietra calcarea venne danneggiato gravemente dalle intemperie, per proteggerlo nel 1925 fu trasportato nell'atrio del Museo. Dopo il restauro del 2001 il melone con l'alabarda venne posto all'ingresso del museo del castello.
Da precisare che la cosiddetta "alabarda" che la tradizione vuole sia stata fatta cadere da San Sergio la notte del suo martirio, è custodita nel tesoro della cattedrale, posata su un piedistallo cesellato in rame dorato.


L'emblema originale, che secondo la tradizione appartenne a San Sergio, viene custodita nel tesoro della cattedrale, alta cm. 54.5 è di ferro che non arrugginisce e non tiene la doratura. Alla base si nota un ingrossamento per l'inastatura.
Foto Margherita Tauceri.

Ritornando al melone, possiamo dire che questo è il simbolo della città più originale e allegro, che ben rappresenta lo spirito triestino e divenne protagonista in innumerevoli occasioni: diede diversi spunti umoristici al giornale politico satirico "Marameo "(1911 -1942), che creò la coppia "Zuca e Melon" che dibatteva su problemi di attualità, "El melon" fu il titolo di un giornale umoristico pubblicato a partire dal 1935, più recentemente (fino al 2007) fu il nome del pulmino del Gruppo Grotte della Trenta Ottobre, venne adottato come simbolo della "Lista per Trieste" (anche se graficamente era rappresentata la parte terminale della colonna di piazza della Cattedrale), nota anche come "la Lista del Melon", un partito che raccolse immediatamente le simpatie dei triestini e alle elezioni Comunali del giugno 1978 sconvolse le posizioni dei partiti sbaragliando la Democrazia Cristiana, concludo con l'immancabile presenza del melone nei testi di diverse canzoni, quali: "Bona Fortuna" [7], scritta nel 1891 con spirito patriottico da Felice di Giuseppe Venezian e "Che i cicoli che i ciacoli" [8].

Nella riproduzione si può vedere la torre campanaria trecentesca con il tetto a cuspide sormontato dal melone con l'alabarda
Dettaglio del disegno di Giulio De Franceschi per "Il Trecento a Trieste" di Giulio Caprin,
desunto dal modello della città di Trieste sorretto da San Giusto nell'affresco trecentesco dell’abside della Cattedrale.

Nella stampe si può vedere il melone nella sua collocazione successiva alla caduta dal campanile, appoggiato all'angolo del muretto, dove rimarrà fino al 1885.
A destra, nel cimitero abbandonato dal 1825, si vede la costruzione che ospitava il Cenotafio di J.J. Winckelmann.
Immagine tratta da "Trieste nelle stampe del Lloyd".


Nel 1832, dove sorgerà l'Orto Lapidario, accostato al muro di via Cattedrale, venne costruito un nicchione per ospitare il Cenotafio di J.J. Winckelmann, all'interno del quale per un periodo fu collocato anche il melone. Fu di Domenico Rossetti l'idea di conservare iscrizioni e reperti medioevali nello spazio lasciato libero dal cimitero di San Giusto trasferito in sede più adeguata, ci vollero diversi anni per concretizzare il progetto e il Lapidario venne inaugurato il 10 giugno 1843 dallo storico Pietro Kandler.
Foto collezione Sergio Sergas.


Il melone con l'alabarda, dal 2001 esposti all'ingresso del Museo del Castello.
Foto Margherita Tauceri.



[1] La piazza che comunemente veniva chiamata Piazza Grande era denominata Piazza San Pietro, dal nome di una piccola chiesa (edificata nel 1367), dal 1915 al 1918 la piazza fu intestata all'imperatore Francesco Giuseppe, dopo questa data fu denominata Piazza Unità in onore dell'avvenuta annessione di Trieste all'Italia. Il 25 aprile 1955 venne ufficialmente chiamata con l'attuale denominazione di Piazza dell'Unità d'Italia dall'allora Sindaco Gianni Bartoli.
Vorrei precisare che la chiesetta dedicata a San Pietro Apostolo fu costruita nel 1367 
per legato testamentario di Pietro Onorati, dal figlio Bartolomeo nell'area dove oggi sorge il palazzo Modello. Nel 1602, in seguito a una grave epidemia di peste, fu affiancata da una seconda chiesetta intitolata a San Rocco (santo invocato a protezione da questa malattia).
Nel 1720 le due chiese vennero unificate, mantenendo la vecchia struttura della chiesa di San Rocco, ma preferendo intitolarla ancora a San Pietro, la facciata dell'edificio sacro risultava particolare per la presenza di due rosoni.
Fu abbattuta nel 1871, perché molto vecchia e pericolante.

[2] Alcuni testi riportano che l'aquila fosse in metallo dorato (A.Tamaro-F.Zubini) altri in marmo nero (A.Tribel- Laura Ruaro Loseri- Oscar Incontrera) o pietra (Generini).

[3] Nel 1508 i veneziani continuando la loro politica espansionistica sottrassero Trieste all'Imperatore Massimiliano, vennero fatte alcune concessioni volendo accattivarsi la cittadinanza per utilizzare la città in una politica futura, ripresero la costruzione del castello di San Giusto (allora incompleto) e in piazza San Pietro (attuale piazza Unità d'Italia) venne eretta una colonna con il Leone di San Marco. Fu una conquista molto breve, il 2 giugno 1509 la Signoria di Venezia ritirò da Trieste il Provveditore e il Castellano e riconsegnò la città all'Imperatore.

[4] A San Giusto sul Sacro colle di Trieste Marco Pozzetto 1936.

[5] San Sergio è uno dei santi protettori della città di Trieste, il solo a non essere triestino, viene commemorato il 7 ottobre.
Secondo una tradizione molto antica, al tempo dell’imperatore Diocleziano Sergio prestava servizio come tribuno militare a Trieste, in questa città si convertì al cristianesimo e strinse saldi legami di amicizia con i cristiani, prima di lasciare trieste, prevedendo nuove pesanti persecuzioni e la sua stessa morte, promise di inviare un segno se fosse stato martirizzato quale appartenente alla fede cristiana. Arrivato a Roma, per meriti acquisiti venne nominato primicerio di corte. Inviato a Rusafa in Siria fu denunciato come cristiano e condotto assieme al compagno d'armi Bacco al Tempio di Giove dove furono invitati a offrire sacrifici al dio, ma al loro rifiuto vennero arrestati; i due successivamente subirono il martirio a breve distanza di tempo l’uno dall'altro. Dopo la morte di Sergio, a Trieste sul piazza principale, che in quel tempo probabilmente corrispondeva al foro della Basilica Civile sul colle in futuro dedicato a San Giusto, come promesso cadde dal cielo il Signum Sancti Sergi, i compagni tergestini che la raccolsero e la custodirono gelosamente e, in suo onore, ne fecero l’emblema della città.
La denominazione "alabarda" di San Sergio, è una definizione erronea in quanto il manufatto non rientra in questa tipologia di armi, infatti negli Statuti Comunali del 1350 viene citata come "lancia di San Sergio".

[6] A questo riguardo, Sergio degli Ivanissevich scrive che il manufatto è un’arma da parata (non da combattimento, essendo troppo esile) di probabile origine orientale, verosimilmente arrivata a Trieste con le Crociate, è simile ad una corsesca, derivata dallo spiedo, un’arma in dotazione alle fanterie non prima del Trecento, sconosciuta alle legioni romane. Oggi è nota col nome improprio di alabarda (che invece è quella, ad esempio, in dotazione alle Guardie Svizzere in servizio al Vaticano). Alta circa 55 cm e composta forse da ferro meteorico, la tradizione vuole che non sia intaccata dalla ruggine. Un recente esame metallografico ha datato il reperto al IV secolo, epoca molto vicina a quella del martirio del Santo. È custodita nel tesoro della Cattedrale.
L'alabarda che compare per la prima volta sul denaro battuto dal vescovo Volrico de Portis nel 1253, poi introdotto anche nel sigillo trecentesco della città in cui se ne vedono due inastate con fiammola che fiancheggiano la torre centrale delle mura. Federico III col diploma del 1464 ufficializza lo stemma cittadino con l’aquila bicipite e il "Signum Sancti Sergi" d’oro.
Sotto l’amministrazione italiana, subentrata alla fine della Prima Guerra mondiale, questo ritorna ad essere d’argento, come prima del 1464.

Questa è la moneta sulla quale per la prima viene rappresentata "l'alabarda", sul diritto del denaro d'argento è incisa la figura del Vescovo Volrico de Portis, seduto con in una mano il pastorale e nell'altra un libro, sul rovescio l'asta alabardata accostata da due stelle a sei punte e un gonfalone, intorno al bordo la scritta "civitas-tergestum", l'emblema viene ripreso nel sigillo trecentesco di Trieste, in cera rossa, l'unico esemplare pende da un documento del 1369 che riporta la sottomissione di Trieste a Venezia, nel campo, circondate dall'iscrizioni le tre torri, quella centrale è affiancata da due alabarde inastate con fiammola. 
Immagine modificata tratta da "Medioevo a Trieste" 



L'emblema di Trieste in argento inscritto in uno scudo francese antico o gotico, al centro il nuovo stemma concesso da Federico III nel 1464 con l'aquila imperiale bicipite, nella parte inferiore il "Signum Sancti Sergi" che per la prima volta è d’oro, questo sigillo rimase in uso fino al 1918, successivamente a questa data ritornò lo scudo rosso con "l'alabarda" d'argento sormontato da una corona merlata.
Prima immagine dettaglio tratto da "Lo sviluppo storico della città e del territorio di Trieste" di P. Kandler, le altre immagini sono tratte da Wikipedia.



[7] Bona Fortuna testo:
Gigia, col borineto
A caminar xe un gusto,
Da brava svelta, vestite
E vien con mi a San Giusto.

E là su quel mureto

Se sentaremo arente;
Coi oci parleremo
E cola boca gnente.

     A Roma i ga San Piero,

     Venezia ga el leon,
     Per noi ghe xe San Giusto
     E el vecio suo melon.

La luna ghe fa ciaro

Ai monti, al mar lontan;
Gigia, che bela note...
Guàntime per la man.

Pensar da quanti secoli

Quel campanil xe là,
Pensar che in quela ciesa
Me son inamorà!

     A Roma i ga San Piero,

     Venezia ga el leon,
     Per noi ghe xe San Giusto
     E el vecio suo melon.

Scòltime, bionda; el mondo

Te pol assai girar;
Cità come Trieste
Te stentarà a trovar.

Xe vero, tuto ’l giorno

Se sgoba in tel lavor;
Epur no se xe bestie,
Se ga qualcossa in cor.

     A Roma i ga San Piero,

     Venezia ga el leon.
     Per noi ghe xe San Giusto,
     E el vecio suo melon.

E quando vien la festa,

Lassemo ogni secada,
A Servola e a Proseco
Se fa la baracada.

La ciribiricocola

Farse scaldar col vin,
E saldi in gamba, musica!
El goto fa morbin.

     A Roma i ga San Piero,

     Venezia ga el leon.
     Per noi ghe xe San Giusto
     E el vecio suo melon.

[8] Che i cicoli che i ciacoli testo:
Che i cicoli che i ciacoli
xe poco de babar
un logo più magnifico
no se lo pol trovar.

Trieste de delizie xe un vero paradiso,

go tuto qua un soriso
el ziel la tera ‘l mar.

De sto paese in tuto al mondo

girelo in largio girelo in tondo
certo compagno no trovarè.

Trieste tra le bele

Trieste tra le stele
bela zità la xe bela zità la xe.  

Gavemo San Giusto ‘l martire,

gavemo el campanon,
gavemo emblema civico
tre fete de melon.

E in zima al cole – classico –

antica citadela
che xe la sentinela
del monte de pietà…

Su sta colina l’aria xe sana

viva San Giusto sona campana
e qua miseria no ghe ne xe.

Trieste tra le bele

Trieste tra le stele
bela zità la xe bela zità la xe.        

Trieste tra i parsuti

Trieste la vol tuti,
no ghe la demo a nissun
se la tignimo noi.

Bibliografia:
A San Giusto sul Sacro colle di Trieste - Marco Pozzetto 1936.
Historia antica e moderna sacra e profana della città’ di Trieste- 1698-  Ireneo della Croce (Mannarutta)
Storia di Trieste di A.Tamaro vol I e II
Guida storico Artistica della della Basilica di San Giusto di Trieste di Oscar Incontrera 1928
Il castello di San giusto Michela Messina 2007
Il colle di San Giusto di Laura Ruaro Loseri
"Le Chiese di Trieste" di Giuseppe Cuscito 1992
Trieste antica e moderna di Ettore Generini 1884
La Basilica di San Giusto di Gino Gärtner 
Notizie storiche di Trieste raccolte da Giovannina Bandelli 1851
Medioevo a Trieste catalogo della mostra 30 luglio 2008
Una Passeggiata storica per Trieste di Antonio Tribel 1884
Così cantavano i nostri nonni note illustrative di Paolo Zoldan 1942