Il 4 aprile 1560 in piazza Grande, a quel tempo denominata piazza San Pietro [1], venne eretta in onore dell'imperatore Ferdinando I (1503-1564) che nel 1550 aveva promulgato la riforma degli Statuti Triestini, una colonna in pietra bianca sormontata da un'aquila imperiale dorata (o di marmo nero, per alcuni storici [2]), realizzata dallo scultore vicentino Francesco Graziani, denominata "la colonna dell'aquila". Le facce del capitello furono adornate con gli stemmi dell'Austria, di Trieste e del Capitano, dipinti da Giorgio Vincenti di Capodistria.
Il costo di quest'opera pesò considerevolmente sulle casse del Comune già gravate da debiti e altre spese, questo nonostante fosse stata probabilmente riutilizzata la colonna che nel 1508 nella stessa piazza aveva retto il leone di San Marco [3], anche l'iscrizione che, fra bassorilievi di scene d'armi, scudi ed emblemi, si trova su un lato del basamento, probabilmente non si discosta molto dalla precedente.
NUMINE SUB NOSTRO
FELICES VIVITE GENTES
ARBITRII VESTRI
QUIDQUID HABETIS ERIT
D.F. I.R.
Sotto i nostri auspici vivete felici o cittadini e rimarrà quel che avete a vostra disposizione.
Su un altro lato della base, sotto un'immagine molto logorata si legge parzialmente la data in cui la colonna venne eretta "M.D.L.X." cioè 1560. Foto Margherita Tauceri. |
Nell'aprile del 1783, per evitare i frequenti allagamenti dovuti all'alta marea venne innalzato il livello del lastricato della piazza e in quell'occasione la colonna fu rimossa, riguardo a questo fatto Marco Pozzetto scrive [4] che nel 1782 il livornese Carlo Dini, direttore dell'Ufficio delle Fabbriche di Trieste, voleva che la colonna dell'aquila fosse tolta in quanto crepata in più punti e a rischio di crollo a causa del basamento sconnesso, inoltre in quella posizione ostacolava la rivista militare ed era opinione comune che fosse d'intralcio al transito dei carri e carrozze.
La colonna infatti venne tolta e dimenticata fino al 1843, dopo la sistemazione del piazzale della Cattedrale, che si presentava prima incolto e accidentato, qui fu posta su un nuovo piedistallo ottagonale con due ordini di gradini, l'aquila probabilmente si era persa durante qualche trasloco o rimossa all'epoca dell'occupazione francese assieme agli stemmi asburgici del capitello, sulla sommità venne posta una sfera di pietra con infissa la riproduzione del "Signum Sancti Sergi" [5], simbolo della città noto con il nome improprio di "alabarda" [6]; per questo motivo popolarmente venne definita "la colonna col melon", anche se la sfera in pietra non ha nulla a che vedere con l'acroterio della torre campanaria, simpatico emblema della nostra città.
Sparite Aquile Imperiali e Alabarde l'unico emblema superstite del capitello è lo scudo del Capitano imperiale, il barone Antonio della Torre e Croce subentrato nel 1560 a Giovanni d'Hoyos. Foto Sergio Sergas. |
In quegli anni la piazza era più piccola di come la vediamo oggi, chiusa dai rustici muri che delimitavano i terreni alberati e le campagne vicine, rimase tale fino alla fine degli anni '20 quando il Comune acquistò i fondi per creare un maestoso parco per la collocazione del monumento ai Caduti della prima guerra, durante i lavori di scavo inaspettatamente emersero i resti della basilica civile romana. Per molti anni anche la cattedrale fu protagonista di un importante restauro che aveva l'obiettivo di ritrovare la struttura trecentesca, nel 1933 circa il piazzale della Cattedrale venne abbassato per riportarlo al livello medioevale e in quell'occasione fu necessario rialzare il piedistallo della colonna aggiungendo un gradino, portandone il totale a tre come li vediamo oggi.
Probabilmente per il passare del tempo e con i movimenti conseguenti ai lavori fatti nell'area attorno alla colonna "l'alabarda" s'inclinò, questo risulta abbastanza evidente nelle foto fatte dopo gli anni '50, un articolo de "Il Piccolo" del 4 settembre 1976 riporta la colonna con la sfera di pietra orfana dell'alabarda, che, dopo il dovuto restauro ritornò a occupare il suo posto non più sbilenca ma "fiera e impettita".
La colonna "del melon", sul capitello si vede uno stemma scalpellato e il foro lasciato da un altro, probabilmente a incasso Foto Sergio Sergas. |
La parte posteriore del melone con quella che potrebbe essere una data intervallata da una croce. Foto Margherita Tauceri. |
L'attuale campanile, come attesta l'iscrizione posta sulla sommità dell'arco ogivale dell'ingresso, venne costruito fra il 1337 e il 1343 a rivestimento dell'antica torre romanica ormai instabile, durante questi lavori fu demolita la parte centrale del propileo romano e frammenti del fregio e alcuni bassorilievi con elmi, scudi, spade e corazze furono incastonati nelle mura.
La torre culminava con un alto tetto molto inclinato rivestito in pietra, tipico dell'architettura medievale sulla cui cuspide si trovava l'acroterio con l'alabarda, nell'aprile del 1421 venne colpita da un fulmine che la lesionò gravemente, il 10 maggio 1422 iniziarono i lavori di sistemazione che la portarono ad assumere l'aspetto attuale, con il tetto a quattro falde molto basso, rivestito in tegole; in quest'occasione l'acroterio venne tolto e rimase per anni appoggiato sul muro di fronte alla cattedrale, in seguito sarà spostato diverse volte, nel 1885 venne collocato nel giardino del Museo Lapidario, dove causa la friabilità della pietra calcarea venne danneggiato gravemente dalle intemperie, per proteggerlo nel 1925 fu trasportato nell'atrio del Museo. Dopo il restauro del 2001 il melone con l'alabarda venne posto all'ingresso del museo del castello.
Da precisare che la cosiddetta "alabarda" che la tradizione vuole sia stata fatta cadere da San Sergio la notte del suo martirio, è custodita nel tesoro della cattedrale, posata su un piedistallo cesellato in rame dorato.
Ritornando al melone, possiamo dire che questo è il simbolo della città più originale e allegro, che ben rappresenta lo spirito triestino e divenne protagonista in innumerevoli occasioni: diede diversi spunti umoristici al giornale politico satirico "Marameo "(1911 -1942), che creò la coppia "Zuca e Melon" che dibatteva su problemi di attualità, "El melon" fu il titolo di un giornale umoristico pubblicato a partire dal 1935, più recentemente (fino al 2007) fu il nome del pulmino del Gruppo Grotte della Trenta Ottobre, venne adottato come simbolo della "Lista per Trieste" (anche se graficamente era rappresentata la parte terminale della colonna di piazza della Cattedrale), nota anche come "la Lista del Melon", un partito che raccolse immediatamente le simpatie dei triestini e alle elezioni Comunali del giugno 1978 sconvolse le posizioni dei partiti sbaragliando la Democrazia Cristiana, concludo con l'immancabile presenza del melone nei testi di diverse canzoni, quali: "Bona Fortuna" [7], scritta nel 1891 con spirito patriottico da Felice di Giuseppe Venezian e "Che i cicoli che i ciacoli" [8].
Il melone con l'alabarda, dal 2001 esposti all'ingresso del Museo del Castello. Foto Margherita Tauceri. |
[1] La piazza che comunemente veniva chiamata Piazza Grande era denominata Piazza San Pietro, dal nome di una piccola chiesa (edificata nel 1367), dal 1915 al 1918 la piazza fu intestata all'imperatore Francesco Giuseppe, dopo questa data fu denominata Piazza Unità in onore dell'avvenuta annessione di Trieste all'Italia. Il 25 aprile 1955 venne ufficialmente chiamata con l'attuale denominazione di Piazza dell'Unità d'Italia dall'allora Sindaco Gianni Bartoli.
Vorrei precisare che la chiesetta dedicata a San Pietro Apostolo fu costruita nel 1367 per legato testamentario di Pietro Onorati, dal figlio Bartolomeo nell'area dove oggi sorge il palazzo Modello. Nel 1602, in seguito a una grave epidemia di peste, fu affiancata da una seconda chiesetta intitolata a San Rocco (santo invocato a protezione da questa malattia).
Nel 1720 le due chiese vennero unificate, mantenendo la vecchia struttura della chiesa di San Rocco, ma preferendo intitolarla ancora a San Pietro, la facciata dell'edificio sacro risultava particolare per la presenza di due rosoni.
Fu abbattuta nel 1871, perché molto vecchia e pericolante.
[2] Alcuni testi riportano che l'aquila fosse in metallo dorato (A.Tamaro-F.Zubini) altri in marmo nero (A.Tribel- Laura Ruaro Loseri- Oscar Incontrera) o pietra (Generini).
[3] Nel 1508 i veneziani continuando la loro politica espansionistica sottrassero Trieste all'Imperatore Massimiliano, vennero fatte alcune concessioni volendo accattivarsi la cittadinanza per utilizzare la città in una politica futura, ripresero la costruzione del castello di San Giusto (allora incompleto) e in piazza San Pietro (attuale piazza Unità d'Italia) venne eretta una colonna con il Leone di San Marco. Fu una conquista molto breve, il 2 giugno 1509 la Signoria di Venezia ritirò da Trieste il Provveditore e il Castellano e riconsegnò la città all'Imperatore.
[4] A San Giusto sul Sacro colle di Trieste Marco Pozzetto 1936.
[5] San Sergio è uno dei santi protettori della città di Trieste, il solo a non essere triestino, viene commemorato il 7 ottobre.
Secondo una tradizione molto antica, al tempo dell’imperatore Diocleziano Sergio prestava servizio come tribuno militare a Trieste, in questa città si convertì al cristianesimo e strinse saldi legami di amicizia con i cristiani, prima di lasciare trieste, prevedendo nuove pesanti persecuzioni e la sua stessa morte, promise di inviare un segno se fosse stato martirizzato quale appartenente alla fede cristiana. Arrivato a Roma, per meriti acquisiti venne nominato primicerio di corte. Inviato a Rusafa in Siria fu denunciato come cristiano e condotto assieme al compagno d'armi Bacco al Tempio di Giove dove furono invitati a offrire sacrifici al dio, ma al loro rifiuto vennero arrestati; i due successivamente subirono il martirio a breve distanza di tempo l’uno dall'altro. Dopo la morte di Sergio, a Trieste sul piazza principale, che in quel tempo probabilmente corrispondeva al foro della Basilica Civile sul colle in futuro dedicato a San Giusto, come promesso cadde dal cielo il Signum Sancti Sergi, i compagni tergestini che la raccolsero e la custodirono gelosamente e, in suo onore, ne fecero l’emblema della città.
La denominazione "alabarda" di San Sergio, è una definizione erronea in quanto il manufatto non rientra in questa tipologia di armi, infatti negli Statuti Comunali del 1350 viene citata come "lancia di San Sergio".
Vorrei precisare che la chiesetta dedicata a San Pietro Apostolo fu costruita nel 1367 per legato testamentario di Pietro Onorati, dal figlio Bartolomeo nell'area dove oggi sorge il palazzo Modello. Nel 1602, in seguito a una grave epidemia di peste, fu affiancata da una seconda chiesetta intitolata a San Rocco (santo invocato a protezione da questa malattia).
Nel 1720 le due chiese vennero unificate, mantenendo la vecchia struttura della chiesa di San Rocco, ma preferendo intitolarla ancora a San Pietro, la facciata dell'edificio sacro risultava particolare per la presenza di due rosoni.
Fu abbattuta nel 1871, perché molto vecchia e pericolante.
[2] Alcuni testi riportano che l'aquila fosse in metallo dorato (A.Tamaro-F.Zubini) altri in marmo nero (A.Tribel- Laura Ruaro Loseri- Oscar Incontrera) o pietra (Generini).
[3] Nel 1508 i veneziani continuando la loro politica espansionistica sottrassero Trieste all'Imperatore Massimiliano, vennero fatte alcune concessioni volendo accattivarsi la cittadinanza per utilizzare la città in una politica futura, ripresero la costruzione del castello di San Giusto (allora incompleto) e in piazza San Pietro (attuale piazza Unità d'Italia) venne eretta una colonna con il Leone di San Marco. Fu una conquista molto breve, il 2 giugno 1509 la Signoria di Venezia ritirò da Trieste il Provveditore e il Castellano e riconsegnò la città all'Imperatore.
[4] A San Giusto sul Sacro colle di Trieste Marco Pozzetto 1936.
[5] San Sergio è uno dei santi protettori della città di Trieste, il solo a non essere triestino, viene commemorato il 7 ottobre.
Secondo una tradizione molto antica, al tempo dell’imperatore Diocleziano Sergio prestava servizio come tribuno militare a Trieste, in questa città si convertì al cristianesimo e strinse saldi legami di amicizia con i cristiani, prima di lasciare trieste, prevedendo nuove pesanti persecuzioni e la sua stessa morte, promise di inviare un segno se fosse stato martirizzato quale appartenente alla fede cristiana. Arrivato a Roma, per meriti acquisiti venne nominato primicerio di corte. Inviato a Rusafa in Siria fu denunciato come cristiano e condotto assieme al compagno d'armi Bacco al Tempio di Giove dove furono invitati a offrire sacrifici al dio, ma al loro rifiuto vennero arrestati; i due successivamente subirono il martirio a breve distanza di tempo l’uno dall'altro. Dopo la morte di Sergio, a Trieste sul piazza principale, che in quel tempo probabilmente corrispondeva al foro della Basilica Civile sul colle in futuro dedicato a San Giusto, come promesso cadde dal cielo il Signum Sancti Sergi, i compagni tergestini che la raccolsero e la custodirono gelosamente e, in suo onore, ne fecero l’emblema della città.
La denominazione "alabarda" di San Sergio, è una definizione erronea in quanto il manufatto non rientra in questa tipologia di armi, infatti negli Statuti Comunali del 1350 viene citata come "lancia di San Sergio".
[6] A questo riguardo, Sergio degli Ivanissevich scrive che il manufatto è un’arma da parata (non da combattimento, essendo troppo esile) di probabile origine orientale, verosimilmente arrivata a Trieste con le Crociate, è simile ad una corsesca, derivata dallo spiedo, un’arma in dotazione alle fanterie non prima del Trecento, sconosciuta alle legioni romane. Oggi è nota col nome improprio di alabarda (che invece è quella, ad esempio, in dotazione alle Guardie Svizzere in servizio al Vaticano). Alta circa 55 cm e composta forse da ferro meteorico, la tradizione vuole che non sia intaccata dalla ruggine. Un recente esame metallografico ha datato il reperto al IV secolo, epoca molto vicina a quella del martirio del Santo. È custodita nel tesoro della Cattedrale.
L'alabarda che compare per la prima volta sul denaro battuto dal vescovo Volrico de Portis nel 1253, poi introdotto anche nel sigillo trecentesco della città in cui se ne vedono due inastate con fiammola che fiancheggiano la torre centrale delle mura. Federico III col diploma del 1464 ufficializza lo stemma cittadino con l’aquila bicipite e il "Signum Sancti Sergi" d’oro.
Sotto l’amministrazione italiana, subentrata alla fine della Prima Guerra mondiale, questo ritorna ad essere d’argento, come prima del 1464.
L'alabarda che compare per la prima volta sul denaro battuto dal vescovo Volrico de Portis nel 1253, poi introdotto anche nel sigillo trecentesco della città in cui se ne vedono due inastate con fiammola che fiancheggiano la torre centrale delle mura. Federico III col diploma del 1464 ufficializza lo stemma cittadino con l’aquila bicipite e il "Signum Sancti Sergi" d’oro.
Sotto l’amministrazione italiana, subentrata alla fine della Prima Guerra mondiale, questo ritorna ad essere d’argento, come prima del 1464.
Gigia, col borineto
A caminar xe un gusto,
Da brava svelta, vestite
E vien con mi a San Giusto.
E là su quel mureto
Se sentaremo arente;
Coi oci parleremo
E cola boca gnente.
A Roma i ga San Piero,
Venezia ga el leon,
Per noi ghe xe San Giusto
E el vecio suo melon.
La luna ghe fa ciaro
Ai monti, al mar lontan;
Gigia, che bela note...
Guàntime per la man.
Pensar da quanti secoli
Quel campanil xe là,
Pensar che in quela ciesa
Me son inamorà!
A Roma i ga San Piero,
Venezia ga el leon,
Per noi ghe xe San Giusto
E el vecio suo melon.
Scòltime, bionda; el mondo
Te pol assai girar;
Cità come Trieste
Te stentarà a trovar.
Xe vero, tuto ’l giorno
Se sgoba in tel lavor;
Epur no se xe bestie,
Se ga qualcossa in cor.
A Roma i ga San Piero,
Venezia ga el leon.
Per noi ghe xe San Giusto,
E el vecio suo melon.
E quando vien la festa,
Lassemo ogni secada,
A Servola e a Proseco
Se fa la baracada.
La ciribiricocola
Farse scaldar col vin,
E saldi in gamba, musica!
El goto fa morbin.
A Roma i ga San Piero,
Venezia ga el leon.
Per noi ghe xe San Giusto
E el vecio suo melon.
Che i cicoli che i ciacoli
xe poco de babar
un logo più magnifico
no se lo pol trovar.
Trieste de delizie xe un vero paradiso,
go tuto qua un soriso
el ziel la tera ‘l mar.
De sto paese in tuto al mondo
girelo in largio girelo in tondo
certo compagno no trovarè.
Trieste tra le bele
Trieste tra le stele
bela zità la xe bela zità la xe.
Gavemo San Giusto ‘l martire,
gavemo el campanon,
gavemo emblema civico
tre fete de melon.
E in zima al cole – classico –
antica citadela
che xe la sentinela
del monte de pietà…
Su sta colina l’aria xe sana
viva San Giusto sona campana
e qua miseria no ghe ne xe.
Trieste tra le bele
Trieste tra le stele
bela zità la xe bela zità la xe.
Trieste tra i parsuti
Trieste la vol tuti,
no ghe la demo a nissun
se la tignimo noi.
Bibliografia:
A San Giusto sul Sacro colle di Trieste - Marco Pozzetto 1936.
Historia antica e moderna sacra e profana della città’ di Trieste- 1698- Ireneo della Croce (Mannarutta)
Storia di Trieste di A.Tamaro vol I e II
Guida storico Artistica della della Basilica di San Giusto di Trieste di Oscar Incontrera 1928
Il castello di San giusto Michela Messina 2007
Il colle di San Giusto di Laura Ruaro Loseri
"Le Chiese di Trieste" di Giuseppe Cuscito 1992
Trieste antica e moderna di Ettore Generini 1884
La Basilica di San Giusto di Gino Gärtner
Notizie storiche di Trieste raccolte da Giovannina Bandelli 1851
Medioevo a Trieste catalogo della mostra 30 luglio 2008
Una Passeggiata storica per Trieste di Antonio Tribel 1884
Così cantavano i nostri nonni note illustrative di Paolo Zoldan 1942