La peste del 1630 e l'edificazione della chiesa
Muggia ebbe una storia molto travagliata, caratterizzata dall'avvicendamento di diverse dominazioni culminate con l'atto di dedizione a Venezia del 1420, l'economia era basata sulla pesca, l'agricoltura e soprattutto sul commercio del sale estratto dalle loro saline; fu pure colpita molte volte dal morbo della peste, ultima l'epidemia del 1630, nota per la precisa descrizione che ne fa il Manzoni nei Promessi Sposi.
Il morbo si diffuse rapidamente nel nord Italia raggiungendo a luglio Venezia, che per interessi commerciali in un primo tempo non volle ammettere l'epidemia ritardando le misure di difesa e i provvedimenti, proprio da qui, probabilmente tramite una galera adibita al commercio, la malattia approdò in Istria, dove colpì in forma gravissima soprattutto le località della costa, arrivando a Capodistria il 20 settembre 1630, con conseguenze devastanti a livello demografico. Con la consapevolezza che la vicina Muggia avrebbe potuto facilmente essere vittima del contagio, al fine di tutelare la salute dei sui sudditi l'Impero Austriaco proibì il commercio del sale con la cittadina, con ripercussioni disastrose per l'economia di quest'ultima.
Per arginare il dilagare dell'epidemia, attorno a Muggia era stato creato un cordone sanitario, ma tale Nicolò Cupituricchio, detto "Matana", eludendo la vigilanza si recò a Capodistria e poco dopo il suo rientro, il 14 luglio 1631 come risulta registrato nel "liber defunctorum", morì di peste nella sua vigna di Riostorto [1]; luogo scelto da quel momento per seppellite le prime vittime del morbo. Con l'aumentare degli ammalati vennero creati un lazzaretto e un cimitero in una zona isolata vicino al mare, in poco più di quattro mesi ci furono 245 morti su circa 1000 abitanti. Il governo di Venezia, per attenuare la sofferenza della comunità, l'8 agosto dello stesso anno inviò 500 ducati e un migliaio di biscotti [2], il mese successivo vennero inviati altri 1500 ducati e all'inizio di ottobre la Chiesa di Muggia venne esentata dal pagamento delle decime. Dopo poco più di quattro mesi finalmente l'epidemia si spense, l'ultimo decesso fu registrato il 20 novembre 1631.
Il morbo si diffuse rapidamente nel nord Italia raggiungendo a luglio Venezia, che per interessi commerciali in un primo tempo non volle ammettere l'epidemia ritardando le misure di difesa e i provvedimenti, proprio da qui, probabilmente tramite una galera adibita al commercio, la malattia approdò in Istria, dove colpì in forma gravissima soprattutto le località della costa, arrivando a Capodistria il 20 settembre 1630, con conseguenze devastanti a livello demografico. Con la consapevolezza che la vicina Muggia avrebbe potuto facilmente essere vittima del contagio, al fine di tutelare la salute dei sui sudditi l'Impero Austriaco proibì il commercio del sale con la cittadina, con ripercussioni disastrose per l'economia di quest'ultima.
Per arginare il dilagare dell'epidemia, attorno a Muggia era stato creato un cordone sanitario, ma tale Nicolò Cupituricchio, detto "Matana", eludendo la vigilanza si recò a Capodistria e poco dopo il suo rientro, il 14 luglio 1631 come risulta registrato nel "liber defunctorum", morì di peste nella sua vigna di Riostorto [1]; luogo scelto da quel momento per seppellite le prime vittime del morbo. Con l'aumentare degli ammalati vennero creati un lazzaretto e un cimitero in una zona isolata vicino al mare, in poco più di quattro mesi ci furono 245 morti su circa 1000 abitanti. Il governo di Venezia, per attenuare la sofferenza della comunità, l'8 agosto dello stesso anno inviò 500 ducati e un migliaio di biscotti [2], il mese successivo vennero inviati altri 1500 ducati e all'inizio di ottobre la Chiesa di Muggia venne esentata dal pagamento delle decime. Dopo poco più di quattro mesi finalmente l'epidemia si spense, l'ultimo decesso fu registrato il 20 novembre 1631.
Finita la pestilenza, per rendere grazia al santo protettore degli appestati, nella zona che era stata adibita a lazzaretto venne costruita una chiesetta dedicata a San Rocco [3], il piccolo edificio sacro aveva tre altari in legno, la facciata sovrastata da un campaniletto a vela e un'abside poligonale.
La chiesa, che apparteneva alla confraternita di San Rocco, in seguito alla soppressione delle confraternite ordinata da Giuseppe II divenne di proprietà comunale.Cantiere San Rocco
Con la volontà di ampliare l'attività della Fabbrica Macchine di Sant'Andrea, i fratelli Strudthoff, figli del fondatore Giorgio Simeone Strudthoff (1786-1847) [4], erano alla ricerca di terreni adatti all'attività cantieristica, destò il loro interesse il litorale muggesano ancora privo di insediamenti industriali, così da Sebastiano Frausin acquistarono un terreno agricolo dove venne realizzata una seconda fonderia (sita dove oggi si trova la caserma dei vigili del fuoco, nel rione ancora oggi denominato "fonderia"), che fu avviata circa nel 1846.
L'arenile dell'ex lazzaretto fu ritenuto ideale, iniziarono immediatamente le trattative per l'acquisto, che si concluse nel 1850 con il modico esborso di 200 fiorini e la condizione di "rifondere e ricollocare entro tre mesi le campane della chiesa parrocchiale".
La strada che da Muggia conduce a San Rocco venne costruita solo nel 1860, proprio per poter accedere al cantiere, per cui per il trasporto delle persone e dei materiali necessari per l'impianto del cantiere, sia che provenissero da Muggia che da Sant'Andrea, veniva utilizzato il veliero Adelina, costruito per l'occasione impiegando 85 operai, i primi dipendenti del cantiere.
Iniziati i lavori, in breve tempo la chiesetta venne inglobata nel cantiere ancora in costruzione. Il quotidiano "Il Diavoletto" nel 1860 riporta che l'edificio venne restaurato e abbellito in chiave gotica a spese degli degli Strudthoff, dunque in questo periodo perdette il suo stile originario.
Inizialmente l'attività del cantiere fu caratterizzata dalla costruzione di navi in legno, per questo furono sufficienti pochi magazzini, alcune tettoie per la custodia degli attrezzi e un deposito per il legname, ma era nelle intenzioni dei fratelli Strudthoff dotare il complesso di impianti e macchinari all'avanguardia, ampliare lo spazio con più vasti interramenti e nel contempo potenziare la Fabbrica di Sant'Andrea, ma per questo occorsero nuovi capitali e finanziatori, quali la ditta Reyer & Schlick, Edmondo Bauer e l'operatore Pasquale Revoltella, da questo accordo, redatto con atto notarile del 27 aprile 1857, nacque la società per azioni che prese il nome di "Stabilimento Tecnico Triestino", che comprendeva la Fabbrica e la fonderia di Sant'Andrea, la fonderia di Muggia e il non ancora completato il cantiere San Rocco.
Sotto la direzione del giovane Edoardo Strudthoff, che dimostrò notevoli doti imprenditoriali, iniziò la ristrutturazione degli scali mediante opere di consolidamento del fondo atte a renderli adeguati alla costruzione di navi di grande tonnellaggio, nel complesso ci vollero 8 anni di lavori per rendere il cantiere pienamente attivo e funzionale. Il primo importante varo, avvenuto 15 maggio 1858, fu piuttosto particolare, si trattò infatti di quello dello stabilimento balneare "Maria", l'elegante bagno galleggiante, mentre prendendo in considerazione unicamente le costruzioni navali, il primo fu un brigantino a palo da 250 tonnellate di portata, ultimato nel 1860 e venduto a un armatore dalmata.
L'anno successivo dall'I.R. Marina di guerra furono commissionate cinque cannoniere in legno, al varo delle ultime delle quali, la Dalmat e l'Hum, volle assistere l'Imperatore Francesco Giuseppe in persona, che giunse al cantiere il 29 maggio 1861.L'impatto economico e sociale
Apro una parentesi sulle risorse muggesane, da tempi remoti il commercio del sale era alla base dell'economia cittadina e dopo la chiusura delle saline, avvenuta fra il 1827 e 29, il sostentamento era fornito principalmente dalla pesca, dall'agricoltura e dalla ripresa dell'attività estrattiva nelle cave di arenaria, le cui pietre dette "masegno" venivano esportate soprattutto a Trieste, che attraversava un momento di grande espansione urbanistica, e utilizzate per lastricare le strade, per la costruzione di edifici e moli, attività comunque non sufficienti a risolvere la pesante crisi economica di Muggia, che vide una fine proprio con le iniziative industriali di G. Tonello e degli Strudthoff, che impiegavano manodopera locale e formavano nuove figure professionali che percepivano uno stipendio spesso basso, ma garantito.
La abitazioni dei dipendenti e villa Strudthoff
Edoardo Strudthoff e lo Stabilimento Tecnico Triestino acquistarono gran parte dei fondi sulle colline circostanti al cantiere, si trattava di: boschi, terreni agricoli, pascoli e alcune aree edificabili dove vennero costruite le prime abitazioni per tecnici e dirigenti del cantiere e successivamente altre più numerose per la manovalanza.
Uno dei primi edifici, presente nelle mappe del 1873 (pc.178-P.T.274), si trova in strada per Fontanella 9, lo ricordo, perché rimane ancora presente nella memoria di molti muggesani come la "La scola del cantier San Rocco", l'edificio fu realizzato per ospitare tecnici e ingegneri e grazie al ricordo di qualche abitante del luogo veniamo a sapere che nel 1932 era ancora abitato dalla famiglia di un ingegnere impiegato nel cantiere; successivamente fu adattato a scuola elementare privata e rimase di proprietà del cantiere fino al 1969, quando venne ceduto al Comune che per alcuni anni lo mantenne come sede scolastica, per poi convertirlo in centro estivo; dopo l'apertura della scuola elementare di Zindis (1972-73) l'edificio fu dismesso e, nonostante siano stati proposti alcuni progetti di recupero, oggi si ritrova in stato di degrado.Parlando invece delle proprietà personali di E.Strudthoff, queste arrivavano fino a Vanisella, con alcuni lotti nel territorio di Ciampore; fra boschi, pascoli e orti, c'erano anche diversi vigneti che producevano un ottimo vino, tanto da valergli la medaglia di bronzo alla grande "Mostra agricola industriale e di belle arti" [5] che si tenne a Trieste nel 1871.
La zona più panoramica era la collina che dominava il cantiere e dalla quale si godeva di una splendida vista del golfo, su questa, lungo contrada San Rocco (che più o meno ricalcava il percorso dell'attuale strada per la Fortezza), costruì la sua villa, che vediamo apparire nelle mappe del territorio già dal 1873; questa era un edificio a due piani, con piccole mansarde e un ampio terrazzo in legno che attraversava la facciata principale, mentre quella rivolta a sud era caratterizzata da una luminosa e ariosa vetrata e dall'ingresso, protetto da un pergolato con rampicanti che offriva riparo durante la stagione estiva, nella parte antistante la villa un ampio parco con una ricca vegetazione scendeva quasi fino alla strada. Alla morte di Edoardo Strudthoff la proprietà passò, come bene indiviso, ai figli: Augusto, Mario, Giulio e Bianca e poi ai nipoti.
Durante le incursioni aeree sul Cantiere, avvenute il 7 e il 20 febbraio 1945, per gli effetti dello spostamento d'aria provocato dalle bombe la villa subì il crollo dell'ala destra, l'edificio venne però riadattato con diverse modifiche e continuò a essere abitato.
Nel corso degli anni le vaste proprietà furono suddivise, le particelle catastali frazionate, scorporate dai corpi tavolari e vendute, sui pendii collinari vennero costruite numerose villette e case rurali.
La parte ancora esistente della villa, in stato di abbandono, è poco riconoscibile, ma si trova in strada per la Fortezza n°12, nella parte alta della facciata ha resistito al tempo una nicchia protetta da un vetro, che ospita due statuette sacre, poste forse dopo la seconda guerra a ricordo dei bombardamenti che lesionarono, ma non colpirono mai direttamente la villa (edificio pc 139/2 P.T 275 - PT 409).
La zona più panoramica era la collina che dominava il cantiere e dalla quale si godeva di una splendida vista del golfo, su questa, lungo contrada San Rocco (che più o meno ricalcava il percorso dell'attuale strada per la Fortezza), costruì la sua villa, che vediamo apparire nelle mappe del territorio già dal 1873; questa era un edificio a due piani, con piccole mansarde e un ampio terrazzo in legno che attraversava la facciata principale, mentre quella rivolta a sud era caratterizzata da una luminosa e ariosa vetrata e dall'ingresso, protetto da un pergolato con rampicanti che offriva riparo durante la stagione estiva, nella parte antistante la villa un ampio parco con una ricca vegetazione scendeva quasi fino alla strada. Alla morte di Edoardo Strudthoff la proprietà passò, come bene indiviso, ai figli: Augusto, Mario, Giulio e Bianca e poi ai nipoti.
Durante le incursioni aeree sul Cantiere, avvenute il 7 e il 20 febbraio 1945, per gli effetti dello spostamento d'aria provocato dalle bombe la villa subì il crollo dell'ala destra, l'edificio venne però riadattato con diverse modifiche e continuò a essere abitato.
Nel corso degli anni le vaste proprietà furono suddivise, le particelle catastali frazionate, scorporate dai corpi tavolari e vendute, sui pendii collinari vennero costruite numerose villette e case rurali.
La parte ancora esistente della villa, in stato di abbandono, è poco riconoscibile, ma si trova in strada per la Fortezza n°12, nella parte alta della facciata ha resistito al tempo una nicchia protetta da un vetro, che ospita due statuette sacre, poste forse dopo la seconda guerra a ricordo dei bombardamenti che lesionarono, ma non colpirono mai direttamente la villa (edificio pc 139/2 P.T 275 - PT 409).
Fortificazioni
A difesa del cantiere navale di San Rocco il Comando Militare Austriaco progettò un sistema difensivo costituito da quattro fortezze, realizzate fra il 1858 e il 1864 su progetto del Tenente Colonnello Karl Moering (1810-1870)[6], il direttore dei lavori fu l'udinese Culotti in collaborazione con Pietro Rizzi e gli operai furono reclutati fra la manodopera muggesana. La batteria n1 fu sistemata sulla collina prospiciente il cantiere San Rocco, lungo l'attuale strada per la Fortezza, oggi rimane visibile una modesta parte dell'edificio nascosta fra le case; la n 2 era in località Zindis, lungo l'attuale strada per Chiampore, di cui si è salvato l'edificio principale, adibito a ristorante; la n 3 era posta sul monte San Michele - Sv Mihel, vista la posizione arretrata è probabile che sia stata costruita a protezione delle altre batterie, di questa oggi rimangono soltanto dei resti murari. Alle tre batterie si aggiungeva il Forte Olmi [7] in prossimità di punta Olmi o punta Ronchi-Ronk-Ronco [8], che rappresentava uno dei punti di forza di tutto il sistema difensivo di Trieste e di cui si sono mantenuti i due piloni laterali del ponte levatoio.
Il bacino di carenaggio
Affinché la società potesse avere i maggiori e costanti introiti offerti dalla manutenzione navale, venne decisa la costruzione di un grande bacino di carenaggio, il posto ideale era il terreno contiguo al Cantiere San Rocco occupato dall'antica chiesetta, questo fondo di proprietà dei fratelli Don Giovanni Maria e Francesco Derossi, con lungimiranza era stato acquistato per 25 fiorini il 3 ottobre 1861 dal barone P. Revoltella per conto dello Stabilimento Tecnico Triestino, con il vincolo contrattuale: "...di mantenere, conservare ed abbellire la indicata chiesa di S. Rocco, per conto, nome ed esclusivo uso della chiesa stessa."
Per la realizzazione del progetto era quindi necessario ottenere l'autorizzazione a trasferire la chiesa in altro sito, a questo riguardo Edoardo Strudthoff il 22 marzo 1864 avviò le trattative con la Rappresentanza comunale di Muggia e l'Ufficio Parrocchiale, illustrando i vantaggi economici che sarebbero derivati alla cittadina da questo ampliamento e non mancando di segnalare che la chiesetta era ubicata in prossimità del molo dove si svolgevano le operazioni di carico e scarico, e il frastuono dell'attività cantieristica impediva il necessario raccoglimento dei devoti, concluse assicurando che si sarebbe impegnato a riedificarla in un terreno di loro proprietà con un sagrato sufficiente ad accogliere i fedeli anche nei giorni di più grande affluenza.
Per la realizzazione del progetto era quindi necessario ottenere l'autorizzazione a trasferire la chiesa in altro sito, a questo riguardo Edoardo Strudthoff il 22 marzo 1864 avviò le trattative con la Rappresentanza comunale di Muggia e l'Ufficio Parrocchiale, illustrando i vantaggi economici che sarebbero derivati alla cittadina da questo ampliamento e non mancando di segnalare che la chiesetta era ubicata in prossimità del molo dove si svolgevano le operazioni di carico e scarico, e il frastuono dell'attività cantieristica impediva il necessario raccoglimento dei devoti, concluse assicurando che si sarebbe impegnato a riedificarla in un terreno di loro proprietà con un sagrato sufficiente ad accogliere i fedeli anche nei giorni di più grande affluenza.
Riedificazione della chiesa San Rocco
Avuta l'approvazione dell'Ordinariato Vescovile di Trieste e Capodistria, il 2 maggio il consiglio presieduto dal podestà Nicolò Frausin accordò alla Società l'autorizzazione alla demolizione, rinunciando anche alla proprietà della strada che conduceva alla chiesa, in cambio di una cifra che potesse essere impiegata per l'erezione di un nuovo Altar Maggiore per la chiesa parrocchiale o il Duomo dedicato ai Santi Giovanni e Paolo. Il Comune accondiscese alle richieste, consapevole che la realizzazione del bacino di carenaggio avrebbe portato nuove occupazioni e nuove opportunità per i muggesani (risollevando l'economia della cittadina, ancora in crisi dopo la soppressione delle saline iniziata nell'ottobre del 1827); il 21 maggio 1864 si stipulò un contratto fra la Parrocchia, il Comune di Muggia e lo Stabilimento Tecnico Triestino, con l'impegno che quest'ultimo assumesse a suo carico la conservazione della nuova chiesa ed esercitasse: "il perpetuo diritto di patronato", senza vantare diritto di proprietà e con l'indicazione che: "...la nuova chiesa dovrà essere costruita dietro lo stesso stile e nelle stesse dimensioni, come quella da demolirsi."
Pare comunque che il consenso non fosse plenario, in quanto I. Vascotto (Op.cit.) riferisce, che in calce al contratto venne riportato che: "il Camerlengo Signor Francesco Pozzo si rifiuta di apporre la propria firma", mentre sono presenti quelle del Parroco e di un altro Camerlengo.
La nuova chiesa venne costruita in un posto diverso da quello proposto dagli Strudthoff, questo particolare viene reso noto da una lettera (I. Vascotto Op.cit.) inviata l'8/5/1864 da don Mecchia all'Ordinariato Vescovile, dove precisa che di concerto con la Deputazione Comunale avevano indicato un posto ritenuto più adatto.
L'edificio fu realizzato in tempi brevi e con dimensioni quasi doppie (m.20,6 per m.10) rispetto alla chiesetta precedente, venne adottato lo stile neogotico, come era d'uso a quei tempi, con finestre ad arco acuto chiuse da vetrate colorate, due campaniletti ai lati della semplice facciata a capanna e un oculo centrale, tre gradini conducevano all'ingresso sopra al quale venne apposta una lastra con un'iscrizione, ormai poco visibile, che riassume la storia dell'antica chiesetta.
Prospiciente all'edificio sacro venne realizzato, come promesso, un sagrato che avrebbe potuto ospitare pure la piccola sagra che si teneva il 16 agosto, ricorrenza di San Rocco.
Pare comunque che il consenso non fosse plenario, in quanto I. Vascotto (Op.cit.) riferisce, che in calce al contratto venne riportato che: "il Camerlengo Signor Francesco Pozzo si rifiuta di apporre la propria firma", mentre sono presenti quelle del Parroco e di un altro Camerlengo.
La nuova chiesa venne costruita in un posto diverso da quello proposto dagli Strudthoff, questo particolare viene reso noto da una lettera (I. Vascotto Op.cit.) inviata l'8/5/1864 da don Mecchia all'Ordinariato Vescovile, dove precisa che di concerto con la Deputazione Comunale avevano indicato un posto ritenuto più adatto.
L'edificio fu realizzato in tempi brevi e con dimensioni quasi doppie (m.20,6 per m.10) rispetto alla chiesetta precedente, venne adottato lo stile neogotico, come era d'uso a quei tempi, con finestre ad arco acuto chiuse da vetrate colorate, due campaniletti ai lati della semplice facciata a capanna e un oculo centrale, tre gradini conducevano all'ingresso sopra al quale venne apposta una lastra con un'iscrizione, ormai poco visibile, che riassume la storia dell'antica chiesetta.
Prospiciente all'edificio sacro venne realizzato, come promesso, un sagrato che avrebbe potuto ospitare pure la piccola sagra che si teneva il 16 agosto, ricorrenza di San Rocco.
Particolare inferiore della pala del 1864, raffigurante la nuova chiesa e l'intenso lavoro del cantiere. Foto tratta da "Le chiese di Trieste" di G. Cuscito. |
“Il Diavoletto” del 7 aprile 1865 nello spazio dedicato alle "Belle Arti" commenta la pala da destinare all'altare della chiesa da poco riedificata, commissionata dagli Strudthoff al pittore Raffaele Astolfi (Bologna 1829 - Trieste 1900), scrivendo che l'opera raffigurava l'Assunzione di Maria al cielo, con ai piedi della Madonna la nuova chiesa e il cantiere, viene decantata inoltre la finezza dell'intaglio dei capitelli in legno da porre sulle colonne dell'altare, realizzati dai maestri ebanisti dello Stabilimento Tecnico Triestino.
G. Cuscito nel suo libro "Le chiese di Trieste" scrive che la pala è andata perduta e intorno al 1960 furono dispersi i tre altari lignei e la suppellettile liturgica ottocentesca.
L'Arciduca
Ancora una nota, che ci fa capire quanto fosse amata la chiesetta di San Rocco, riguarda l'Arciduca Ludovico (Luigi) Salvatore d'Asburgo Lorena (1847-1915), figlio dell'ultimo granduca Leopoldo II di Toscana (1797-1870) e Maria Antonietta di Borbone (1814-1898); uomo di vasta cultura, si occupava di tutti i rami dello scibile, in possesso del brevetto di capitano amava navigare e con i suoi yacht girò il mondo. Nel 1878 acquistò a Zindis una dimora con annesso un vasto podere, popolarmente conosciuta come "villa del Principe", nella tenuta, che arrivava fino al mare, comprendeva la spiaggia tra punta Ronco e il cantiere S. Rocco, dove era ormeggiato il suo panfilo "Nixe", fece erigere una cappella e altri edifici rustici, ma amava comunque frequentare la chiesa di San Rocco e gli abitanti del luogo ricordano che anche quando si ammalò, colpito da una forma progressiva di elefantiasi, veniva lì trasportato con una sedia per poter assistere alla messa.
Tra le opere di restauro e riutilizzazione vale la pena menzionare quella dell'ex batteria di difesa costiera n2, da cui fu ricavato uno stallaggio, che molti anni dopo divenne la "Trattoria al Belvedere" e dopo il 1980 il ristorante albergo "All'Arciduca", oggi chiuso.
L'Arciduca
Ancora una nota, che ci fa capire quanto fosse amata la chiesetta di San Rocco, riguarda l'Arciduca Ludovico (Luigi) Salvatore d'Asburgo Lorena (1847-1915), figlio dell'ultimo granduca Leopoldo II di Toscana (1797-1870) e Maria Antonietta di Borbone (1814-1898); uomo di vasta cultura, si occupava di tutti i rami dello scibile, in possesso del brevetto di capitano amava navigare e con i suoi yacht girò il mondo. Nel 1878 acquistò a Zindis una dimora con annesso un vasto podere, popolarmente conosciuta come "villa del Principe", nella tenuta, che arrivava fino al mare, comprendeva la spiaggia tra punta Ronco e il cantiere S. Rocco, dove era ormeggiato il suo panfilo "Nixe", fece erigere una cappella e altri edifici rustici, ma amava comunque frequentare la chiesa di San Rocco e gli abitanti del luogo ricordano che anche quando si ammalò, colpito da una forma progressiva di elefantiasi, veniva lì trasportato con una sedia per poter assistere alla messa.
Tra le opere di restauro e riutilizzazione vale la pena menzionare quella dell'ex batteria di difesa costiera n2, da cui fu ricavato uno stallaggio, che molti anni dopo divenne la "Trattoria al Belvedere" e dopo il 1980 il ristorante albergo "All'Arciduca", oggi chiuso.
Nel piazzale antistante la chiesa San Rocco l'edicola originale che ospitava l'immagine della Madonna, in una foto del 1960. Foto tratta dalla rivista "Borgolauro" n° 59/60. |
La nuova edicola ricostruita dopo lo spostamento del muro dovuto al restauro dell'edificio retrostante. Foto M.Tauceri. |
Ultimo intervento di restauro
All'inizio del muro di recinzione che divide la piazzola e la chiesa dalle proprietà circostanti, negli anni '50 venne realizzata una nicchia decorata con pietre di arenaria che ospitò un'immagine della Madonna, successivamente, in occasione di una ristrutturazione dell'edificio retrostante, venne modificato il percorso del muro, la nicchia fu spostata e ricostruita con dimensioni ridotte, qui rimase trascurata e sommersa dalla vegetazione fino alla ristrutturazione del 2011, in quell'occasione fu risistemata e pulita e la Madonna originale fu sostituita da una nuova immagine più piccola.
Quella del 2011 fu l'ultima importante opera di restauro della chiesa, estesa agli esterni, agli interni e al piazzale, in quest'occasione venne aumentata l'altezza del presbiterio, grazie all'eliminazione di una soffitta, e furono creati due matronei sulle pareti ai lati dell'altare.
Ad oggi (limitazioni relative all'attuale periodo emergenziale a parte), vista la mancanza dell'impianto di riscaldamento, la messa viene celebrata al sabato soltanto durante la bella stagione, ma la chiesa viene comunque aperta tutti i giorni per accogliere visitatori e fedeli.
Offrendo inoltre l'edificio sacro una buona acustica vi si esibiscono sovente diversi gruppi strumentali e vocali.
Riprendendo la storia del cantiere dopo la realizzazione del bacino di Carenaggio
Verso il 1908 il cantiere muggesano ricevette un nuovo impulso consolidato da un ulteriore aumento di capitale, scorporato dallo Stabilimento Tecnico Triestino assunse la ragione sociale di Cantiere San Rocco S.A., con capitale sociale 5 milioni di corone, rammodernato con nuovi scali e officine, riprese l'attività costruttiva delle navi mercantili.
Quella del 2011 fu l'ultima importante opera di restauro della chiesa, estesa agli esterni, agli interni e al piazzale, in quest'occasione venne aumentata l'altezza del presbiterio, grazie all'eliminazione di una soffitta, e furono creati due matronei sulle pareti ai lati dell'altare.
Ad oggi (limitazioni relative all'attuale periodo emergenziale a parte), vista la mancanza dell'impianto di riscaldamento, la messa viene celebrata al sabato soltanto durante la bella stagione, ma la chiesa viene comunque aperta tutti i giorni per accogliere visitatori e fedeli.
Offrendo inoltre l'edificio sacro una buona acustica vi si esibiscono sovente diversi gruppi strumentali e vocali.
L'interno si presenta a navata unica con l'arco trionfale che conduce al presbiterio. La copertura è a falde inclinate con una travatura in legno e tavelle in cotto. |
Le finestre ad arco acuto con vetrate delicatamente colorate illuminano l'interno, a sinistra la statua di San Rocco. |
Riprendendo la storia del cantiere dopo la realizzazione del bacino di Carenaggio
Come progettato, dopo la demolizione della chiesetta nel 1870 venne concluso il grande bacino a secco in arenaria (dry-dock) della lunghezza 114 m per 20 m e profondo 8 m (Teobaldo Saffaro) (Nel 1894 venne portato agli attuali 122,15 metri), tale fu l'importanza dell'avvenimento che il 19 marzo 1869 l'Imperatore Francesco Giuseppe volle visitare il cantiere, onorando per la seconda volta i fratelli Strudthoff con la sua presenza. Ci furono grandi festeggiamenti, all'ingresso venne innalzato un arco di trionfo ricoperto d'edera e la strada venne adornata con fiori e fronde. In questa occasione l'Imperatore conferì a Guglielmo Strudthoff l'ordine della Corona ferrea di 3° classe con esenzione delle tasse e a Edoardo Strudthoff la croce di cavaliere dell'ordine di Francesco Giuseppe.
A seguito di questa abbiamo notizia di una terza visita, il 3 aprile 1875 l'Imperatore, accompagnato dai fratelli arciduchi Ludovico Vittore e Carlo Ludovico, si recò infatti al Cantiere in occasione della corazzatura di due navi, operazione possibile grazie alla costruzione nel 1872 dell' "Officina corazze".
Nel 1869 ci fu un'ulteriore evoluzione dello S.T.T., il capitale venne portato a 1.500.000 di fiorini, gli Strudothoff persero la maggioranza, ma ebbero la possibilità di accettare commesse più importanti, il cantiere ammodernato e reso atto alla costruzione di navi in ferro diventò uno dei bacini di raddobbo più attrezzati del mediterraneo.
Il cantiere che aveva iniziato nel 1860 con 100 operai, ebbe un costante sviluppo arrivando dopo 10 anni a 1000 operai, il lavoro comunque subiva delle oscillazioni in base alle commissioni, nel 1880 vennero impiegati solo 500 operai, mentre nel 1895, periodo di massimo splendore, si arrivò a 1400; questi provenivano prima da Muggia e d'intorni, ma poi anche dall'Istria, per cui si dovette provvedere all'edificazione di nuovi alloggi per le maestranze in prossimità dello stabilimento.
Edoardo rimase alla direzione del cantiere fino a novembre 1885, data della sua morte, sarà sostituito da Teodoro Schunk dal 1886 al 1891, Teodoro Albrecht 1891-1899, Giuseppe Kellner 1899-1906.
L'evoluzione nelle costruzioni navali permise la realizzazione di navi di dimensioni e stazza sempre maggiori e le spese per l'adeguamento del Cantiere San Rocco si rivelarono molto alte, per cui nel 1896 lo S.T.T. decise per l'acquisto del cantiere San Marco, che pur necessitando di opere di ammodernamento, vista l'inattività di più di vent'anni, offriva il vantaggio di un'area maggiore e di una posizione più favorevole, sia per la vicinanza alla Fabbrica Macchine di Sant'Andrea che per la possibilità di un allacciamento ferroviario; qui venne concentrata l'attività di costruzione navale, mentre San Rocco diventò un cantiere sussidiario, destinato alla manutenzione e il raddobbo delle navi. Per prevenire una crisi economica a Muggia, e poter usufruire di una manodopera già specializzata, mille operai vennero trasferiti al cantiere San Marco e per lo spostamento giornaliero dei lavoranti vennero utilizzati anche i vaporini della linea privata dello S.T.T., istituita nel 1867 con l'obiettivo di iniziare una nuova attività per il trasporto passeggeri, ma che dopo il 1885 fu dedicata al solo trasporto di lavoranti e materiali.
Il cantiere che aveva iniziato nel 1860 con 100 operai, ebbe un costante sviluppo arrivando dopo 10 anni a 1000 operai, il lavoro comunque subiva delle oscillazioni in base alle commissioni, nel 1880 vennero impiegati solo 500 operai, mentre nel 1895, periodo di massimo splendore, si arrivò a 1400; questi provenivano prima da Muggia e d'intorni, ma poi anche dall'Istria, per cui si dovette provvedere all'edificazione di nuovi alloggi per le maestranze in prossimità dello stabilimento.
Edoardo rimase alla direzione del cantiere fino a novembre 1885, data della sua morte, sarà sostituito da Teodoro Schunk dal 1886 al 1891, Teodoro Albrecht 1891-1899, Giuseppe Kellner 1899-1906.
L'evoluzione nelle costruzioni navali permise la realizzazione di navi di dimensioni e stazza sempre maggiori e le spese per l'adeguamento del Cantiere San Rocco si rivelarono molto alte, per cui nel 1896 lo S.T.T. decise per l'acquisto del cantiere San Marco, che pur necessitando di opere di ammodernamento, vista l'inattività di più di vent'anni, offriva il vantaggio di un'area maggiore e di una posizione più favorevole, sia per la vicinanza alla Fabbrica Macchine di Sant'Andrea che per la possibilità di un allacciamento ferroviario; qui venne concentrata l'attività di costruzione navale, mentre San Rocco diventò un cantiere sussidiario, destinato alla manutenzione e il raddobbo delle navi. Per prevenire una crisi economica a Muggia, e poter usufruire di una manodopera già specializzata, mille operai vennero trasferiti al cantiere San Marco e per lo spostamento giornaliero dei lavoranti vennero utilizzati anche i vaporini della linea privata dello S.T.T., istituita nel 1867 con l'obiettivo di iniziare una nuova attività per il trasporto passeggeri, ma che dopo il 1885 fu dedicata al solo trasporto di lavoranti e materiali.
Verso il 1908 il cantiere muggesano ricevette un nuovo impulso consolidato da un ulteriore aumento di capitale, scorporato dallo Stabilimento Tecnico Triestino assunse la ragione sociale di Cantiere San Rocco S.A., con capitale sociale 5 milioni di corone, rammodernato con nuovi scali e officine, riprese l'attività costruttiva delle navi mercantili.
Gli imprenditori si dedicarono pure a qualche iniziativa di tipo sociale, quale l'organizzazione di una squadra di vigili del fuoco, la fondazione o di una banda, l'edificazione di altre case per gli operai e come supporto alle famiglie istituirono un ricreatorio per i figli degli operai in un edificio sito in via della Fontanella 9, che dopo il 1932 fu adibito a scuola elementare.
Nel 1930 il Cantiere San Rocco S.A. venne assorbito dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico (C.R.D.A.) e utilizzato solo per riparazioni, lo storico cantiere il 21 dicembre 1972 cedette gli scali alla Micoperi di Milano, riducendo l'area allo scalo d'alaggio e al bacino di carenaggio, l'11 novembre 1981 cessò l'attività e il 26 febbraio 1982 le aree rimaste vennero cedute alla Marina Muja che aveva in progetto la creazione un villaggio turistico residenziale dotato di un porto, aree verdi e zone di balneazione.
[4]
Il giovane capitano di lungo corso Giorgio Simeone Strudthoff (1786-1847) nativo di Brema, nel 1815 dopo essere sbarcato dalla nave "Psiche" nella nostra città, prese alloggio nella casa di proprietà di Giacomo Manzioli, costruttore di strumenti ottici nautici, e della sorella Maria; forse attirato dalle opportunità che poteva offrire Trieste o dall'amore per Maria Manzioli, decise di fermarsi e con l'aiuto finanziario di amici iniziare un'attività come provveditore marittimo. Con Giacomo nacque un'importante collaborazione nel campo degli strumenti per la navigazione, ma oltre a questo si impegnò in molteplici settori in campo navale. Il 16 settembre 1816 sposò Maria Manzioli (1799-1858) e divenne cognato di Giuseppe Angeli, proprietario della nota corderia, la sua innata capacità imprenditoriale lo portò a sfruttare le opportunità del mercato e nel 1826 lo indusse ad avviare lui stesso una corderia, riuscendo però a ottenere soltanto permessi temporanei per l'occupazione del suolo. Dal matrimonio con Maria nacquero: Guglielmo (Wilhelm-Simon) 19 gennaio 1817 - ?, Giorgio (George Joseph) 1822 - 1888, Antonio (Karl Anton) 1824 - 1857, Augusto 1827 - 1892, Edoardo (Johann Eduard) 1832 - 1885 e Costanza, della quale non si reperiscono notizie. [A. Seri]
Con l'intenzione di trasferire e ampliare la fabbrica di strumenti nautici ottici e matematici che possedeva con il cognato Giacomo, acquistò dall'avvocato Giovanni Corrado Platner, lungo la strada di Sant'Andrea, accanto all'omonima chiesetta, un vasto appezzamento di terreno con una casa dominicale del valore di 10.000 fiorini, denaro che riuscì a raccogliere con la vendita dei suoi beni e grazie a prestiti privati e bancari; il contratto fu stipulato 17 febbraio 1835, immediatamente vennero intraprese le opere di ristrutturazione dell'edificio, che fu ampliato e adibito a opificio e abitazione.
Dopo la morte di Giacomo Manzioli, avvenuta nel 1839, la produzione di strumenti ottici e il negozio divennero di sua sola proprietà e decise di impegnarsi nel settore siderurgico, un campo nel quale non aveva esperienza, ma che avrebbe potuto offrire grandi possibilità, a tale scopo la fabbrica venne ampliata con la costruzione di tre fabbricati, uno dei quali adibito a fonderia.
Avvalendosi di fonditori esperti iniziò con la produzione di stufe, macchine agricole e macchinari per la produzione delle cose più diverse, ma anche quando la fonderia fu ben avviata continuò ad accettare pure le commesse più semplici, come gavitelli, boe, catene.
Per imparare le tecniche di fusione dei metalli e la fabbricazione delle macchine a vapore Guglielmo, il figlio maggiore, venne inviato in Inghilterra, al ritorno riuscì a mettere a frutto l'esperienza acquisita ottenendo l'incarico di direttore della fonderia, che negli anni si svilupperà grazie all'introduzione di macchinari tali da poter accettare commissioni più importanti.
Data la difficoltà a pronunciare un cognome così complesso i dipendenti lo chiamarono "Sior Strudolf", nome che venne esteso ai suoi eredi e piacque tanto da diventare di uso corrente anche per indicare la Fabbrica Macchine.
Il 10 marzo 1847 si concluse l'intensa vita di G. Strudthoff, la proprietà, che comprendeva anche il negozio si strumenti ottici e le attività alle quali si era dedicato fin dall'inizio e nonostante il successo non aveva mai voluto abbandonare, passò ai figli Guglielmo, Giorgio, Antonio, ancora minori Augusto, Costanza ed Edoardo, i quali avevano affiancato fin da giovanissimi il padre nell'attività, acquisendo competenze e l'abilità necessaria al lavoro di squadra.
[5]
Alla stessa esposizione partecipò anche lo S.T.T. con modelli, disegni e fotografie di una macchina a vapore, di un pontone gru di 25 tonnellate e del ponte girevole noto con la denominazione "ponte verde", realizzato nel 1858 a Trieste sul Canale Grande.
La mostra si tenne nell'area al tempo sgombra di case, di fronte al Giardino Pubblico Muzio de Tommasini con l'ingresso sulla strada, allora denominata, carrozzabile del Boschetto (via Giulia).
[6]
Karl Moering o Möring (19 maggio 1810 - 26 dicembre 1870). Storico, letterato e poeta, studiò presso l'Accademia di Ingegneria di Vienna, nel 1829 entrò nel Genio Militare, dal 1846 si dedicò anche alla carriera politica. Nel 1848 giunse per la prima volta a Trieste e dopo due anni entrò nella Marina Militare. Nel 1849 venne nominato Geniedirektor (Direttore del Genio militare) di Trieste. Negli anni a seguire sviluppò un piano difensivo della città piuttosto articolato, che la proteggeva sia in caso di un attacco dal mare, con la costruzione di fortezze e batterie, che dall'interno con torri batterie e chiudi strada. Si occupò delle difese e fortificazioni in altre città dell'Impero, continuando la carriera militare.
Dal 1868 venne nominato governatore del Litorale austriaco, carica che mantenne fino alla morte.
[7]
Il Forte Olmi rappresentava uno dei punti di forza di tutto il sistema difensivo del porto di Trieste, fu iniziato nel 1858 e concluso nel 1864, a pianta quadrata, con due terrapieni rivolti verso il mare sulla cui sommità vennero posti due mortai rotanti e due più piccoli rivolti verso terra, era cinto da un fossato di circa 7 metri, vi si accedeva attraverso un ponte levatoio di cui oggi rimangono i due piloni laterali. L'armamento consisteva in 16 cannoni, due mortai rotanti, 8 cannoncini da 8 libbre e una guarnigione di circa 500 soldati; rimase inalterato per quasi venti anni, poi venne armato con nuovi cannoni e finita la prima guerra mondiale fu abbandonato. Nel 1928-32 venne usato dalla Milizia per esercitazioni, periodo in cui venne seriamente danneggiato. Nell'ultima guerra mondiale la batteria fu nuovamente attrezzata per la difesa antiaerea, all'interno del cortile venne costruita una casermetta per una piccola guarnigione e gran parte degli spalti furono spianati per realizzare una strada che porta al mare. Oggi sono discretamente conservate le due profonde polveriere, trasformate per usi agricoli, all'ingresso di una delle quali è ancora visibile la data 1864.
[8]
Ronchi-Ronk-Ronco, significa roncola o falcetto, il nome deriva da un toponimo medioevale piuttosto ricorrente in regione, che indica territori interessati in passato da grandi disboscamenti, altrettanto valida la derivazione dal verbo latino "runco - runcāre" estirpare.
Bibliografia:
La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea di Alfieri Seri.
San Rocco storia di un cantiere navale di Ernesto Gellner - Paolo Valenti 1990.
Istria storia, arte, cultura di Dario Alberi.
Le chiese di Trieste di Giuseppe Cuscito.
Muggia attraverso le sue chiese di Giordano Pontini 1967.
Il Mare di Trieste e dell'Istria di Aldo Cherini e Paolo Valenti 2004.
"Le piccole architetture di Muggia a soggetto religioso" di Sergio Pupis - Borgolauro N°59-60 anno 2011.
Muggia di Fabio Zubini.
La chiesetta di San Rocco: dal cantiere navale al "Marina Muja" di Italo Vascotto - Borgolauro N° 5 anno 1984.
Trieste industriale - Trieste 1885 di Teobaldo Saffaro.
Fortificazioni Austriache dell'Ottocento di Leone Veronese Jr. Borgolauro N°5 1984.
Nel 1930 il Cantiere San Rocco S.A. venne assorbito dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico (C.R.D.A.) e utilizzato solo per riparazioni, lo storico cantiere il 21 dicembre 1972 cedette gli scali alla Micoperi di Milano, riducendo l'area allo scalo d'alaggio e al bacino di carenaggio, l'11 novembre 1981 cessò l'attività e il 26 febbraio 1982 le aree rimaste vennero cedute alla Marina Muja che aveva in progetto la creazione un villaggio turistico residenziale dotato di un porto, aree verdi e zone di balneazione.
La strada provinciale 14 divide la chiesa di San Rocco e il porto di San Rocco Marina Resort con il complesso turistico residenziale. |
Note
[1]
Nome riportato da Giordano Pontini nel libro "Muggia attraverso le sue chiese".
[2]
Sorta di pane utilizzato nella Repubblica di Venezia, realizzato con frumento di seconda scelta, veniva cotto due volte e, se mantenuto asciutto, poteva conservarsi fino a due anni. Veniva utilizzato soprattutto come sostentamento delle truppe e dei marinai.
A Venezia aveva un ruolo economico tale da far parte delle riserve alimentari e a seconda della situazione economica il governo stabiliva la quantità di biscotto da produrre e il frumento necessario.
[3]
Il Santo invocato nei periodi di grandi epidemie viene rappresentato con l'abito del pellegrino, bastone, mantello, cappello, borraccia, conchiglia e spesso accompagnato da un cane.
Nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350, da genitori benestanti, cristiani dediti a opere di carità, dalla nascita lo contraddistingue una croce vermiglia sul petto. Rimasto orfano in giovane età vendette tutti i suoi beni e fece voto di recarsi a Roma. Arrivato in Italia, nel corso delle epidemie di peste andò a soccorrerne i contagiati, nel luglio 1367 arrivò ad Acquapendente (Viterbo), dove si offrì di prestare servizio nel locale ospedale, invocando la Trinità di Dio operò miracolose guarigioni.
Rocco arrivò a Roma fra il 1367 e l’inizio del 1368, qui avvenne il miracolo più famoso: la guarigione di un cardinale e questi lo presentò al pontefice; per il pellegrino l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano.
Partì da Roma tra il 1370 ed il 1371, passò per diverse città, ma a Piacenza mentre assisteva gli ammalati venne contagiato, si ritirò in una grotta lungo il fiume Trebbia (tuttora esistente e trasformata in luogo di culto), dove un cane lo sfamò portandogli ogni giorno un tozzo di pane. Riuscì a guarire ed a continuare la sua opera di assistenza. Grazie alle guarigioni il suo nome divenne noto in tutto il paese. Mentre stava tornando a casa, per le complicate vicende politiche del tempo, Rocco venne arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera, per adempiere a un voto non volle rivelare il suo nome affermando soltanto di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Trascorse in prigione cinque anni, il verificarsi di alcuni eventi prodigiosi indusse i presenti ad avvisare il Governatore, ma Rocco morì la notte in cui fu decisa la sua liberazione, era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 e il 1379. Prima di spirare il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome. Dal particolare della croce vermiglia sul petto venne riconosciuto probabilmente dall'anziana madre del Governatore.
[1]
Nome riportato da Giordano Pontini nel libro "Muggia attraverso le sue chiese".
[2]
Sorta di pane utilizzato nella Repubblica di Venezia, realizzato con frumento di seconda scelta, veniva cotto due volte e, se mantenuto asciutto, poteva conservarsi fino a due anni. Veniva utilizzato soprattutto come sostentamento delle truppe e dei marinai.
A Venezia aveva un ruolo economico tale da far parte delle riserve alimentari e a seconda della situazione economica il governo stabiliva la quantità di biscotto da produrre e il frumento necessario.
[3]
Il Santo invocato nei periodi di grandi epidemie viene rappresentato con l'abito del pellegrino, bastone, mantello, cappello, borraccia, conchiglia e spesso accompagnato da un cane.
Nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350, da genitori benestanti, cristiani dediti a opere di carità, dalla nascita lo contraddistingue una croce vermiglia sul petto. Rimasto orfano in giovane età vendette tutti i suoi beni e fece voto di recarsi a Roma. Arrivato in Italia, nel corso delle epidemie di peste andò a soccorrerne i contagiati, nel luglio 1367 arrivò ad Acquapendente (Viterbo), dove si offrì di prestare servizio nel locale ospedale, invocando la Trinità di Dio operò miracolose guarigioni.
Rocco arrivò a Roma fra il 1367 e l’inizio del 1368, qui avvenne il miracolo più famoso: la guarigione di un cardinale e questi lo presentò al pontefice; per il pellegrino l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano.
Partì da Roma tra il 1370 ed il 1371, passò per diverse città, ma a Piacenza mentre assisteva gli ammalati venne contagiato, si ritirò in una grotta lungo il fiume Trebbia (tuttora esistente e trasformata in luogo di culto), dove un cane lo sfamò portandogli ogni giorno un tozzo di pane. Riuscì a guarire ed a continuare la sua opera di assistenza. Grazie alle guarigioni il suo nome divenne noto in tutto il paese. Mentre stava tornando a casa, per le complicate vicende politiche del tempo, Rocco venne arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera, per adempiere a un voto non volle rivelare il suo nome affermando soltanto di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Trascorse in prigione cinque anni, il verificarsi di alcuni eventi prodigiosi indusse i presenti ad avvisare il Governatore, ma Rocco morì la notte in cui fu decisa la sua liberazione, era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 e il 1379. Prima di spirare il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome. Dal particolare della croce vermiglia sul petto venne riconosciuto probabilmente dall'anziana madre del Governatore.
Rocco di Montpellier fu sepolto a Voghera con tutti gli onori.
Il Concilio di Costanza nel 1414 lo santificò a seguito del miracolo con cui liberò la città dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari.
Il Concilio di Costanza nel 1414 lo santificò a seguito del miracolo con cui liberò la città dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari.
[4]
Il giovane capitano di lungo corso Giorgio Simeone Strudthoff (1786-1847) nativo di Brema, nel 1815 dopo essere sbarcato dalla nave "Psiche" nella nostra città, prese alloggio nella casa di proprietà di Giacomo Manzioli, costruttore di strumenti ottici nautici, e della sorella Maria; forse attirato dalle opportunità che poteva offrire Trieste o dall'amore per Maria Manzioli, decise di fermarsi e con l'aiuto finanziario di amici iniziare un'attività come provveditore marittimo. Con Giacomo nacque un'importante collaborazione nel campo degli strumenti per la navigazione, ma oltre a questo si impegnò in molteplici settori in campo navale. Il 16 settembre 1816 sposò Maria Manzioli (1799-1858) e divenne cognato di Giuseppe Angeli, proprietario della nota corderia, la sua innata capacità imprenditoriale lo portò a sfruttare le opportunità del mercato e nel 1826 lo indusse ad avviare lui stesso una corderia, riuscendo però a ottenere soltanto permessi temporanei per l'occupazione del suolo. Dal matrimonio con Maria nacquero: Guglielmo (Wilhelm-Simon) 19 gennaio 1817 - ?, Giorgio (George Joseph) 1822 - 1888, Antonio (Karl Anton) 1824 - 1857, Augusto 1827 - 1892, Edoardo (Johann Eduard) 1832 - 1885 e Costanza, della quale non si reperiscono notizie. [A. Seri]
Con l'intenzione di trasferire e ampliare la fabbrica di strumenti nautici ottici e matematici che possedeva con il cognato Giacomo, acquistò dall'avvocato Giovanni Corrado Platner, lungo la strada di Sant'Andrea, accanto all'omonima chiesetta, un vasto appezzamento di terreno con una casa dominicale del valore di 10.000 fiorini, denaro che riuscì a raccogliere con la vendita dei suoi beni e grazie a prestiti privati e bancari; il contratto fu stipulato 17 febbraio 1835, immediatamente vennero intraprese le opere di ristrutturazione dell'edificio, che fu ampliato e adibito a opificio e abitazione.
Dopo la morte di Giacomo Manzioli, avvenuta nel 1839, la produzione di strumenti ottici e il negozio divennero di sua sola proprietà e decise di impegnarsi nel settore siderurgico, un campo nel quale non aveva esperienza, ma che avrebbe potuto offrire grandi possibilità, a tale scopo la fabbrica venne ampliata con la costruzione di tre fabbricati, uno dei quali adibito a fonderia.
Avvalendosi di fonditori esperti iniziò con la produzione di stufe, macchine agricole e macchinari per la produzione delle cose più diverse, ma anche quando la fonderia fu ben avviata continuò ad accettare pure le commesse più semplici, come gavitelli, boe, catene.
Per imparare le tecniche di fusione dei metalli e la fabbricazione delle macchine a vapore Guglielmo, il figlio maggiore, venne inviato in Inghilterra, al ritorno riuscì a mettere a frutto l'esperienza acquisita ottenendo l'incarico di direttore della fonderia, che negli anni si svilupperà grazie all'introduzione di macchinari tali da poter accettare commissioni più importanti.
Data la difficoltà a pronunciare un cognome così complesso i dipendenti lo chiamarono "Sior Strudolf", nome che venne esteso ai suoi eredi e piacque tanto da diventare di uso corrente anche per indicare la Fabbrica Macchine.
Il 10 marzo 1847 si concluse l'intensa vita di G. Strudthoff, la proprietà, che comprendeva anche il negozio si strumenti ottici e le attività alle quali si era dedicato fin dall'inizio e nonostante il successo non aveva mai voluto abbandonare, passò ai figli Guglielmo, Giorgio, Antonio, ancora minori Augusto, Costanza ed Edoardo, i quali avevano affiancato fin da giovanissimi il padre nell'attività, acquisendo competenze e l'abilità necessaria al lavoro di squadra.
[5]
Alla stessa esposizione partecipò anche lo S.T.T. con modelli, disegni e fotografie di una macchina a vapore, di un pontone gru di 25 tonnellate e del ponte girevole noto con la denominazione "ponte verde", realizzato nel 1858 a Trieste sul Canale Grande.
La mostra si tenne nell'area al tempo sgombra di case, di fronte al Giardino Pubblico Muzio de Tommasini con l'ingresso sulla strada, allora denominata, carrozzabile del Boschetto (via Giulia).
[6]
Karl Moering o Möring (19 maggio 1810 - 26 dicembre 1870). Storico, letterato e poeta, studiò presso l'Accademia di Ingegneria di Vienna, nel 1829 entrò nel Genio Militare, dal 1846 si dedicò anche alla carriera politica. Nel 1848 giunse per la prima volta a Trieste e dopo due anni entrò nella Marina Militare. Nel 1849 venne nominato Geniedirektor (Direttore del Genio militare) di Trieste. Negli anni a seguire sviluppò un piano difensivo della città piuttosto articolato, che la proteggeva sia in caso di un attacco dal mare, con la costruzione di fortezze e batterie, che dall'interno con torri batterie e chiudi strada. Si occupò delle difese e fortificazioni in altre città dell'Impero, continuando la carriera militare.
Dal 1868 venne nominato governatore del Litorale austriaco, carica che mantenne fino alla morte.
[7]
Il Forte Olmi rappresentava uno dei punti di forza di tutto il sistema difensivo del porto di Trieste, fu iniziato nel 1858 e concluso nel 1864, a pianta quadrata, con due terrapieni rivolti verso il mare sulla cui sommità vennero posti due mortai rotanti e due più piccoli rivolti verso terra, era cinto da un fossato di circa 7 metri, vi si accedeva attraverso un ponte levatoio di cui oggi rimangono i due piloni laterali. L'armamento consisteva in 16 cannoni, due mortai rotanti, 8 cannoncini da 8 libbre e una guarnigione di circa 500 soldati; rimase inalterato per quasi venti anni, poi venne armato con nuovi cannoni e finita la prima guerra mondiale fu abbandonato. Nel 1928-32 venne usato dalla Milizia per esercitazioni, periodo in cui venne seriamente danneggiato. Nell'ultima guerra mondiale la batteria fu nuovamente attrezzata per la difesa antiaerea, all'interno del cortile venne costruita una casermetta per una piccola guarnigione e gran parte degli spalti furono spianati per realizzare una strada che porta al mare. Oggi sono discretamente conservate le due profonde polveriere, trasformate per usi agricoli, all'ingresso di una delle quali è ancora visibile la data 1864.
[8]
Ronchi-Ronk-Ronco, significa roncola o falcetto, il nome deriva da un toponimo medioevale piuttosto ricorrente in regione, che indica territori interessati in passato da grandi disboscamenti, altrettanto valida la derivazione dal verbo latino "runco - runcāre" estirpare.
Bibliografia:
La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea di Alfieri Seri.
San Rocco storia di un cantiere navale di Ernesto Gellner - Paolo Valenti 1990.
Istria storia, arte, cultura di Dario Alberi.
Le chiese di Trieste di Giuseppe Cuscito.
Muggia attraverso le sue chiese di Giordano Pontini 1967.
Il Mare di Trieste e dell'Istria di Aldo Cherini e Paolo Valenti 2004.
"Le piccole architetture di Muggia a soggetto religioso" di Sergio Pupis - Borgolauro N°59-60 anno 2011.
Muggia di Fabio Zubini.
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Fortificazioni Austriache dell'Ottocento di Leone Veronese Jr. Borgolauro N°5 1984.
Il Diavoletto 22 maggio 1861.
Il Diavoletto 5 novembre 1860.
Discover Muggia itinerari muggesani.
Il Building Information Modelling (BIM) e l'interoperabilità in ambito energetico. Caso di studio: Cenacolo di artisti nell'ex scuola elementare di Muggia. - Tesi di laurea di Nicola Tosolini.
Famiglia Cristiana "San Rocco il pellegrino che non aveva paura degli appestati".
Il Diavoletto 5 novembre 1860.
Discover Muggia itinerari muggesani.
Il Building Information Modelling (BIM) e l'interoperabilità in ambito energetico. Caso di studio: Cenacolo di artisti nell'ex scuola elementare di Muggia. - Tesi di laurea di Nicola Tosolini.
Famiglia Cristiana "San Rocco il pellegrino che non aveva paura degli appestati".
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