domenica 6 ottobre 2019

Anton Jakić e la Villa delle Cipolle

La suggestiva immagine della villa Jakić ripresa da Sergio Sergas dopo una nevicata di fine anni '70.


Sviluppo ed evoluzione di Barcola nel fine '800
Nel 1859 venne inaugurata via di Miramar [1], strada che connetteva il centro della città con Barcola e proseguiva fino al castello di Massimiliano d'Asburgo (ancora da completare). Il nuovo collegamento, assieme a una serie di innovazioni, quali l'introduzione dell'illuminazione pubblica a gas del 1870 e l'inaugurazione nel 1883 della prima linea di tram a cavalli, portò a un incremento demografico e alla graduale trasformazione del borgo.
Nell'area fra la strada e il viadotto si svilupparono diverse attività industriali, mentre sul lungomare si ebbe una svolta dopo il 1886, data in cui venne avviato il primo nucleo del futuro stabilimento balneare Excelsior, che in pochi anni fu ampliato e dotato di nuove attrezzature, negli anni a seguire vennero aperti: un teatrino, un caffè concerto, un ristorante e nelle vicinanze ebbero le loro sedi i circoli canottieri Nettuno e Saturnia. Barcola si stava così trasformando in una moderna località balneare, un ritrovo alla moda molto frequentato dalla ricca borghesia che in una guida della città, per quanto di qualche anno successiva alle date fin qui esposte, viene così descritto: "...luogo di bagni e villeggiatura delizioso sito riparato nell'inverno dalla bora che spira dalla montagna, fresco d'estate per il maestrale puro del mare."

Secondo progetto della villa, con prospetto frontale, laterale e sezione, datato 1 aprile 1896 e firmato Giovanni Martelanz, al quale la Commissione alle Pubbliche Costruzioni diede il benestare, a condizione che venissero eseguite le indicazioni nel rispetto delle vigenti norme per la prevenzione degli incendi e che, al fine di migliorare l'estetica dell'insieme, fosse eliminata la torretta prevista sull'ala sinistra della villa.
Per gentile concessione del Comune di Trieste -Servizio Pianificazione Urbana – Archivio Tecnico Disegni (sigla ATD - Ts).

Dove prima vi erano campagne l'aristocrazia triestina fece costruire le sue residenze estive, fra queste prime ville di stile eclettico, nel 1896 venne edificata la cosiddetta "villa delle zivole" o cipolle su progetto dello scultore Ivan Rendic [2] su commissione di Anton Jakić [3], un prete che abbandonò la veste talare nel 1888 per dedicarsi alla pubblicazione di un periodico in lingua italiana, nato a Pola col titolo “Il Diritto Croato”, di cui era proprietario, editore e redattore. Il giornale sosteneva l'unità culturale di tutti i popoli slavi orientali e l'affermazione di questi contro le influenze straniere; il settimanale venne più volte censurato e multato, motivo per cui nel 1895 Jakić si trasferì a Trieste sperando di trovarvi un clima più tollerante.

I giovani alberelli piantati lungo il viale avevano ancora una modesta chioma, sul passeggio erano state messe le panchine e il tram a cavalli si fermava all'altezza dello storico giardino, oggi dedicato a Monsignor Matija Skabar, già esistente al tempo, dal quale iniziava la nota passeggiata.

A Trieste Jakić andò dapprima ad abitare al numero 9 di via del Campanile, attuale via Genova, ma nel febbraio del 1895, in una vendita all'incanto, si aggiudicò per 3300 fiorini, un fondo adibito a pascolo e viti, corrispondente al n° 749 di via Miramare. Nel marzo del 1896 inviò al Comune un primo progetto per la costruzione, su questo terreno, di una villa con due magazzini parzialmente interrati, ma questo venne respinto dalla Commissione Municipale alle pubbliche costruzioni per "mancanza di unità nel concetto di decorazione", al 1 aprile dello stesso anno venne inviato un secondo progetto firmato dal Capomastro Giovanni Martelanz [4], che fu approvato con la condizione che venissero eseguite alcune modifiche che riguardavano soprattutto le norme per la prevenzione degli incendi e che i lavori fossero condotti dallo stesso Martelanz, titolare dell'omonima impresa, qualche riserva venne anche sollevata sull'estetica, in quanto la commissione trovò che i cupolini "...arieggiavano troppo al carattere ecclesiastico nello stile adottato..." precisando pure che doveva essere levata la torretta che si alzava sull'ala sinistra della costruzione, ne seguì un successivo elaborato datato 7 luglio, che presentava il prospetto senza la torretta e una modifica alle finestre dell'ultimo piano, mentre vengono riproposte le due cupole. L'abitabilità dell'edificio porta la data del 14 agosto 1897 e fu inviata al palazzo del Lloyd in piazza delle Poste (attuale p.zza Vittorio Veneto) sede della redazione e abitazione di Jakić, che si trasferì ufficialmente nella villa ben due anni dopo.


Tratta dal libro" I Croati a Trieste" riporto la testimonianza di una persona che nel 1902, all'età di 16 anni, portava il latte nella villa: "Nella Villa delle Cipolle abitava un uomo di media altezza, distinto di comportamento signorile e che parlava croato... Di lui si diceva che era stato un pope e dopo aver conosciuto una dama russa lasciò il sacerdozio. Sarebbe stata lei a dargli i soldi per costruire la villa, ma a lavoro finito non era soddisfatta e si lasciarono".
Probabilmente già a quel tempo aleggiava un alone di mistero attorno alla figura di Jakić, è credibile che la prestigiosa dimora fosse stata costruita con funzione rappresentativa e per omaggiare la cultura slava orientale. Per coprire le spese di realizzazione della villa e l'acquisto degli arredi Jakić aveva stipulato due prestiti bancari di 10.000 goldinar (fiorini) e 4.000 corone, sottoscritti rispettivamente il 20 aprile 1898 e il 25 marzo 1901 con la Tržaške Posojilnice in Hranilnice, cioè Cassa Depositi e Prestiti Slovena, probabile che questo debito gli abbia condizionato finanziariamente la vita, perché nel 1904, per la pessima situazione economica, fu costretto a vendere la villa dal valore stimato di 80.000 corone per 72.000 corone al dott. Nicolò de Volpi e in quell'occasione vennero pure chiuse le due ipoteche che ancora gravavano su di essa.
Voci popolari dicono che sia stata trasformata in un'elegante casa di appuntamenti e bisca, ma di questo non si sono trovate conferme. In seguito la villa cambiò diversi proprietari, nonostante questo alla costruzione furono apportate unicamente delle modifiche interne nei primi anni '50 e nel 1978; dal 1963 è un piccolo condominio suddiviso in quattro appartamenti.

Dettaglio con il prospetto sud-ovest della villa, approvato il 13 aprile 1896 a condizione di precise modifiche che interessavano anche gli ingressi dei magazzini a livello della strada.
Per gentile concessione del Comune di Trieste -Servizio Pianificazione Urbana – Archivio Tecnico Disegni (sigla ATD - Ts).

Descrizione della Villa
La Villa delle Zivole si trova all'attuale numero 229 di viale Miramare, in stile eclettico, riprende le caratteristiche dell'antica architettura russo-bizantina. Il fatto che popolarmente sia stata denominata "villa delle zivole" deriva dalle caratteristiche cupole a cipolla, tipiche dei paesi dell'Europa centrale e soprattutto dell'architettura religiosa russa, dove, a seconda del numero e del colore, acquistavano un diverso significato simbolico, che nella villa si perde avendo queste una valenza puramente decorativa, con l'ultimo restauro è stata riproposta l'originale doratura che risplende al sole assieme alle decorazioni geometriche a mosaico della facciata.

Particolare delle ricche decorazioni musive con motivi geometrici, dove sono state ampiamente usate le tessere dorate. Le finestre sono sovrastate da lunette e da una cornice in stucco a guisa di arco inflesso di influenza orientale, che creano un effetto suggestivo, infine vengono delineate da un tratto, sempre a mosaico, in azzurro cobalto molto acceso.
Foto Sergio Sergas

Le decorazioni sono concentrate nella parte alta della villa dove si fondono con gli elementi architettonici che movimentano la facciata policroma che culmina con le cupole a cipolla in rame dorato, creando un effetto piacevolmente scenografico.
Foto Sergio Sergas

Le cupole, con la copertura esterna in rame, sono sostenute da una complessa armatura in legno, opera dall'artigiano Francesco Gasperini.


Una delle terrazze della villa, lo splendido panorama è in parte nascosto dalla folta pineta, nata nel 1958 con l'interramento di un tratto di mare.
Foto Sergio Sergas

A coronamento dell'ala sinistra della villa un'importante modanatura e il tetto a terrazzo dal quale si si poteva ammirare un ampio panorama e si dominavano strada e borgo con i loro avvenimenti sportivi, processioni, sfilate e mondanità.
Foto Sergio Sergas

Gli interni della villa vennero decorati dal pittore spalatino Paško Vučetić [5] (1871-1925), dai motivi geometrici e floreali che ornano gli intradossi delle rampe, all'affresco murale ricco di simboli e figure allegoriche al grande motivo incorniciato con stucchi realizzati a pennello che ricopre il soffitto.

Veduta d'insieme del vano scale riccamente decorata da un affresco incorniciato da stucchi dipinti sul soffitto, e un'altro che ne ricopre la parete in tutta la sua altezza fino a raggiungere la finestra decorata con elementi ornamentali a rilievo e dipinti.
Fissata sulla testa della scala una ringhiera in ferro battuto.
Foto Sergio Sergas

    L'affresco del soffitto è delimitato da una cornice con modanature e dentelli dipinti che creano un effetto trompe-l’oeil, nella composizione allegorica predomina una donna, trattenuta da una figura di armato, che sale sventolando la bandiera con i colori dell'Impero russo (adottata dal 1858 al 1917) in basso un uomo con un costume popolare suona il gusle, strumento balcanico diffuso tra i popoli slavi del sud, due puttini e rami fioriti sporgono dalla rappresentazione illusoria degli stucchi.
Foto Sergio Sergas

Particolare dell'affresco trompe l'oeil che ricopre la parete creando un complesso effetto illusorio di spazio aperto, con delle figure allegoriche (forse stabilite in accordo con la committenza e di difficile interpretazione), che si intrattengono in una veranda delimitata da colonne con una balaustra in pietra oltre la quale si scorge un giardino.
Foto Sergio Sergas

L'ingresso della villa con il cancello a due battenti in ferro battuto e la scalinata che porta alle terrazze.
Foto Sergio Sergas

La villa dipinta con colori vivaci, così particolare nello stile, esagerata nelle decorazioni e ornamenti, venne molto discussa già al tempo della costruzione, in quanto trovavano che non armonizzasse con il paesaggio. A dirla tutta tali valutazioni si estendevano pure alle residenze vicine, che avevano attinto a stili molto diversi tra loro, dal neogotico veneziano al "castellato", non creando quindi un contesto uniforme; alcune considerazioni inclementi nei riguardi delle nuove residenze e della villa Jakić in particolare vennero ad esempio espresse da Alberto Puschi, conservatore del Civico Museo d’Antichità che nel 1887 e nel 1889 seguì a Barcola gli scavi che portarono a ritrovamenti archeologici di epoca romana [6]: "...Le campagne, che prima sembravano quasi tuffarsi nelle onde si ritirano ora sino alle falde del monte, cedendo il loro posto ad edifici, nei quali, fatte poche eccezioni, invano si cercherebbe il sentimento artistico. Vi predominano mostruosi raffazzonamenti di stile eclettico, dal gotico al barocco, dal meridionale al nordico: tutto vi è rappresentato, ma con così poco gusto estetico che le rozze e povere case coloniche nulla hanno per vero da invidiare. Fra le tante brutture non vi mancano nemmeno le cipolle moscovite, che qualche sognatore di siberiani amplessi cerca di educare in questo suolo, dimenticando il povero illuso che il nostro cielo è stato e sarà sempre micidiale a qualunque coltura esotica, e che per nulla commosso dal pallido riflesso di quell'oro, farà irremissibilmente marcire anche le sue cipolle...".
Da considerare che il rammarico era conseguente, almeno in parte, sia al repentino cambiamento del borgo agricolo, sia al fatto che dopo gli entusiasmi iniziali per i ritrovamenti, lo scavo, le strutture e alcuni mosaici furono interrati per permettere l'edificazione dell'area.
A mio avviso la villa sembra uscita da una fiaba, ci offre un'immagine affascinante sulla quale fantasticare, sempre in ottimo stato oggi è diventata una piacevole caratteristica di Barcola, da un lato il mare e dall'altro un tuffo nell'atmosfera russa.

Particolare degli elaborati motivi del cancello in ferro battuto.
Foto Sergio Sergas

Prima dell'interramento per la realizzazione della pineta avvenuto nel 1958 il mare era molto vicino alla strada e alle ville che vi si affacciavano. Un doppio filare di alberelli, che in futuro offriranno una piacevole ombra, sono stati piantati sull'ampio marciapiede che si animava soprattutto nei giorni festivi e in occasione delle gare dei canottieri.
Foto collezione Antonio Paladini

Anton Jakić editore

Testata della rivista di Anton Jakić pubblicata in lingua italiana a Pola dal 3 ottobre 1888 al 21 marzo 1894.

Come già detto, dopo aver iniziato nel 1888 a Pola le prime pubblicazioni del periodico in lingua italiana “Il Diritto Croato", Jakić si trasferì a Trieste dove continuò le pubblicazioni della rivista con il nuovo titolo di "Il Pensiero Slavo", che uscì dal 10 aprile 1894 fino al 24 settembre 1898 con un costo di abbonamento annuale di 8 fiorini, dal 3 ottobre 1898 al 13 dicembre 1902 la testata mutò lingua e intestazione, diventando "La Pensée Slave", come pure la carta che è ora di colore rosa e di maggior consistenza, a partire dal 1903 uscì in lingua croata e la testata venne rinominata "Slavenska Misao". Fin dall'inizio la linea editoriale e i contenuti dei giornali rimasero coerenti e fedeli alle idee e i principi dell'editore, vi si trovavano argomenti di genere politico, religioso, le notizie della città e la pagina letteraria che ebbe il merito di diffondere le opere di autori sloveni, croati, ma anche russi, serbi, boemi e polacchi tradotte in lingua italiana o francese.

Finalmente possiamo dare un volto a quel personaggio enigmatico e misterioso che fu Anton Jakić.
La foto porta la dicitura "Segall" - Grande stabilimento fotografico - Trieste piazza della Borsa N°7

Jakić parlava numerose lingue questo gli permise di recarsi in diverse città europee per assistere a manifestazioni culturali e avere contatti politici, raggiunse più volte Pietroburgo dove pure veniva venduto il suo giornale. La sua ideologia era caratterizzata dal panslavismo e per questo fu accusato di eccessive simpatie verso il governo zarista, dichiarò di non essere mai stato finanziato da nessun organo politico e tantoméno dalla Russia, rimane però un mistero quali fossero le sue fonti di guadagno, dal momento che con i proventi del giornale non avrebbe potuto permettersi i frequenti viaggi e la costruzione della villa.


Edizione dell'11 aprile 1903 del settimanale in lingua croata pubblicato a Trieste dal 10 gennaio 1903 al 10 luglio 1909 anno di chiusura del giornale.

Il periodico fu spesso oggetto di critiche e polemiche, anche a Trieste subì censure e sequestri, con notevoli perdite economiche dell'editore, Jakić venne più volte multato e persino arrestato, frequenti le querele che si concludevano a sfavore della testata, in parte anche a causa del carattere caparbio e provocatore dello stesso Jakić; vero è che probabilmente non sempre le censure furono eque, tanto da far sentire il redattore ingiustamente perseguitato. Le tirature del settimanale, che per diversi anni furono stabili su 500-600 copie, nei primi anni del 1900 andarono a ridursi, a questo si aggiunsero alcuni problemi di salute, in particolare agli occhi, che nel 1909 impedirono a Jakić, che non aveva collaboratori di fiducia a cui appoggiarsi, di continuare con le pubblicazioni. Dopo questo evento, benché Jakić fosse vissuto fino al 1942, le notizie su di lui sono rare, è possibile che per curarsi sia ritornato a Podgora dove risiedevano numerosi suoi fratelli e sorelle, anche se a mio parere è molto strano che la sua vocazione giornalistica e i suoi ideali siano finiti il 10 luglio 1909 con l'ultimo numero di "Slavenska Misao".

Alcune persone passeggiano lungo i marciapiedi dove si nota che gli alberi da poco interrati sono ancora sorretti dai tutori, la strada deserta e polverosa verrà lastricata diversi anni dopo.
Foto collezione Antonio Paladini


Note

[1] Nel 1856 iniziarono i lavori per la costruzione della strada costiera, già precedentemente deliberata dal Comune, l'arciduca Massimiliano contribuì con 21.000 fiorini, il costò totale fu di 119.480 fiorini. Inaugurata nel 1859, l'ultimo tratto venne concluso l'anno successivo. Ben presto la strada, troppo bassa sul livello del mare, si rivelò inadeguata a reggere l'impeto delle mareggiate.

[2] Ivan Rendić è considerato il più rappresentativo tra gli scultori croati del XIX secolo, è originario di Supetar (San Pietro) sull'isola di Brač (Brazza), benché nato nel 1849 a Imotski, dove suo padre muratore si era recato per un lavoro temporaneo. All'isola di Brač, nota per le cave di pietra, ebbe i suoi primi approcci con la scultura, in gioventù si trasferì a Trieste dove si avvicinò alla scultura in legno frequentando la scuola del maestro Giovanni Moscotto, nel 1871 concluse gli studi all'Accademia delle Belle Arti di Venezia e infine si perfezionò a Firenze sotto la guida del famoso scultore Giovanni Dupré, che influenzò le sue prime opere dove si trovano accenni naturalisti abbinati alla forza della corrente realista; sempre molto attento e curato nei particolari successivamente si avvicinò al linguaggio della secessione viennese che reinterpretò. Nel 1878 circa si sposò con Olga Emilja Anna Florio, dopo il matrimonio provò a stabilirsi a Zagabria, ma le numerose commissioni lo riportarono a Trieste dove si fermò fino al 1921.
Nella nostra città ebbe un'attiva partecipazione alla vita sociale, frequentava il Caffè Chiozza dove pittori, scultori e decoratori si incontravano a disquisire d'arte, questi amici nel 1883 si riunirono nel suo atelier, dove Riccardo Zampieri (giornalista e pittore) propose di costituire una società artistica che curasse gli interessi degli artisti locali, ebbe così l'avvio il Circolo Artistico. Rendić era di carattere scherzoso e allegro, formò con altri artisti buontemponi la "Tribù dei Papagai" e poi la "Colonia Americana", gli appellativi dei gruppi derivavano dai nomi delle trattorie dove si ritrovavano e questi illustri personaggi con le loro trovate scherzose animavano le feste. Lasciando la vita sociale di Rendić per trattare la sua produzione artistica, diverse opere si trovano in Dalmazia e Croazia, ma fu molto attivo nella nostra città, con sculture commissionate da istituzioni pubbliche e privati, di cui citerò il monumento alla dedizione di Trieste all'Austria inaugurato nel 1889 e distrutto nel 1918, "l'Allegoria dell'Assicurazione" una splendida opera in marmo, oggi nel salone centrale del palazzo delle Assicurazioni Generali in piazza degli Duca degli Abruzzi, "l'Intelligenza" posta nel 1886 nell'atrio del palazzo del Lloyd Austriaco, oggi palazzo della Regione in piazza dell'Unità d'Italia, realizzò inoltre numerosi monumenti funerari per famiglie illustri, collocati nei cimiteri di Sant'Anna e di Barcola, Fiume, Zagabria, Dubrovnik (Ragusa) e Supetar. Come architetto, oltre alla villa Jakić e alcuni mausolei sepolcrali, progettò il campanile della chiesa parrocchiale di Ložišće sull'isola di Brač.
Dal 1921 anni si ritirò a Supetar dove tentò invano di formare una scuola d'arte, negli ultimi anni visse in povertà dimenticato da tutti, morì il 29 giugno 1932 nell'ospedale di Spalato.

[3] Anton Antonio Antun Jakić (Podgora, 3 giugno 1860 - 4 Aprile 1942)
Dopo aver frequentato il liceo classico a Spalato seguì quattro corsi di teologia, probabilmente nel 1883 ebbe i primi approcci con il giornalismo in quanto in quella data subì un processo per diffamazione a mezzo stampa, nel 1884 venne ordinato sacerdote e l'anno seguente fu trasferito provvisoriamente a Pola, nel 1888 fu nuovamente accusato di calunnia a mezzo stampa, dopo aver rifiutato l'invito dell'Arcidiocesi di ritornare a Spalato venne sospeso e preferì lasciare il sacerdozio per dedicarsi completamente al giornalismo, dal 3 ottobre 1888 al 21 marzo 1894 uscirono le pubblicazioni de "Il Diritto Croato", settimanale politico letterario di quattro pagine in lingua italiana (in difesa dei diritti croati e l'affermazione delle idee slave contro le influenze straniere), nel 1895 si trasferì a Trieste, che rimase sede del giornale fino alla pubblicazione dell'ultimo numero il 10 luglio 1909.
Jakić partecipò attivamente alle riunioni dell'Edinost, una società politica slovena, fondata a San Giovanni di Guardiella il 12 novembre 1874, in parte condivideva i temi trattati, specie la posizione sull'uguaglianza linguistica, ma per le sue prese di posizione troppo rigide e poco inclini al dialogo ebbe spesso scontri e non venne appoggiato dalla leadership come candidato alle elezioni del Consiglio Comunale e Regionale.
Per problemi di salute dovette chiudere la pubblicazione, dopo questa data non si hanno più notizie di Anton Jakić, che si può presumere sia ritornato a Podgora. Nel libro "I Croati a Trieste" si legge che Jakić muore per cause naturali il 1943, dopo aver ottenuto dal vescovo la riabilitazione ad officiare in chiesa da sacerdote.

[4] L'impresa Martelanz sorta nel 1890 era specializzata in opere portuali e lavori sottomarini che effettuava con i propri palombari, arrivò ad avere alle proprie dipendenze fino a 1500 persone, lavorò anche in molti palazzi pubblici e privati.

[5] Paskoje Paško Vučetić pittore, decoratore e scultore, nacque a Spalato il 17 febbraio 1871, si spense a Belgrado il 19 marzo 1925
Fece le prime esperienze artistiche nella sua città, si trasferì a Trieste nel 1886 dove seguì un corso di pittura, dal 1893 al 1895 si fermò a Venezia e studiò presso l'Accademia di Belle Arti, continuò gli studi artistici a Monaco di Baviera (1895-1898), si perfezionò a Roma (1898-1902) ed a Firenze (1903). Partecipò con alcune opere all'Esposizione Universale di Parigi del 1900, fra queste forse il dipinto più noto è "Odio e follia" il titolo originale è "Mržnja i ludilo", che l'anno seguente venne esposto a Trieste, per questa tela, alcuni anni dopo, l'architetto Viktor Kovačić realizzò una cornice ottagonale in legno ebanizzato con un intaglio particolare, che ne rafforzò il significato espressivo ed inquietante. Oltre alle decorazioni degli interni di villa Jakić realizzò la decorazione degli interni della National Bank of Serbia, e delle chiese di Radovische, Bor e Lapovo in Serbia, dipinse ritratti di personaggi illustri e politici, vedute e temi di guerra. Partecipò attivamente dell'associazione artistica "Lada" nata nel 1904 a Belgrado. Questo versatile artista si cimentò con la scultura e nel 1909, ricevette il primo premio al concorso per un monumento a Karadjordje a Kalemegdan

[6] Dopo aver rinvenuto nel 1852 presso il porticciolo del Cedas dei ruderi di una villa romana, conseguentemente al casuale ritrovamento di frammenti di mosaico, fra il 1887 e il 1889 vennero effettuate due campagne di scavo che portarono alla luce importanti testimonianze della presenza di lussuose ville e stabilimenti termali d'epoca romana.


Bibliografia
Archivio del Comune - Magistrato Civico F3/10-1 anno1896
Ufficio Tavolare NT 749 - 1812 e succ.
Barcola di Fabio Zubini
Barcola - Un rione di Trieste- di Sergio degli Ivanissevich
Hrvatski Biografski
Istarska Enciklopedja
www.geni.com

Riznica Srpska - likovna Umetnost Paško Vučetić
I Croati a Trieste edizioni Comunità Croata di Trieste

Wikipedia
Archeografo Triestino vol.XXI anno 1896-97

martedì 30 luglio 2019

La Madonna ausiliatrice dei naviganti di Miramare

L'opera di Cameroni definita Ave Maris Stella con alle spalle una nicchia decorata da stelle dorate a rilievo.

L'Arciduca Ferdinando Massimiliano commissionò all'artista veneziano Angelo Cameroni [1], scultore molto apprezzato nella nostra città, una statua che rappresentasse la Madonna da collocare all'esterno del castello di Miramar. Esistendo ancora la quietanza di pagamento di 600 fiorini d'argento firmata dall'artista, possiamo conoscere la data esatta in cui avvenne la consegna dell'opera denominata Ave Maris Stella [2], il 15 aprile 1860.
Per poter meglio collocare temporalmente il fatto, ricordiamo che i lavori per la costruzione del castello iniziarono il 1° marzo 1856 e nel dicembre del 1860 Massimiliano con la consorte Carlotta del Belgio (sua sposa dal 27 luglio 1857) presero alloggio al pianoterra dell’edificio, le cui parti esterne erano terminate mentre gli interni ancora in fase di allestimento.




La scultura alta 1,8 m in pietra bianca d'Orsera venne realizzata per essere collocata sulla facciata di ponente della torre del castello, poggiata su di un piedistallo sagomato in modo da riprendere il motivo delle mensole poste sotto le torrette e con alle spalle una nicchia dallo sfondo tinteggiato di azzurro, decorato da un rilievo di stelle dorate. La Madonna è raffigurata con le braccia protese in segno di protezione dei naviganti, porta sulla fronte una stella, un tempo dorata, e dal capo le scende un manto drappeggiato con cadenze lineari che incornicia la figura composta.

Il 12 aprile 1860 l'Osservatore Triestino riportava il seguente articolo a firma F.Draghi, ripreso dalla Gazzetta ufficiale di Venezia: "Fra tanti valenti scultori, che tengono l'arte in onore a Venezia, havvi il Cameroni, nome ben noto, è basta visitare in questi giorni il suo studio per conoscere quant'ei valga.
Egli tiene due opere in lavoro molto avanzato, una Madonna sotto il titolo di Stella del Mare, per commissione di S.A.I.R. l'Arciduca Ferdinando Massimiliano, generoso mecenate, ed una Giovanetta orante pel sig. Nicolò Bottacin di Trieste.
La prima di queste opere è una statua di decorazione più grande del vero, che andrà collocata nel Castello di Miramar, all'altezza di quaranta piedi dal terreno, in una nicchia verso il mare, e rappresenta la Vergine ritta in piedi con le braccia distese in atto di proteggere i naviganti. Sopra l'augusta sua fronte vedesi la simbolica stella, che, dorata e ripercossa dalla luce, si farà scorger da lungi. Il sentimento di misericordia, che traspare da questa statua, tornerà di conforto e speranza al marinaio periclitante ... Collocata a suo luogo, otterrà senza dubbio ottimo effetto, avendo l'artista calcolata la distanza... Servirà questa bella produzione dello scalpello d'ornamento e di devozione sul castello di Miramar...".



Facciata di ponente del castello di Miramare, nella torre, sotto l'orologio, la nicchia con la scultura della Madonna.

Si pensa che con la scelta di questa immagine l'Arciduca abbia voluto onorare la Madonna di Grignano, guida e protezione dei naviganti, per render grazia a quanto avvenuto nel 1855 mentre stava veleggiando sul bragozzo di guerra "Madonna della Salute": dopo un'improvvisa tempesta con forti raffiche di bora trovò un fortuito riparo proprio nella baia di Grignano, dove fu ospitato nella casa del pescatore Mihael Daneu. La tradizione vuole pure che al mattino, colpito dalla bellezza selvaggia della zona e dallo splendido panorama, abbia deciso di far costruire un castello sul promontorio a picco sul mare per stabilirvi la sua residenza.

All'antica scultura in legno dipinto raffigurante le figure coronate di vergine e bambino da tempo immemore si affidavano i marinai, come testimoniavano i numerosi ex voto che la circondavano e la chiesetta di Santa Maria di Grignano che la ospitava risulta già menzionata in un legato testamentario del 1349 [3], è probabile però che l'edificio sacro fosse preesistente a questa data [4].


La statua in legno dipinto della "Madonna di Grignano" appartiene a una tipologia prodotta durante un lungo arco di tempo, dal XIII al XVII secolo, evidente l'influsso nordico, denunciata dal collo grosso, i pomelli pronunciati e le arcate sopraciliari sviluppate (Mons. Luigi Parentin).
Foto e didascalia tratte da: Il Santuario e il Convento di Grignano di Sergio degli Ivanissevich

Nel 1634 la chiesetta dedicata alla Beata Vergine Annunziata venne ampliata e adiacente a questa fu costruito un convento, cresciuta negli anni la venerazione del santuario, questo divenne meta di pellegrini del Cragno, del Goriziano, dell'Istria, della Carinzia e della Stiria. Il 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, a Grignano si teneva una grande festa e nella chiesetta veniva celebrata una messa solenne preceduta da una processione proveniente da Trieste. Nel 1660 anche l'imperatore Leopoldo I in viaggio su una galeotta verso Trieste, dopo aver pernottato nel castello di Duino, volle fermarsi nella baia per una visita alla chiesa e al convento.
Nonostante la fama del Santuario i padri ebbero costante difficoltà a mantenere quel luogo di culto sostenuto solo dalle offerte dei fedeli e dalle modeste entrate delle vigne, questo uno dei motivi per cui nel 1784 venne soppresso in seguito alla riforma dell'imperatore Giuseppe II, in quell'occasione Costantino Hraster, ultimo padre custode, riuscì a trasportare la statua della Madonna di Grignano, prima nel convento a Trieste, poi nel 1786 nella, da poco edificata, chiesa della Santissima Trinità a Cattinara; convento e chiesa ormai in rovina saranno demoliti nel 1833. Nel 1932 durante alcuni lavori di restauro l'effige venne traslata in soffitta e ivi dimenticata. Nel 1958 dopo la benedizione della nuova chiesa di Grignano dedicata ai Santi Eufemia e Tecla, gli abitanti reclamarono l'antica scultura, ma il parroco di Cattinara preferì trasferire l'immagine in un'edicola dove venne trafugata il 29 dicembre 1974.



Particolare della lastra marmorea con l'epigrafe latina scritta da Kandler.


Tornando al castello di Miramare può essere interessante ricordare che la Madonna ausiliatrice viene ricordata anche nell'epigrafe latina scritta da Kandler incisa nella lastra di marmo posta in testa alla scalinata che conduce all'approdo sotto il castello e voluta da Massimiliano nel 1864, prima della sua partenza per il Messico.
Ne riporto la traduzione in lingua italiana ad opera di A. Scocchi (1926):
"Ferdinando Massimiliano Giuseppe - arciduca d'Austria e principe reale d'Ungheria e di Boemia, comandante dell'armata navale austriaca, governatore della Lombardia e del Veneto, poi eletto e proclamato imperatore del Messico - restituì alla sua leggiadria il decaduto promontorio di Grignano, già residenza splendida di antichi romani, poi santuario della Madonna del soccorso nelle burrasche, consacrato dalle preghiere di religiosi; fece erigere il castello e il parco - cui pose il nome di Miramar 1864 -".


In una foto d'epoca la lastra marmorea con l'iscrizione di Kandler, posta al centro della scalinata che conduce al porticciolo.
Foto collezione Iure Barac



[1] Angelo Cameroni (nato a Venezia nel 1817(?) e ivi morto nel 1867)
Scultore veneziano molto apprezzato nella nostra città, dove realizzò diverse opere sia per commissione del Comune che di nobili e facoltose famiglie e mecenati.
Delle tante sculture, busti e decorazioni voglio ricordare: i bassorilievi raffiguranti le allegorie dell'Architettura, Scultura e Navigazione inserite nelle lunette che ornano il palazzo Corti, più noto come palazzo Vivante, in largo Papa Giovanni XXIII; il gruppo scultoreo collocato sulla parte alta della facciata del Ferdinandeo, con al centro, fra le allegorie della Pace e della Giustizia, il busto dell'imperatore Ferdinando I incorniciato da una ghirlanda, sul gradino inciso il suo motto "Recta Tueri" (a difesa della giustizia); la realizzazione delle cariatidi poste sul cornicione a decorare il piano più alto dell'imponente Teatro Sociale, poi Armonia e dal 1902 Teatro Goldoni nell'omonima piazza, dopo la demolizione del teatro quattro delle figure femminili andarono a decorare la facciata della casa Sartori a Monte d'Oro in via Flavia di Stramare; infine due opere realizzate per Nicola Bottacin, abile commerciante, collezionista, numismatico con la passione per la botanica, attualmente esposte all'omonimo museo nel Palazzo Zuckermann a Padova, "la fanciulla in preghiera", già citata nell'articolo dell'Osservatore Triestino del 12 aprile 1860 e il busto del mecenate, opera rimasta incompiuta per l'improvvisa morte dello scultore.
Cameroni inoltre realizzò una vasta produzione di opere scultoree destinate a monumenti funebri presenti nel cimitero cattolico di San'Anna e negli altri cimiteri limitrofi di differente fede religiosa.


[2] L'origine della denominazione "Stella Maris"
Già nei tempi antichi la Madonna veniva invocata come guida o protettrice di chi viaggia in mare, però ci sono diverse interpretazioni sull'attribuzione del nome "Stella Maris" alla Vergine Maria, la più diffusa lo fa derivare dalla traduzione latina che fece San Girolamo dell’opera "Onomasticon" del vescovo e scrittore greco Eusebio di Cesarea, la parola in questione, appartenente alla lingua ebraica, è "Miryam" ovvero "goccia del mare", tradotta in "Stilla Maris" per poi essere riscritta in modo errato da un anonimo copista come "Stella Maris", diventando così di uso comune.


[3] Lo studioso Luigi de Jenner scrive nei suoi appunti che nel 1349 la vedova Donata Cadoli de Cadulo fece un legato testamentario alla Confraternita di Santa Maria di Grignano.


[4] Inoltre de Jenner cita un documento del 1308, oggi non più esistente, dove non è ben identificabile la chiesetta in questione.
Sergio degli Ivanissevich nel libro "Il Santuario e il convento di Grignano" cita un documento del 1315 del catasto del monastero benedettino dei Santi Martiri di Trieste, dove viene riportata una donazione da parte del monastero: di una casa, un pezzo di terra e cinque vigne a Piero detto Rosso, con l'obbligo di custodire la chiesa di Santa Maria di Grignana (sic.).




Per approfondire la storia della chiesa di Santa Maria e del  Convento della Beata Vergine di Grignano  https://quitrieste.it/tag/convento-della-beata-vergine-di-grignano/ 

Bibliografia
Grignano e Miramare di Fabio Zubini
il muso storico del castello di miramare di Rossella Fabiani
Il Santuario e il convento di Grignano di Sergio degli Ivanissevich
Miramare di A. Scocchi 1926
Miramar di Erminio Metlikovitz
Domenico Fabris, Angelo Cameroni e Luigi Tommasi nel teatro L’Armonia di Trieste di Massimo De Grassi
La scultura nel Friuli-Venezia Giulia - Dal Quattrocento al Novecento di P. Goi
Stella Maris dal sito del Vaticano 
L'Osservatore Triestino del 12 aprile 1860
Le sculture dei cimiteri triestini di Luca Bellocchi


sabato 18 maggio 2019

Piazza e fontana della Zonta

1787 - Pianta e spaccato della copertura della fontana della Zonta, progetto acquerellato dell'ingegner Humpel.
Depositato presso l'Archivio di Stato di Trieste (Archivio Piani 378).

Dopo il progressivo abbandono dell'acquedotto romano le fonti di approvvigionamento idrico per i cittadini erano pozzi, cisterne, fontane e fontanoni, quest'ultimi erano protetti da una struttura architettonica in pietra, dotati di un ampio vano sotterraneo che permetteva il mantenimento di una notevole riserva d'acqua e, per agevolarne l'utilizzo, solitamente costruiti al centro delle piazze.

Una delle più antiche fontane della città era quella della Zonta [1], che aveva dato il nome alla piazza in cui si trovava e alla contrada che vi convertiva assieme alla via Valdirivo [2], la via dei del Molino Piccolo, che corrisponde all'attuale via Milano, e la via dei Cordaiuoli, sparita nel 1903 con la demolizione dei bassi capannoni della la fabbrica di cordami di Nicolò Sinibaldi.

1- in piazza della Zonta l'omonimo fontanone
2 - l'edificio con la trattoria che dal 1880 sarà denominata "Restaurant alla città di Francoforte"
3 - il lavatoio che sarà demolito probabilmente nel 1826
Parallelamente a via del Torrente (Carducci) si notano la serie di capannoni della corderia Sinibaldi e la via dei Cordaroli con l'omonima piazzetta.

Credo sia utile un confronto con la situazione attuale, n.1 dove si trovava la piazza con la fontana della Zonta e n.2 la trattoria, oggi si trova il palazzo Talenti che si affaccia sulla via Carducci, via Milano, via Mercadante e via Valdirivo, in alto della mappa il n.3 dove si trovava l'antico lavatoio, nel 1838 è stato costruito l'edificio conosciuto come Casa Czorzy, che si trova all'angolo fra la piazza Oberdan e via del Lavatoio.

Originariamente la fonte era detta di "San Niceforo", in onore del Santo che pare sia stato il primo vescovo di Pedena e che, come narra la leggenda, fece scaturire l'acqua in questo luogo e in altri paesi dell'Istria; denominata anche "Fontis Juncte", volgarizzato in Fontana della Zonta, come attestato in un documento del 1405 dove viene citata la "contrada Fontane de la Zonta".

Questo nome deriva dal fatto che la sua acqua di ottima qualità veniva gettata sulle vinacce generando il vino d'autunno, un vino piacevole e leggero chiamato "vino piccolo", Rutteri scrive che la vendita di tale vinello era concessa dagli statuti medievali del 1350, purché fosse limitata al periodo definito e il prezzo proporzionale alla qualità, mentre l'adulterazione e l'annacquamento del vino comune venivano severamente puniti.


Il lavatoio
In questa fonte l'acqua era tanto abbondante che nel 1760 venne fatto spurgare il serbatoio per alimentare, tramite un canale sotterraneo, il primo lavatoio[3] pubblico della città, appositamente costruito nelle vicinanze e che diede il nome alla via che ancora oggi ha mantenuto l'antica intestazione, tale lavatoio venne abbandonato probabilmente nel 1826 e la zona rimase sprovvista di questo servizio fino al 1831 quando entrò in attività un nuovo lavatoio con l'ingresso in via del Coroneo.


Pianta e spaccato del primo lavatoio della città costruito nel 1760, si nota la caratteristica forma trapezoidale con al centro un pozzo, era dotato di rostra per l'apertura e la chiusura dell'afflusso dell'acqua - Tavola datata 25 giugno del 1824 realizzata per la necessità di apportare delle modifiche alle vasche e al pozzo.
(Depositato presso l'Archivio di Stato di Trieste - Archivio Piani 385)


Progetto datato giugno 1825 prevede la costruzione di un nuovo canale di collegamento fra la fontana della Zonta e il Lavatoio, in quanto nel precedente si avevano delle perdite d'acqua.
Firmato Dall'Ispezione delle Pubbliche Fabbriche - Ferrari
A destra del lavatoio pubblico la contrada del Lavatoio, seguono parallele: la contrada del Mulin Piccolo (via Milano) e via Bau da Riu (via Valdirivo)[2], la via traversa è via della Caserma, attuale via XXX Ottobre.


Le coperture della fontana della Zonta
Nel 1787 l'ingegnere Humpel progettò una copertura a forma ottagonale con il fine di regolarizzare e consolidare il perimetro e rendere il fontanone decoroso e funzionale (vedi prima foto).
Si legge nella perigrafia pubblicata da A. Cratey nel 1808 che davanti alle vasche delle fontane c'era una colonnina in pietra alla quale era fissata mediante una catena una "cazzuola" (sinonimo di caziul- mestolo - ramaiolo) per agevolare chi volesse bere ...sistema pratico, ma di certo poco igienico in un periodo ancora martoriato da frequenti epidemie.
Successive modifiche alla struttura fecero sparire colonna e cazzuola.


Crollo della fontana
Nefasto fu il restauro del 1820, il comune aveva indetto un concorso per realizzare una nuova copertura e l'appalto fu vinto dal capo muratore Felice Somazzi, nativo di Canobbio (Svizzera), il progetto era stato attuato dagli ingegneri delle Pubbliche Costruzioni la cui direzione, da poco lasciata da Pietro Nobile, era passata all'ex capitano di artiglieria conte Giuseppe Huin. Durante gli anni della sua carica diverse costruzioni ebbero cedimenti e inconvenienti, per questo ricevette numerose critiche, fra gli altri dall'architetto Giuseppe Righetti che gli rimproverò inesperienza, ingenuità e troppa condiscendenza con i suoi subalterni e riguardo al fontanone scriveva: "...riempiendo con quella forma imbarazzante una piazza tanto necessaria", mentre Domenico Rossetti rimarcava la discutibilità estetica delle sue realizzazioni.


"Fontana di S. Niceforo e fontanone della Zonta crollato mentre si costruiva in Trieste"
(Biblioteca civica Attilio Hortis - Trieste -St.906)

Per la copertura del fontanone era necessaria una costruzione funzionale e di facile manutenzione ed è innegabile che la struttura progettata fosse troppo ampia per la piccola piazza e troppo complessa con le sue otto aperture ad arco e un rivestimento in pietra lavorata.
Tra le 13 e le 14 del 15 luglio 1821, a lavori quasi ultimati, la costruzione crollò completamente travolgendo il lavorante Giuseppe Frascarolli che rimase ucciso. L'imprenditore attribuì la causa dell'incidente alla gran quantità di piogge che si erano riversate sulla città nei mesi primaverili, quando la copertura non era ancora realizzata, e al nubifragio avvenuto la notte precedente che aveva fatto straripare il torrente e infradiciato il terreno, escluse invece che l'incidente fosse dovuto alla sua incuria. Le autorità discussero a lungo sulle possibili cause, venne inviata una commissione sul posto, che, pur non riuscendo a chiarire completamente le ragioni del crollo, concluse che questo fosse la conseguenza dei fenomeni atmosferici avversi, ciò nonostante il Magistrato rimase nella convinzione che la responsabilità andava al Somazzi, la cui difesa venne presa dal Procuratore Civico Domenico Rossetti che fra le altre argomentazioni ricordò che il lavoro era stato svolto sotto la sorveglianza delle Pubbliche Fabbriche e che comunque il muratore privo di mezzi: "uomo miserabile da cui in nessun caso nulla sarà da sperare di risarcimento" non avrebbe potuto pagare eventuali risarcimenti. La causa che proseguì per un anno si concluse con un verdetto di assoluzione.
Dopo aver apportato alcune modifiche al progetto iniziale venne predisposta la riedificazione del fontanone, impiegando per la nuova costruzione il materiale del crollo e quello ancora non utilizzato, i lavori furono affidati agli imprenditori Valentino Valle e Angelo Torian e, visto che la fontana era ancora utilizzabile, per non togliere ai cittadini un importante punto di approvvigionamento idrico si attese la fine del periodo estivo per iniziare la ricostruzione.



Schizzo del fontanone della Zonta con l'imponente struttura ottagonale in pietra, la costruzione a destra fa parte dei capannoni della corderia Sinibaldi.
Illustrazione del libro "Passeggiata storica per Trieste" di A. Tribel

La straordinaria siccità del 1822
L'acquedotto Teresiano, terminato nel 1751, si stava rivelando sempre più inadeguato a garantire l'approvvigionamento idrico di una città la cui popolazione era di molto cresciuta rispetto alla prima metà del settecento e durante l'estate del 1822, complice una straordinaria siccità, molte fontane e pozzi rimasero a secco. Da un'indagine condotta in quell'anno dal medico de Garzarolli e dal farmacista Boara, nella città si contavano 27 fra pozzi e fontanoni pubblici, un numero comunque insufficiente per le necessità della popolazione. Venne istituita una commissione per far pulire e sistemare i vecchi pozzi ed aprirne di nuovi, i proprietari di pozzi privati furono invitati a mettere l'acqua a disposizione dei cittadini, l'acqua della fontana della Zonta, anche se intorbidata per il cantiere in corso era ancora abbondante, sospesi i lavori, venne fatta depurare per poterla rendere potabile e disponibile alla collettività, inoltre fu realizzata una conduttura sotterranea per convogliare l’acqua ai due mascheroni posti alla fine del Canale a beneficio delle imbarcazioni, a questo proposito Generini scrive che quest'opera fu di breve durata, poiché nel corso della costruzione della chiesa di Sant'Antonio iniziata nel 1828 la condotta andò distrutta e non fu mai riparata.
Trovo interessante inserire una valutazione fatta nel 1822 [4], dove viene indicato che la disponibilità totale d’acqua della città ammontava a 2.254 metri cubi giornalieri, di cui 1.100, quasi la metà, era fornita da pozzi e fontanoni. Nonostante siccità e imprevisti la nuova copertura venne completata il 7 settembre 1822.

In questo dipinto ad olio di Ernesto Croci è ripresa piazza della Zonta con la struttura in pietra del fontanone, i carri con le botti attendono per prelevare l'acqua.
Foto proprietà CMSA

Fontane e arsura estiva
In una giornata dell'agosto di quell'anno di particolare siccità al fontanone della Zonta è documentata una fila di 397 donne, un numero veramente elevato, anche se le lunghe attese erano abituali venivano ingannate con chiacchierate e spesso davano luogo a liti per i diritti di preminenza per attingere l’acqua, soprattutto in presenza di chi doveva riempire le botti a discapito delle massaie, fantesche, porta-acqua che munite di mastelli, orne, secchi e quant'altro desideravano rincasare quanto prima portando il recipiente colmo sul capo protetto dallo "zvitek" o cercine.

Chi non poteva o voleva recarsi alle fontane comperava l'acqua che veniva consegnata a domicilio anche ai piani più alti da "le porta acqua", robuste donne che fornivano il servizio a pagamento, inoltre c'era "el furlan de la bota", che trasportava su un carro una grande botte piena d'acqua che poi veniva travasata in brente e consegnata sia alle famiglie che ai caffè, trattorie, pasticcerie e ovunque ve ne fosse bisogno, 20 litri d'acqua venivano pagati circa 2 soldi.
Un altro mestiere sparito nei primi anni del 1900, cioè quando quasi tutti i punti pubblici di rifornimento idrico vennero allacciati all'acquedotto, era quello del Civico fontanaro, preposto al controllo del livello dell'acqua e dello stato di pozzi, cisterne e fontane, il quale mensilmente consegnava un rapporto all'Ufficio delle Pubbliche Fabbriche acque e strade del litorale.
Mantenere le riserve d'acqua, oltre che per il suo uso domestico, era fondamentale in caso d'incendio, per l'irrigazione dei campi, per le attività lavorative, per bagnare le strade e la cronica carestia di un bene così vitale aveva portato i triestini in preda allo sconforto a chiedere un aiuto molto in alto, tanto che, tramite il Magistrato, inviarono una lettera al Vescovo chiedendogli di intercedere con preghiere e quant'altro fosse nelle sue possibilità con l'Onnipotente affinché facesse piovere, non ci è dato di sapere se tali suppliche furono esaudite in tempi brevi, ma tenendo conto delle stranezze atmosferiche della nostra città non mi stupirebbe se alla richiesta fosse seguito un nubifragio.

Durante i lunghi periodi di siccità venivano emanate ordinanze straordinarie che potevano riguardare le restrizioni idriche, l'indicazione dei fontanoni più riforniti o quelli dove era possibile prelevare l'acqua con le botti, le comunicazioni venivano trasmesse tramite stampati affissi per le strade.


Manifesto bilingue datato 11 luglio 1823 "da affiggere per la città" dove viene indicato che l'acqua con le botti potrà essere prelevata unicamente dal fontanone del Borgo Franceschino (nell'attuale piazza V. Giotti) costruito nel 1822 e sistemato appositamente a questo scopo.


Demolito il fontanone l'area della piazza era stata adibita a mercato.
Foto collezione A. Paladini

Demolizione della fontana della Zonta
Negli anni successivi ci furono altre ristrutturazioni, l'imponente costruzione venne interessata da diversi lavori di modifica, oltre alla manutenzione ordinaria ebbe spesso necessità di pitturazioni e riparazioni specialmente alla copertura.
Con il progetto di una nuova definizione degli spazi urbani del Borgo Teresiano, nel 1889 il Consiglio Municipale decise la demolizione della fontana, destinando lo spazio a mercato per la vendita di derrate e funghi, in quest'area vennero trasferite le rivenditrici di latte che svolgevano la propria attività in piazza San Giovanni.
I punti idrici di pubblico servizio erano ancora indispensabile e l'antica fontana della Zonta fu sostituita da una più modesta in ghisa sormontata da un lampione a tre bracci.


In primo piano la fontana in ghisa sormontata da un lampione a tre bracci. Sullo sfondo l'edificio che ospitava il "Restaurant alla città di Francoforte" a destra parte della costruzione della corderia Sinibaldi.
Parte di una foto stereoscopica, proprietà CMSA

Piazza della Zonta con la fontana in ghisa, alcuni carretti e bancherelle del mercato i tavolini all'aperto davanti al "Restaurant Città di Francoforte" in fondo il crinale del colle di Scorcola con villa Geiringer costruita nel 1896
Foto collezione Iure Barac

Restaurant alla città di Francoforte
Al numero 3 della piazza della Zonta si trovava un edificio con al pianterreno una trattoria che risulta già dal 1880 denominata "Restaurant alla città di Francoforte" e che si faceva notare per la bella illuminazione esterna che rischiarava tutta la piazza, offriva delle ottime vivande ed era frequentata da tutti i ceti, ma rinomata in particolar modo per gli ottimi piatti di trippe che costituivano la merenda di mezza mattina dei molti artigiani e operai che lavoravano nel borgo Teresiano. Il locale era anche noto ai triestini come "Osteria ai porchetti".
L'esercizio cambiò diverse gestioni e quando la piazza sparì nel 1907 per lasciare spazio alla costruzione del Palazzo Talenti [5], la trattoria si spostò nell'edificio di via Mercadante, dopo il primo conflitto mondiale ebbe la denominazione ufficiale "Agli antichi Porchetti".


Davanti al "Restaurant alla città di Francoforte" in piazza della Zonta si possono scorgere molti tavolini all'aperto e diversi lampioni.
Cartolina viaggiata 5 aprile 1899 collezione Antonio Paladini.


[1] Zonta - zontadura - zontar
sono termini dialettali sempre in uso che significano aggiungere o congiungere

[2] Via Valdirivo, già Baudariù nell'antico dialetto triestino, contrazione di Val del Riu, valle del rivo; perché un tempo in quella zona c'erano vasti campi e le saline, attraverso le quali scorreva un rivo che si riversava nelle acque del mare.

[3] Era un lavatoio pubblico di forma trapezoidale con una rostra che veniva aperta al mattino per far affluire l'acqua limpida nel fosso dove si lavavano i panni. L'acqua rimaneva la stessa fino alla sera quando un'altra rostra veniva aperta per far defluire l'acqua sporca. Per questo motivo dopo le piogge le donne preferivano recarsi a lavare i panni nel torrente e ricorrevano al lavatoio principalmente nei periodi di siccità. Il lavatoio venne abbandonato pare nel 1826, il terreno venne venduto nel 1831 alla ditta Buchler e Comp. per la costruzione nel 1838 dell'edificio conosciuto come Casa Czorzy, su progetto dell'architetto Giovanni Battista de Puppi.

[4] Nel 1882 il numero di abitanti della città era arrivato a 140.000 e le disponibilità d'acqua le seguenti: - acquedotto di Aurisina. 954 mc/giorno - acquedotto teresiano 200 mc/giorno - pozzi pubblici 700 mc/giorno - pozzi privati 400 mc/giorno

[5] Il palazzo Talenti è uno storico immobile cittadino con diversi ingressi: in via Valdirivo 40, in via Carducci 7 e in via Saverio Mercadante 1. Ai primi del 900, al pianterreno aveva sede lo storico Caffè Nova York. Nell'ottobre del 2015 l'edificio è stato restaurato e trasformato in un "Residence".



Bibliografia
Documenti dell'Archivio Generale F.65 F.25-28
Fontane a Trieste di Fiorenza De Vecchi - Lorenza Resciniti - Marzia Vidulli Torlo
Archeografo triestino 1883 pag 112
Perigrafia dell'origine dei nomi imposti alle androne, contrade e piazze di Trieste - pubblicata nell'anno 1808 da Antonio Cratey
Borgo Teresiano vol.I di Fabio Zubini
Trieste Storia ed Arte tra vie e piazze di Silvio Rutteri
Cenni Storici,biografici e critici degli artisti ed ingegneri di Trieste di Giuseppe Righetti
Vocabolario del dialetto triestino di Ernesto Kosovitz
Il problema dell'acqua nella provincia di Trieste Agegas 16 giugno 1988

domenica 14 aprile 2019

James Joyce e il "Cinematograph Volta" a Dublino


L'ingresso di quello che è stato il cinema Volta in Mary Street N°45 - Collezione Liam O’Leary Archive


James Joyce nel 1905 partì da Dublino, sua città natale, e dopo un periodo travagliato trovò un posto come insegnante d'inglese alla Berlitz School di Trieste, nel 1907 lasciò la scuola per dedicarsi all'insegnamento privato, ma causa le modeste entrate e la vita disordinata visse eternamente in lotta con la miseria. Nel 1909 sua sorella Eva, che lo aveva accompagnato a Trieste, si stupì di quante sale cinematografiche fossero attive in una città così piccola, mentre a Dublino non ne esistevano ancora; Joyce fu subito catturato da questa idea, affascinato dallo spettacolo cinematografico con le sue grandi possibilità artistiche ancora inespresse e dai possibili guadagni.
Anche a Dublino, come in altre città, si erano già viste proiezioni, la prima si ebbe nell'aprile del 1896 al "Palace of Varieties" oggi "Teatro Olympia" (John McCourt), queste però avvenivano nei baracconi alle fiere o in altri locali occasionali, mancavano le sale destinate esclusivamente alle proiezioni.

Con entusiasmo espose il progetto al suo amico, l'avvocato Nicolò Vidacovich, il quale per sovvenzionare l'impresa pensò a un gruppo di imprenditori che pur avendo costruito le loro fortune commerciando in tessuti, pellami e tappezzerie, non erano nuovi a questo genere di attività: Giuseppe Caris e Giovanni Rebez, gestori del Cineografo Americano e del Salone Edison a Trieste e del cinema Volta a Bucarest, e Antonio Machnich, proprietario di un cinematografo ambulante. Creata una società i quattro si imbarcarono in una coraggiosa avventura imprenditoriale che prevedeva di aprire sale cinematografiche stabili oltre che a Dublino anche a Belfast e a Cork (progetti, questi ultimi due, che non videro però mai la luce).


                                                                  
Una targa esposta all'esterno della Farmacia alla Borsa ricorda che quegli spazi furono occupati dal Cineografo Americano e che il gestore, Giuseppe Caris, fu uno degli impresari che seguendo l'idea di James Joyce aprì il Cinematograph Volta a Dublino.


Il 16 ottobre 1909 Joyce e i suoi soci si recarono allo studio dell'avvocato Nicolò Vidacovich, dove venne stilato un contratto piuttosto particolare, che salvava Joyce da ogni perdita e senza dover investire nulla avrebbe ricevuto il 10% dei profitti, da parte sua si sarebbe impegnato a trovare la sala, a sbrigare tutte le questioni preliminari e a dirigere la sala nei mesi estivi, espediente che gli avrebbe anche permesso di sfuggire dalla calura estiva di Trieste.

James Joyce nei primi anni del 1900 (foto da Joyce Museum)


I preparativi della sala cinematografica
Pochi giorni dopo (il 21 ottobre) lo scrittore lasciò la famiglia a Trieste e finanziato dai partner partì euforico verso l'Irlanda per cercare il locale adatto, che trovò al pianterreno di un palazzo in mattoni rossi al n°45 di Mary Street; lo fece adattare senza grosse modifiche, arredandolo in modo economico, ma gradevole con l'interno decorato in azzurro e cremisi.

Poco prima dell'inaugurazione arrivarono da Trieste il proiezionista Guido Lenardon e Francesco Novak, titolare di un negozio di biciclette, il quale oltre a dedicarsi all'installazione degli impianti venne incaricato, dopo essere stato aggiunto alla società come nuovo partner, della gestione del cinema stesso. La sua presenza si rese necessaria in quanto sia Joyce che gli altri soci per motivi di lavoro non avevano la possibilità di fermarsi a lungo a Dublino. Dopo aver completato l'allestimento della sala e delle apparecchiature, aver fatto richiesta per la licenza cinematografica, selezionato i film da proiettare e fatto stampare le locandine, Joyce disegnò personalmente i manifesti per l'inaugurazione (purtroppo oggi perduti) e iniziò un importante lancio pubblicitario.

Ci furono diversi contrattempi, fra gli altri, pochi giorni prima dell'apertura la sparizione del capo elettricista, cosa che obbligò Joyce a cercare velocemente un sostituto, probabilmente in questa occasione assunse il diciannovenne Lennie Collinge, che divenne poi aiutante e co-proiezionista di Lenardon, anche la licenza si faceva attendere e alla fine riuscì a ottenere un foglio provvisorio.

In questo periodo Joyce scrisse diverse lettere a Nora, della quale sentiva molto la mancanza, manifestando il desiderio di raggiungerla appena possibile e al fratello Stanislaus, che era il sostenitore morale e finanziario della sua famiglia. Da questi brevi scritti si può comprendere come Joyce avesse trascorso questo periodo a Dublino, vengono descritte le pesanti giornate ricche di impegni nelle quali si alternavano frequenti delusioni a pochi momenti di soddisfazione, sempre però vissute con eccitazione per la prospettiva di successo e di una buona resa economica.


Inaugurazione del "Cinematograph Volta"
L'attività frenetica di quei mesi si concluse il 20 dicembre 1909 con l'inaugurazione della sala che era stata denominata "Cinematograph Volta", il programma della serata prevedeva la proiezione di sei titoli[1] e vi fu un afflusso tale che la polizia dovette intervenire per mantenere l'ordine.

Biglietti per l'ingresso al Cinematograph Volta - Collezione Liam O’Leary Archive


Gli spettacoli erano accompagnati da musica dal vivo, duravano circa tre quarti d'ora e si susseguivano dalle 17 alle 22, con un cambio di programma ogni due settimane.
Il giorno seguente l'apertura della sala sul "The Evening Telegraph" di Dublino uscì un articolo con una valutazione molto positiva sull'attrezzatura e l'arredo della sala, ma una critica sulla scelta della pellicola di "Beatrice Cenci" ritenuta di notevole qualità, ma con una trama troppo tragica per essere presentata in prossimità delle festività natalizie.
Le critiche della stampa si mantennero positive e i programmi delle serate vennero pubblicati con regolarità sui giornali "Sinn Féin" e "The Evening Telegraph".

Ai primi giorni di gennaio, appena ottenuta la licenza definitiva, Joyce ritornò a Trieste, continuando però a seguire l'attività compatibilmente con i suoi impegni letterari, probabilmente sua infatti la proposta di invitare gli studenti dell'Artane School ad assistere ad alcune matinée, iniziativa che oltre a divertire i ragazzi contribuì a pubblicizzare l'esercizio, grazie agli articoli che ne seguirono.


Fine dell'attività
La responsabilità della gestione rimase nelle mani di Novak che, da quanto viene riportato, non conosceva la lingua inglese e non amava il clima umido e piovoso di Dublino, ma che comunque aveva investito una discreta somma nell'attività.
La sala inizialmente sempre piena, con il passare dei mesi vide scemare la partecipazione del pubblico, tra le possibili cause le pellicole, che potrebbero non aver incontrato i gusti locali, nonostante fosse stato offerto un programma variegato con commedie, numerose comiche del francese André Deed, disegni animati, film storici, di magia, soprattutto di provenienza francese, ma anche italiana, americana e inglese. Sicuramente avranno creato qualche disagio le didascalie in lingua italiana, cosa che obbligava gli spettatori a leggerne la traduzione da un volantino consegnato all'ingresso. Le spese erano comunque notevoli, sia per la spedizione delle pellicole che venivano inviate da Trieste, che per il mantenimento del personale che in gran parte si trovava in trasferta. Questi potrebbero essere alcuni motivi per cui continuare l'attività divenne economicamente insostenibile, quanto sappiamo di certo è che per il fratello Stanislaus Joyce il declino dell'attività era iniziato il giorno in cui James aveva lasciato Dublino.
Il 18 aprile 1910 Caris, Machnich, Rebez e Novak notificarono a Joyce, tramite una lettera dell'avvocato Vidacovich, la volontà di vendere quanto prima l'impresa visti i passivi dell'attività

Il sogno di Joyce era durato poco e in una lettera scritta al fratello si rammarica del fatto che la vendita della sala non fosse stata trattata dal padre John Stanislaus, che essendo di Dublino avrebbe potuto spuntare un prezzo migliore rispetto a Novak che la cedette in perdita per 1000 sterline (lettera del 13 giugno 1910).

Le delusioni non erano finite per Joyce che si sentì truffato dai suoi soci in quanto non ricevette mai la quota di 1000 corone che era stata pattuita, decisione motivata dalle notevoli perdite economiche subite dalla società. Volle anche condividere lo sconforto con l'amico Ettore Schmitz [2] che gli rispose con queste parole: "...eri così eccitato per l'affare del cinematografo, che per tutto il viaggio non ho fatto che pensare alla tua faccia stravolta... La tua sorpresa per essere stato giocato dimostra che sei un letterato puro. Essere truffati non dimostra ancora nulla. Ma essere truffati e manifestare gran sorpresa e non prenderla come una cosa naturale, questo è davvero da letterati." (lettera del 15 giugno 1910).

Cessione dell'impresa
Il 14 giugno 1910 l'attività passò al Provincial Cinematograph Theatre, il locale, ristrutturato e ampliato rimase operativo per diversi anni, nel 1921 venne rinominato "Lyceum" e chiuso nel 1948.
La sala ora è parte del grande magazzino Penneys, dal 2007 sulla facciata c'è una targa in ricordo del primo cinema stabile della città.


 In Mary Street  dove un tempo si trovava il cinema Volta nel 2007 venne applicata questa targa che riassume la storia della sala. (foto tratta da comeheretome.com)
Il palazzo al  n°45 di Mary Street un tempo sede del Cinematograph Volta oggi proprietà dei Grandi Magazzini Penneys, al centro la targa che ricorda l'apertura della prima sala cinematografica della città.

Nel centenario dell'apertura del Cinematograph Volta venne promossa dall'Assessorato alla Cultura con l'Alpe Adria Cinema la rassegna "1909-2009 da Trieste a Dublino James Joyce ed il Cinema Volta", in quell'occasione si tennero varie esposizioni e dal 15 al 22 gennaio si svolse la ventesima edizione del "Trieste Film Festival" con in programma dieci delle ventuno pellicole giunte fino a noi, sul totale di centoquaranta proiettate nel breve periodo di attività dell'esercizio.



Note
[1] titoli tratti da thebioscope.net
Vorrei ricordare che si trattava di cortometraggi:
The Bewitched Castle (forse Le Château hanté - Pathé 1908)
The First Paris Orphanage (forse La Première pierre d'un asile pour orphelins - Pathé )
Beatrice Cenci (probabilmente Beatrice Cenci - Cines 1909)
Devilled Crab (forse Cretinetti ha ingoiato un gambero - Itala film 1909) André Deed, pseudonimo di Henri André Augustin Chapais
La Pouponnière ( Une Pouponnière à Paris - Éclair 1909)

[2] Aron Hector Schmitz (Trieste 19 dicembre 1861 – Motta di Livenza 13 settembre 1928) quinto di otto figli, nasce da una benestante famiglia ebraica da padre tedesco, Francesco Schmitz commerciante e madre italiana, Allegra Moravia. In seguito cambierà o italianizzerà il suo nome in Ettore Schmitz
Nel 1888 e 1890 firma i primi racconto pubblicati su "l'Indipendente" con lo pseudonimo di Ettore Samigli, nel 1892 scrive il suo primo romanzo "Una vita" con lo pseudonimo di Italo Svevo che manterrà per tutti i suoi scritti successivi.



Bibliografia
"Trieste al Cinema" 1896-1918 di Dejan Kosanović.
The Bioscope 21 gennaio 2009 6 maggio 2007
Lettere di James Joyce a cura di Giorgio Melchiori
James Joyce pioniere del cinema d'Irlanda di Mario Nordio in "La Porta Orientale" rivista giuliana di storia politica e arte - anno VII 1971
James Joyce - Gli anni di Bloom di John McCourt
Catalogo della ventesima edizione di "Trieste Film Festival"