giovedì 10 settembre 2015

"Cici e Ciribiri"



I Cici con il tipico costume e le ciabatte basse dette "opanche"

La "Ciceria"

Questi gruppi provengono dalla Romania, nel XV secolo fuggirono dall'avanzata ottomana e vennero accolti dalla Repubblica di Venezia e dagli Asburgo per ripopolare le zone devastate dalle invasioni e dalle pestilenze. Nella parlata hanno mantenuto l'istroromeno, uno dei quattro gruppi della lingua romena.
La "Ciceria" cioè "terra dei Cici" si trova nel nord est dell'Istria montana, da Trieste a Fiume, tra i monti della Vena. Mi limito a questa descrizione per brevità, ma in realtà i confini precisi sono molto articolati.
Nel XVII secolo i Cici erano scesi fino a Opicina, Banne e Trebiciano, ma si sono mantenuti distinti dalle popolazioni confinanti per dialetto, costumi e usanze.


L'economia dei Cici

Il detto popolare "Cicio no xè per barca" nasce dal fatto che abitavano lontani dal mare e di conseguenza erano ritenuti poco adatti alla vita marittima. Questo motto viene però in parte smentito da documenti che attestano la loro presenza come fuochisti su navi italiane e dallo storico Sextil Puscariu che, fra i mestieri degli istroromeni, elenca anche quello di marinai e fuochisti sulle navi.
Vivevano anche con il commercio dell'aceto, che acquistavano in varie località istriane e rivendevano, grazie ad una patente ricevuta da Maria Teresa, nell'ambito di tutto l'impero asburgico.

Kandler riporta inoltre che dall'Istria trasportavano il sale verso i paesi dell'interno: "...il cicio davasi sovratutto al trasporto del sale dall'Istria marittima al carnio".
C'è da dire però che le attività principali, continuative ed indispensabili alla loro sopravvivenza si basavano sull'allevamento del bestiame, la pastorizia e lo sfruttamento dei grandi boschi della "Ciceria".
Con grande abilità producevano il carbone e lo portavano, assieme alla legna da ardere, anche a Trieste. Il trasporto veniva fatto con carri trainati da cavalli o da forti muli e la merce scaricata nei magazzini, oppure venduta direttamente su strada, al grido di: "Carbuna! Carbuna!".
A volte però andavano anche molto lontano a vendere i loro prodotti: latte, formaggio, lana e manufatti preparati con il legno, soprattutto cerchi e doghe per botti. Grazie alle capacità acquisite con questi commerci, iniziarono a svolgere anche l'attività di trasportatori sulle difficili e spesso inesistenti strade balcaniche.
I momenti politici difficili, come la conquista napoleonica e la prima guerra mondiale, si riflettono sulla loro economia e per sopravvivere non disdegnano di praticare il brigantaggio ed il contrabbando.
Il libro "Itinerario in Istria", dello studioso romeno Joan Maiorescu, ci fornisce una ricca documentazione sulla lingua e sulle tradizioni di questo popolo. Fra le altre cose parla della consuetudine di dare in adozione agli istroromeni, tramite l'istituto dei poveri, gli orfanelli triestini, che definisce " .. i frutti del peccato dei plutocratici triestini." Nel tempo furono assegnati circa trecento bambini, le famiglie affidatarie ricevevano un contributo ed avevano il compito di allevarli fino alla maggiore età, molti ragazzi rimasero in quei luoghi sposandosi e acquisendone la cultura. Dopo la metà dell'Ottocento questo uso andò scemando.




Cerchi per botti trasportati a spalla ed a dorso di asino.
Litografia di E. Pessi


Una coppia di Cici che trasporta i sacchi di carbone per la vendita
Litografia di E. Pessi







Video realizzato qualche anno fa da Sergio Sergas, sull'altopiano della Ciceria, dove, ancora oggi, alcuni carbonai portano avanti le loro antiche tradizioni.

I costumi

Vorrei spendere due parole sui vestiti realizzati dalle donne, sia per loro che per gli uomini, con i tessuti ricavati dalla lana che filavano in ogni momento libero.
I costumi variavano nei particolari a seconda della zona di provenienza, ma mantenevano un'impronta comune.

La donna, sopra la lunga camicia, indossava una veste aperta sul davanti, che durante i periodi freddi era in panno molto pesante, sempre fermata in vita con corregge (strisce di cuoio). Per coprire i capelli, raccolti in trecce, veniva usato un fazzoletto, legato sotto il mento o portato a turbante con i due lembi laterali che fuoriuscivano; in diverse parti veniva usata una cuffia in cotone con il bordo arricciato, fermata con un nastro, solitamente rosso. 

L'uomo usava sempre dei pantaloni in maglia di lana, abitualmente di colore chiaro ed aderenti, la camicia di cotone, un corpetto ed una giacca marrone in panno di lana. Per copricapo aveva un cappello in feltro a tesa larga con nastri colorati, nei giovani i colori dei nastri erano più vivaci, che poteva essere decorato con penne di pavone o fiori. Naturalmente la cura negli ornamenti dipendeva dall'occupazione.

Entrambi i sessi indossavano lunghe calze di lana ed ai piedi le classiche calzature in cuoio chiamate "opanke", per le festività le donne avevano una scarpa in tessuto abbellita con fiori. 


Coppia di Cici in costume tipico.
Litografia di G. Vicari 1860 c.a.

 Concluderei con una nota di cronaca relativamente recente, che è stata motivo di orgoglio per gli istroromeni, l'incontro avvenuto ad Abbazia nel 1910 con la regina della Romania Carmen Sylva.




Fonti:

"Alcune note storiche sugli istroromeni" Fulvio di Gregorio
"Teatro dei mestieri della Trieste de una volta" Elisabetta Rigotti
"Trieste Romantica" ed. Italo Svevo
"La lingua, la storia,la tradizione degli istroromeni"  dott. cav. Ervino Curtis
"Coprire per mostrare" Roberto Starez

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