mercoledì 30 dicembre 2020

San Rocco a Muggia, chiesa e origini del cantiere


La sola rappresentazione della prima chiesetta di San Rocco è data da questa tempera di autore sconosciuto, l'edificio sacro verrà demolito per la costruzione del bacino di carenaggio, sullo sfondo alcuni edifici del cantiere. Il disegno documenta il varo del bagno galleggiante Maria avvenuto 15 maggio 1858.
L'opera è custodita nel Museo Scaramangà. 
Foto tratta da "La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea" di A. Seri.


La peste del 1630 e l'edificazione della chiesa
Muggia ebbe una storia molto travagliata, caratterizzata dall'avvicendamento di diverse dominazioni culminate con l'atto di dedizione a Venezia del 1420, l'economia era basata sulla pesca, l'agricoltura e soprattutto sul commercio del sale estratto dalle loro saline; fu pure colpita molte volte dal morbo della peste, ultima l'epidemia del 1630, nota per la precisa descrizione che ne fa il Manzoni nei Promessi Sposi.
Il morbo si diffuse rapidamente nel nord Italia raggiungendo a luglio Venezia, che per interessi commerciali in un primo tempo non volle ammettere l'epidemia ritardando le misure di difesa e i provvedimenti, proprio da qui, probabilmente tramite una galera adibita al commercio, la malattia approdò in Istria, dove colpì in forma gravissima soprattutto le località della costa, arrivando a Capodistria il 20 settembre 1630, con conseguenze devastanti a livello demografico. Con la consapevolezza che la vicina Muggia avrebbe potuto facilmente essere vittima del contagio, al fine di tutelare la salute dei sui sudditi l'Impero Austriaco proibì il commercio del sale con la cittadina, con ripercussioni disastrose per l'economia di quest'ultima.
Per arginare il dilagare dell'epidemia, attorno a Muggia era stato creato un cordone sanitario, ma tale Nicolò Cupituricchio, detto "Matana", eludendo la vigilanza si recò a Capodistria e poco dopo il suo rientro, il 14 luglio 1631 come risulta registrato nel "liber defunctorum", morì di peste nella sua vigna di Riostorto [1]; luogo scelto da quel momento per seppellite le prime vittime del morbo. Con l'aumentare degli ammalati vennero creati un lazzaretto e un cimitero in una zona isolata vicino al mare, in poco più di quattro mesi ci furono 245 morti su circa 1000 abitanti. Il governo di Venezia, per attenuare la sofferenza della comunità, l'8 agosto dello stesso anno inviò 500 ducati e un migliaio di biscotti [2], il mese successivo vennero inviati altri 1500 ducati e all'inizio di ottobre la Chiesa di Muggia venne esentata dal pagamento delle decime. Dopo poco più di quattro mesi finalmente l'epidemia si spense, l'ultimo decesso fu registrato il 20 novembre 1631.

                   
Nella stampa sono state rappresentate le saline, il duomo, il castello, in alto "Muggia Vecchia" e, sulla destra, vicino al mare la chiesetta di San Rocco. 
"Golfo di Muggia" acquaforte da "Città, fortezze, isole, e porti principali dell'Europa in pianta, et in elevatione, descritte, e publicate ad uso dell'Accademia Cosmografica degli Argonauti" dal Padre Maestro Coronelli 1697.
Tratto da Cultura Italia.


Finita la pestilenza, per rendere grazia al santo protettore degli appestati, nella zona che era stata adibita a lazzaretto venne costruita una chiesetta dedicata a San Rocco [3], il piccolo edificio sacro aveva tre altari in legno, la facciata sovrastata da un campaniletto a vela e un'abside poligonale.
La chiesa, che apparteneva alla confraternita di San Rocco, in seguito alla soppressione delle confraternite ordinata da Giuseppe II divenne di proprietà comunale.


In questo schizzo a china di Dario Alberi, ispirato alla tempera di ignoto prima immagine di questo articolo, si apprezzano i dettagli dell'abside poligonale e il campanile a vela come culmine della facciata.


Mappa del 1818 in cui si può vedere lungo la riva del mare l'area cimiteriale con la chiesetta di San Rocco. La zona, priva di edificazioni, presenta alcuni terreni coltivati.
Dettaglio della mappa di Muggia (distretto di Capodistria) - Catasto Franceschino -
Archivio di Stato Trieste.



Cantiere San Rocco
Con la volontà di ampliare l'attività della Fabbrica Macchine di Sant'Andrea, i fratelli Strudthoff, figli del fondatore Giorgio Simeone Strudthoff (1786-1847) [4], erano alla ricerca di terreni adatti all'attività cantieristica, destò il loro interesse il litorale muggesano ancora privo di insediamenti industriali, così da Sebastiano Frausin acquistarono un terreno agricolo dove venne realizzata una seconda fonderia (sita dove oggi si trova la caserma dei vigili del fuoco, nel rione ancora oggi denominato "fonderia"), che fu avviata circa nel 1846.


Lungo la strada che da Muggia conduce a rio Ospo (attuale via Trieste) si trovava lo squero impiantato da Giuseppe Tonello, noto come "Squero dei Cadetti" in quanto lo scalo era stato usato dall'I.R. Scuola di Marina per addestramento dei cadetti (futuro Cantiere Navale Felszegi), poco distante la fonderia costruita dai fratelli Strudthoff, ancora oggi il rione viene denominato "fonderia" e le vie portano il nome degli antichi mestieri a questa collegati, quali: Calafati, Fabbri, Calderai, Fonditori, Meccanici, Marangoni.
Dettaglio della mappa di Muggia del 1818, le variazioni di colore rosso sono state realizzate per aggiornamento delle proprietà nel 1873.
Catasto Franceschino - Archivio di Stato Trieste.


Il progetto principale era però la costruzione di un cantiere e per questo la scelta cadde su una vasta area semi abbandonata denominata San Rocco, dal nome dall'antica chiesetta lì edificata, nei cui dintorni si trovavano solo qualche casa di pescatori e alcuni casolari di campagna, abitati prevalentemente durante il periodo del raccolto.
L'arenile dell'ex lazzaretto fu ritenuto ideale, iniziarono immediatamente le trattative per l'acquisto, che si concluse nel 1850 con il modico esborso di 200 fiorini e la condizione di "rifondere e ricollocare entro tre mesi le campane della chiesa parrocchiale".
La strada che da Muggia conduce a San Rocco venne costruita solo nel 1860, proprio per poter accedere al cantiere, per cui per il trasporto delle persone e dei materiali necessari per l'impianto del cantiere, sia che provenissero da Muggia che da Sant'Andrea, veniva utilizzato il veliero Adelina, costruito per l'occasione impiegando 85 operai, i primi dipendenti del cantiere.

Iniziati i lavori, in breve tempo la chiesetta venne inglobata nel cantiere ancora in costruzione. Il quotidiano "Il Diavoletto" nel 1860 riporta che l'edificio venne restaurato e abbellito in chiave gotica a spese degli degli Strudthoff, dunque in questo periodo perdette il suo stile originario.


Dettaglio della mappa del Catasto Franceschino del 1818, il tracciato in colore rosso riporta l'aggiornamento delle costruzioni eseguito nel 1873, questo ci permette di apprezzare, tra le altre cose, i cambiamenti intervenuti per la costruzione del cantiere. Le frecce indicano la posizione della chiesetta seicentesca di San Rocco, demolita nel 1864 per la realizzazione del bacino di carenaggio, e la nuova chiesa dedicata al Santo edificata all'esterno del cantiere nello stesso anno.
Muggia distretto di Capodistria - Archivio di Stato Trieste.


Inizialmente l'attività del cantiere fu caratterizzata dalla costruzione di navi in legno, per questo furono sufficienti pochi magazzini, alcune tettoie per la custodia degli attrezzi e un deposito per il legname, ma era nelle intenzioni dei fratelli Strudthoff dotare il complesso di impianti e macchinari all'avanguardia, ampliare lo spazio con più vasti interramenti e nel contempo potenziare la Fabbrica di Sant'Andrea, ma per questo occorsero nuovi capitali e finanziatori, quali la ditta Reyer & Schlick, Edmondo Bauer e l'operatore Pasquale Revoltella, da questo accordo, redatto con atto notarile del 27 aprile 1857, nacque la società per azioni che prese il nome di "Stabilimento Tecnico Triestino", che comprendeva la Fabbrica e la fonderia di Sant'Andrea, la fonderia di Muggia e il non ancora completato il cantiere San Rocco.


La tela a olio ritrae Edoardo Strudthoff (1832-1885), opera di Raffaele Astolfi (Bologna, 1829-Trieste, 1900) di proprietà del Comune di Muggia, esposta nell'atrio del palazzo Municipale. 
Foto Margherita Tauceri.


Sotto la direzione del giovane Edoardo Strudthoff, che dimostrò notevoli doti imprenditoriali, iniziò la ristrutturazione degli scali mediante opere di consolidamento del fondo atte a renderli adeguati alla costruzione di navi di grande tonnellaggio, nel complesso ci vollero 8 anni di lavori per rendere il cantiere pienamente attivo e funzionale. Il primo importante varo, avvenuto 15 maggio 1858, fu piuttosto particolare, si trattò infatti di quello dello stabilimento balneare "Maria", l'elegante bagno galleggiante, mentre prendendo in considerazione unicamente le costruzioni navali, il primo fu un brigantino a palo da 250 tonnellate di portata, ultimato nel 1860 e venduto a un armatore dalmata.
L'anno successivo dall'I.R. Marina di guerra furono commissionate cinque cannoniere in legno, al varo delle ultime delle quali, la Dalmat e l'Hum, volle assistere l'Imperatore Francesco Giuseppe in persona, che giunse al cantiere il 29 maggio 1861.


L'impatto economico e sociale
Apro una parentesi sulle risorse muggesane, da tempi remoti il commercio del sale era alla base dell'economia cittadina e dopo la chiusura delle saline, avvenuta fra il 1827 e 29, il sostentamento era fornito principalmente dalla pesca, dall'agricoltura e dalla ripresa dell'attività estrattiva nelle cave di arenaria, le cui pietre dette "masegno" venivano esportate soprattutto a Trieste, che attraversava un momento di grande espansione urbanistica, e utilizzate per lastricare le strade, per la costruzione di edifici e moli, attività comunque non sufficienti a risolvere la pesante crisi economica di Muggia, che vide una fine proprio con le iniziative industriali di G. Tonello e degli Strudthoff, che impiegavano manodopera locale e formavano nuove figure professionali che percepivano uno stipendio spesso basso, ma garantito.


La villa della famiglia Strudthoff a San Rocco.
Foto collezione Antonio Paladini.


La abitazioni dei dipendenti e villa Strudthoff
Edoardo Strudthoff e lo Stabilimento Tecnico Triestino acquistarono gran parte dei fondi sulle colline circostanti al cantiere, si trattava di: boschi, terreni agricoli, pascoli e alcune aree edificabili dove vennero costruite le prime abitazioni per tecnici e dirigenti del cantiere e successivamente altre più numerose per la manovalanza.
Uno dei primi edifici, presente nelle mappe del 1873 (pc.178-P.T.274), si trova in strada per Fontanella 9, lo ricordo, perché rimane ancora presente nella memoria di molti muggesani come la "La scola del cantier San Rocco", l'edificio fu realizzato per ospitare tecnici e ingegneri e grazie al ricordo di qualche abitante del luogo veniamo a sapere che nel 1932 era ancora abitato dalla famiglia di un ingegnere impiegato nel cantiere; successivamente fu adattato a scuola elementare privata e rimase di proprietà del cantiere fino al 1969, quando venne ceduto al Comune che per alcuni anni lo mantenne come sede scolastica, per poi convertirlo in centro estivo; dopo l'apertura della scuola elementare di Zindis (1972-73) l'edificio fu dismesso e, nonostante siano stati proposti alcuni progetti di recupero, oggi si ritrova in stato di degrado.


(1) Villa di Edoardo Strudothoff con il vasto giardino, circondata da altre proprietà degli stessi Strudothff. (2) La nuova chiesa di San Rocco costruita nel 1864. (3) Costruzione con cortile e giardino, di proprietà dello Stabilimento Tecnico Triestino, sorta come abitazione di tecnici e ingegneri del cantiere poi adattata a edificio scolastico. (4) Due piccole cave di proprietà di E. Strudothoff.


Parlando invece delle proprietà personali di E.Strudthoff, queste arrivavano fino a Vanisella, con alcuni lotti nel territorio di Ciampore; fra boschi, pascoli e orti, c'erano anche diversi vigneti che producevano un ottimo vino, tanto da valergli la medaglia di bronzo alla grande "Mostra agricola industriale e di belle arti" [5] che si tenne a Trieste nel 1871.
La zona più panoramica era la collina che dominava il cantiere e dalla quale si godeva di una splendida vista del golfo, su questa, lungo contrada San Rocco (che più o meno ricalcava il percorso dell'attuale strada per la Fortezza), costruì la sua villa, che vediamo apparire nelle mappe del territorio già dal 1873; questa era un edificio a due piani, con piccole mansarde e un ampio terrazzo in legno che attraversava la facciata principale, mentre quella rivolta a sud era caratterizzata da una luminosa e ariosa vetrata e dall'ingresso, protetto da un pergolato con rampicanti che offriva riparo durante la stagione estiva, nella parte antistante la villa un ampio parco con una ricca vegetazione scendeva quasi fino alla strada. Alla morte di Edoardo Strudthoff la proprietà passò, come bene indiviso, ai figli: Augusto, Mario, Giulio e Bianca e poi ai nipoti.
Durante le incursioni aeree sul Cantiere, avvenute il 7 e il 20 febbraio 1945, per gli effetti dello spostamento d'aria provocato dalle bombe la villa subì il crollo dell'ala destra, l'edificio venne però riadattato con diverse modifiche e continuò a essere abitato.
Nel corso degli anni le vaste proprietà furono suddivise, le particelle catastali frazionate, scorporate dai corpi tavolari e vendute, sui pendii collinari vennero costruite numerose villette e case rurali.
La parte ancora esistente della villa, in stato di abbandono, è poco riconoscibile, ma si trova in strada per la Fortezza n°12, nella parte alta della facciata ha resistito al tempo una nicchia protetta da un vetro, che ospita due statuette sacre, poste forse dopo la seconda guerra a ricordo dei bombardamenti che lesionarono, ma non colpirono mai direttamente la villa (edificio pc 139/2 P.T 275 - PT 409).


In strada per la Fortezza n°12 quello che resta della Villa Strudthoff, la parte sinistra venne modificata in seguito al crollo causato dai bombardamenti, manca l'ala destra, demolita forse per permettere la costruzione della nuova casa che vediamo addossata, in alto nascosta dalle fronde la nicchia con le immagini sacre.
Foto M. Tauceri.


Nel timpano rivestito con tavole di legno si vede la nicchia chiusa da un vetro che protegge le immagini sacre, si presume sia stata posta dopo il secondo conflitto come segno di ringraziamento per aver protetto la villa dai bombardamenti.
Foto M. Tauceri.



(1) Cantiere San Rocco, la carta riporta il nome in tedesco "Werfte Strudthoff". (2) Bacino di carenaggio. (3) "Lo Squero dei Cadetti", indicato con il nome tedesco di K.K. Werfte. (4) "Filiale dello Stabilimento Tecnico", cioè la fonderia degli Strudthoff. (5) Batteria San Rocco. (6) Batteria in località Zindis. (7) Werk St. Michele, cioè la batteria fortificata posta sul monte. La batteria del Forte Olmi, più a sinistra, non risulta coperta da questa mappa.
Dettaglio della carta topografica del Comune di Muggia posteriore al 1846 - tratta dal libro da "La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea" di A. Seri.


Fortificazioni
A difesa del cantiere navale di San Rocco il Comando Militare Austriaco progettò un sistema difensivo costituito da quattro fortezze, realizzate fra il 1858 e il 1864 su progetto del Tenente Colonnello Karl Moering (1810-1870)[6], il direttore dei lavori fu l'udinese Culotti in collaborazione con Pietro Rizzi e gli operai furono reclutati fra la manodopera muggesana. La batteria n1 fu sistemata sulla collina prospiciente il cantiere San Rocco, lungo l'attuale strada per la Fortezza, oggi rimane visibile una modesta parte dell'edificio nascosta fra le case; la n 2 era in località Zindis, lungo l'attuale strada per Chiampore, di cui si è salvato l'edificio principale, adibito a ristorante; la n 3 era posta sul monte San Michele - Sv Mihel, vista la posizione arretrata è probabile che sia stata costruita a protezione delle altre batterie, di questa oggi rimangono soltanto dei resti murari. Alle tre batterie si aggiungeva il Forte Olmi [7] in prossimità di punta Olmi o punta Ronchi-Ronk-Ronco [8], che rappresentava uno dei punti di forza di tutto il sistema difensivo di Trieste e di cui si sono mantenuti i due piloni laterali del ponte levatoio.



Il bacino di carenaggio
Affinché la società potesse avere i maggiori e costanti introiti offerti dalla manutenzione navale, venne decisa la costruzione di un grande bacino di carenaggio, il posto ideale era il terreno contiguo al Cantiere San Rocco occupato dall'antica chiesetta, questo fondo di proprietà dei fratelli Don Giovanni Maria e Francesco Derossi, con lungimiranza era stato acquistato per 25 fiorini il 3 ottobre 1861 dal barone P. Revoltella per conto dello Stabilimento Tecnico Triestino, con il vincolo contrattuale: "...di mantenere, conservare ed abbellire la indicata chiesa di S. Rocco, per conto, nome ed esclusivo uso della chiesa stessa."
Per la realizzazione del progetto era quindi necessario ottenere l'autorizzazione a trasferire la chiesa in altro sito, a questo riguardo Edoardo Strudthoff il 22 marzo 1864 avviò le trattative con la Rappresentanza comunale di Muggia e l'Ufficio Parrocchiale, illustrando i vantaggi economici che sarebbero derivati alla cittadina da questo ampliamento e non mancando di segnalare che la chiesetta era ubicata in prossimità del molo dove si svolgevano le operazioni di carico e scarico, e il frastuono dell'attività cantieristica impediva il necessario raccoglimento dei devoti, concluse assicurando che si sarebbe impegnato a riedificarla in un terreno di loro proprietà con un sagrato sufficiente ad accogliere i fedeli anche nei giorni di più grande affluenza.


La chiesa di San Rocco addobbata per qualche festività, forse l'annessione di Muggia all'Italia avvenuta il 24 aprile 1921; nel piazzale i ragazzi con la divisa del ricreatorio del Cantiere San Rocco S.A.
Foto collezione Sergio Martincich.


La chiesa di San Rocco costruita dai fratelli Strudthoff dopo la demolizione della chiesetta originale, nella facciata si notano le finestre e l'ingresso ad arco acuto, in alto un piccolo rosone, due campaniletti delimitano la facciata.
Foto collezione A. Seri da "La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea".


Riedificazione della chiesa San Rocco
Avuta l'approvazione dell'Ordinariato Vescovile di Trieste e Capodistria, il 2 maggio il consiglio presieduto dal podestà Nicolò Frausin accordò alla Società l'autorizzazione alla demolizione, rinunciando anche alla proprietà della strada che conduceva alla chiesa, in cambio di una cifra che potesse essere impiegata per l'erezione di un nuovo Altar Maggiore per la chiesa parrocchiale o il Duomo dedicato ai Santi Giovanni e Paolo. Il Comune accondiscese alle richieste, consapevole che la realizzazione del bacino di carenaggio avrebbe portato nuove occupazioni e nuove opportunità per i muggesani (risollevando l'economia della cittadina, ancora in crisi dopo la soppressione delle saline iniziata nell'ottobre del 1827); il 21 maggio 1864 si stipulò un contratto fra la Parrocchia, il Comune di Muggia e lo Stabilimento Tecnico Triestino, con l'impegno che quest'ultimo assumesse a suo carico la conservazione della nuova chiesa ed esercitasse: "il perpetuo diritto di patronato", senza vantare diritto di proprietà e con l'indicazione che: "...la nuova chiesa dovrà essere costruita dietro lo stesso stile e nelle stesse dimensioni, come quella da demolirsi."
Pare comunque che il consenso non fosse plenario, in quanto I. Vascotto (Op.cit.) riferisce, che in calce al contratto venne riportato che: "il Camerlengo Signor Francesco Pozzo si rifiuta di apporre la propria firma", mentre sono presenti quelle del Parroco e di un altro Camerlengo.
La nuova chiesa venne costruita in un posto diverso da quello proposto dagli Strudthoff, questo particolare viene reso noto da una lettera (I. Vascotto Op.cit.) inviata l'8/5/1864 da don Mecchia all'Ordinariato Vescovile, dove precisa che di concerto con la Deputazione Comunale avevano indicato un posto ritenuto più adatto.
L'edificio fu realizzato in tempi brevi e con dimensioni quasi doppie (m.20,6 per m.10) rispetto alla chiesetta precedente, venne adottato lo stile neogotico, come era d'uso a quei tempi, con finestre ad arco acuto chiuse da vetrate colorate, due campaniletti ai lati della semplice facciata a capanna e un oculo centrale, tre gradini conducevano all'ingresso sopra al quale venne apposta una lastra con un'iscrizione, ormai poco visibile, che riassume la storia dell'antica chiesetta.
Prospiciente all'edificio sacro venne realizzato, come promesso, un sagrato che avrebbe potuto ospitare pure la piccola sagra che si teneva il 16 agosto, ricorrenza di San Rocco.


Dedicata/ a S. Rocco/ dai pii fondatori di Muggia/ per grazie ottenute/ nella terribile peste del MDCXXVI/ dall'antico suo sito traslocata /ricostruita ampliata /per cura /dello Stabilimento Tecnico Triestino /nel MDCCCLXIV-- (1864)
Da rilevare che l'iscrizione riporta erroneamente la data 1626, mentre l'epidemia fu il 1631, sembra probabile che lo scalpellino nel copiare la data abbia interpretato la X con una V.
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Un alto muro separava il cantiere San Rocco dalla strada, a destra la chiesa e la piccola costruzione che porta l'indicazione "Osteria al Giardinetto", una delle trattorie che offrivano momenti di ristoro e di baldoria, ma che erano pure luoghi d'incontro e di battaglie sindacali.
Foto collezione Sergio Martincich.


Particolare inferiore della pala del 1864, raffigurante la nuova chiesa e l'intenso lavoro del cantiere.
Foto tratta da "Le chiese di Trieste" di G. Cuscito.


“Il Diavoletto” del 7 aprile 1865 nello spazio dedicato alle "Belle Arti" commenta la pala da destinare all'altare della chiesa da poco riedificata, commissionata dagli Strudthoff al pittore Raffaele Astolfi (Bologna 1829 - Trieste 1900), scrivendo che l'opera raffigurava l'Assunzione di Maria al cielo, con ai piedi della Madonna la nuova chiesa e il cantiere, viene decantata inoltre la finezza dell'intaglio dei capitelli in legno da porre sulle colonne dell'altare, realizzati dai maestri ebanisti dello Stabilimento Tecnico Triestino.
G. Cuscito nel suo libro "Le chiese di Trieste" scrive che la pala è andata perduta e intorno al 1960 furono dispersi i tre altari lignei e la suppellettile liturgica ottocentesca.


L'Arciduca
Ancora una nota, che ci fa capire quanto fosse amata la chiesetta di San Rocco, riguarda l'Arciduca Ludovico (Luigi) Salvatore d'Asburgo Lorena (1847-1915), figlio dell'ultimo granduca Leopoldo II di Toscana (1797-1870) e Maria Antonietta di Borbone (1814-1898); uomo di vasta cultura, si occupava di tutti i rami dello scibile, in possesso del brevetto di capitano amava navigare e con i suoi yacht girò il mondo. Nel 1878 acquistò a Zindis una dimora con annesso un vasto podere, popolarmente conosciuta come "villa del Principe", nella tenuta, che arrivava fino al mare, comprendeva la spiaggia tra punta Ronco e il cantiere S. Rocco, dove era ormeggiato il suo panfilo "Nixe", fece erigere una cappella e altri edifici rustici, ma amava comunque frequentare la chiesa di San Rocco e gli abitanti del luogo ricordano che anche quando si ammalò, colpito da una forma progressiva di elefantiasi, veniva lì trasportato con una sedia per poter assistere alla messa.
Tra le opere di restauro e riutilizzazione vale la pena menzionare quella dell'ex batteria di difesa costiera n2, da cui fu ricavato uno stallaggio, che molti anni dopo divenne la "Trattoria al Belvedere" e dopo il 1980 il ristorante albergo "All'Arciduca", oggi chiuso.





Nel piazzale antistante la chiesa San Rocco l'edicola originale che ospitava l'immagine della Madonna, in una foto del 1960.
Foto tratta dalla rivista "Borgolauro" n° 59/60.


La nuova edicola ricostruita dopo lo spostamento del muro dovuto al restauro dell'edificio retrostante.
Foto M.Tauceri.


Ultimo intervento di restauro
All'inizio del muro di recinzione che divide la piazzola e la chiesa dalle proprietà circostanti, negli anni '50 venne realizzata una nicchia decorata con pietre di arenaria che ospitò un'immagine della Madonna, successivamente, in occasione di una ristrutturazione dell'edificio retrostante, venne modificato il percorso del muro, la nicchia fu spostata e ricostruita con dimensioni ridotte, qui rimase trascurata e sommersa dalla vegetazione fino alla ristrutturazione del 2011, in quell'occasione fu risistemata e pulita e la Madonna originale fu sostituita da una nuova immagine più piccola.
Quella del 2011 fu l'ultima importante opera di restauro della chiesa, estesa agli esterni, agli interni e al piazzale, in quest'occasione venne aumentata l'altezza del presbiterio, grazie all'eliminazione di una soffitta, e furono creati due matronei sulle pareti ai lati dell'altare.
Ad oggi (limitazioni relative all'attuale periodo emergenziale a parte), vista la mancanza dell'impianto di riscaldamento, la messa viene celebrata al sabato soltanto durante la bella stagione, ma la chiesa viene comunque aperta tutti i giorni per accogliere visitatori e fedeli.
Offrendo inoltre l'edificio sacro una buona acustica vi si esibiscono sovente diversi gruppi strumentali e vocali.




L'interno si presenta a navata unica con l'arco trionfale che conduce al presbiterio. La copertura è a falde inclinate con una travatura in legno e tavelle in cotto.
                           

Le finestre ad arco acuto con vetrate delicatamente colorate illuminano l'interno, a sinistra la statua di San Rocco.
                              
                                                            
In una nicchia rivestita con tessere di mosaico d'oro è collocata la statua di San Rocco, nato a Montpellier tra il 1345 e il 1350, morto a Voghera tra il 1376 e il 1379, in una notte tra il 15 e il 16 agosto.


Questo dipinto che rappresenta San Rocco, oggi custodito nell'ufficio parrocchiale, si presume risalga agli inizi del XVII secolo e pare sia la sola opera che ci sia pervenuta della prima chiesa di San Rocco demolita nel 1864.



Il grande bacino di carenaggio ormai completato con le guide per la sistemazione della barca-porta (paratia a tenuta stagna), sulla sinistra al di là della strada si vede la nuova chiesa di San Rocco.
Foto Civici Musei di Storia e Arte.


Riprendendo la storia del cantiere dopo la realizzazione del bacino di Carenaggio
Come progettato, dopo la demolizione della chiesetta nel 1870 venne concluso il grande bacino a secco in arenaria (dry-dock) della lunghezza 114 m per 20 m e profondo 8 m (Teobaldo Saffaro) (Nel 1894 venne portato agli attuali 122,15 metri), tale fu l'importanza dell'avvenimento che il 19 marzo 1869 l'Imperatore Francesco Giuseppe volle visitare il cantiere, onorando per la seconda volta i fratelli Strudthoff con la sua presenza. Ci furono grandi festeggiamenti, all'ingresso venne innalzato un arco di trionfo ricoperto d'edera e la strada venne adornata con fiori e fronde. In questa occasione l'Imperatore conferì a Guglielmo Strudthoff l'ordine della Corona ferrea di 3° classe con esenzione delle tasse e a Edoardo Strudthoff la croce di cavaliere dell'ordine di Francesco Giuseppe.

A seguito di questa abbiamo notizia di una terza visita, il 3 aprile 1875 l'Imperatore, accompagnato dai fratelli arciduchi Ludovico Vittore e Carlo Ludovico, si recò infatti al Cantiere in occasione della corazzatura di due navi, operazione possibile grazie alla costruzione nel 1872 dell' "Officina corazze".

Nel 1869 ci fu un'ulteriore evoluzione dello S.T.T., il capitale venne portato a 1.500.000 di fiorini, gli Strudothoff persero la maggioranza, ma ebbero la possibilità di accettare commesse più importanti, il cantiere ammodernato e reso atto alla costruzione di navi in ferro diventò uno dei bacini di raddobbo più attrezzati del mediterraneo.
Il cantiere che aveva iniziato nel 1860 con 100 operai, ebbe un costante sviluppo arrivando dopo 10 anni a 1000 operai, il lavoro comunque subiva delle oscillazioni in base alle commissioni, nel 1880 vennero impiegati solo 500 operai, mentre nel 1895, periodo di massimo splendore, si arrivò a 1400; questi provenivano prima da Muggia e d'intorni, ma poi anche dall'Istria, per cui si dovette provvedere all'edificazione di nuovi alloggi per le maestranze in prossimità dello stabilimento.

Edoardo rimase alla direzione del cantiere fino a novembre 1885, data della sua morte, sarà sostituito da Teodoro Schunk dal 1886 al 1891, Teodoro Albrecht 1891-1899, Giuseppe Kellner 1899-1906.

L'evoluzione nelle costruzioni navali permise la realizzazione di navi di dimensioni e stazza sempre maggiori e le spese per l'adeguamento del Cantiere San Rocco si rivelarono molto alte, per cui nel 1896 lo S.T.T. decise per l'acquisto del cantiere San Marco, che pur necessitando di opere di ammodernamento, vista l'inattività di più di vent'anni, offriva il vantaggio di un'area maggiore e di una posizione più favorevole, sia per la vicinanza alla Fabbrica Macchine di Sant'Andrea che per la possibilità di un allacciamento ferroviario; qui venne concentrata l'attività di costruzione navale, mentre San Rocco diventò un cantiere sussidiario, destinato alla manutenzione e il raddobbo delle navi. Per prevenire una crisi economica a Muggia, e poter usufruire di una manodopera già specializzata, mille operai vennero trasferiti al cantiere San Marco e per lo spostamento giornaliero dei lavoranti vennero utilizzati anche i vaporini della linea privata dello S.T.T., istituita nel 1867 con l'obiettivo di iniziare una nuova attività per il trasporto passeggeri, ma che dopo il 1885 fu dedicata al solo trasporto di lavoranti e materiali.


La sezione maschile del ricreatorio del Cantiere San Rocco S.A. I ragazzi indossano le divise con lo scudetto cucito sul petto. Il ricreatorio sorse come struttura parascolastica con l'intento di intrattenere i figli dei lavoratori del cantiere con lavori manuali, giochi, esercizi ginnici, coadiuvati da educatori e maestri.
Foto collezione Sergio Martincich. 


Verso il 1908 il cantiere muggesano ricevette un nuovo impulso consolidato da un ulteriore aumento di capitale, scorporato dallo Stabilimento Tecnico Triestino assunse la ragione sociale di Cantiere San Rocco S.A., con capitale sociale 5 milioni di corone, rammodernato con nuovi scali e officine, riprese l'attività costruttiva delle navi mercantili.
Gli imprenditori si dedicarono pure a qualche iniziativa di tipo sociale, quale l'organizzazione di una squadra di vigili del fuoco, la fondazione o di una banda, l'edificazione di altre case per gli operai e come supporto alle famiglie istituirono un ricreatorio per i figli degli operai in un edificio sito in via della Fontanella 9, che dopo il 1932 fu adibito a scuola elementare.

Nel 1930 il Cantiere San Rocco S.A. venne assorbito dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico (C.R.D.A.) e utilizzato solo per riparazioni, lo storico cantiere il 21 dicembre 1972 cedette gli scali alla Micoperi di Milano, riducendo l'area allo scalo d'alaggio e al bacino di carenaggio, l'11 novembre 1981 cessò l'attività e il 26 febbraio 1982 le aree rimaste vennero cedute alla Marina Muja che aveva in progetto la creazione un villaggio turistico residenziale dotato di un porto, aree verdi e zone di balneazione.


La strada provinciale 14 divide la chiesa di San Rocco e il porto di San Rocco Marina Resort con il complesso turistico residenziale.



Note
[1]
Nome riportato da Giordano Pontini nel libro "Muggia attraverso le sue chiese".

[2]
Sorta di pane utilizzato nella Repubblica di Venezia, realizzato con frumento di seconda scelta, veniva cotto due volte e, se mantenuto asciutto, poteva conservarsi fino a due anni. Veniva utilizzato soprattutto come sostentamento delle truppe e dei marinai.
A Venezia aveva un ruolo economico tale da far parte delle riserve alimentari e a seconda della situazione economica il governo stabiliva la quantità di biscotto da produrre e il frumento necessario.

[3]
Il Santo invocato nei periodi di grandi epidemie viene rappresentato con l'abito del pellegrino, bastone, mantello, cappello, borraccia, conchiglia e spesso accompagnato da un cane.
Nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350, da genitori benestanti, cristiani dediti a opere di carità, dalla nascita lo contraddistingue una croce vermiglia sul petto. Rimasto orfano in giovane età vendette tutti i suoi beni e fece voto di recarsi a Roma. Arrivato in Italia, nel corso delle epidemie di peste andò a soccorrerne i contagiati, nel luglio 1367 arrivò ad Acquapendente (Viterbo), dove si offrì di prestare servizio nel locale ospedale, invocando la Trinità di Dio operò miracolose guarigioni.
Rocco arrivò a Roma fra il 1367 e l’inizio del 1368, qui avvenne il miracolo più famoso: la guarigione di un cardinale e questi lo presentò al pontefice; per il pellegrino l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano.
Partì da Roma tra il 1370 ed il 1371, passò per diverse città, ma a Piacenza mentre assisteva gli ammalati venne contagiato, si ritirò in una grotta lungo il fiume Trebbia (tuttora esistente e trasformata in luogo di culto), dove un cane lo sfamò portandogli ogni giorno un tozzo di pane. Riuscì a guarire ed a continuare la sua opera di assistenza. Grazie alle guarigioni il suo nome divenne noto in tutto il paese. Mentre stava tornando a casa, per le complicate vicende politiche del tempo, Rocco venne arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera, per adempiere a un voto non volle rivelare il suo nome affermando soltanto di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Trascorse in prigione cinque anni, il verificarsi di alcuni eventi prodigiosi indusse i presenti ad avvisare il Governatore, ma Rocco morì la notte in cui fu decisa la sua liberazione, era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 e il 1379. Prima di spirare il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome. Dal particolare della croce vermiglia sul petto venne riconosciuto probabilmente dall'anziana madre del Governatore.
Rocco di Montpellier fu sepolto a Voghera con tutti gli onori.
Il Concilio di Costanza nel 1414 lo santificò a seguito del miracolo con cui liberò la città dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari.

[4]
Il giovane capitano di lungo corso Giorgio Simeone Strudthoff (1786-1847) nativo di Brema, nel 1815 dopo essere sbarcato dalla nave "Psiche" nella nostra città, prese alloggio nella casa di proprietà di Giacomo Manzioli, costruttore di strumenti ottici nautici, e della sorella Maria; forse attirato dalle opportunità che poteva offrire Trieste o dall'amore per Maria Manzioli, decise di fermarsi e con l'aiuto finanziario di amici iniziare un'attività come provveditore marittimo. Con Giacomo nacque un'importante collaborazione nel campo degli strumenti per la navigazione, ma oltre a questo si impegnò in molteplici settori in campo navale. Il 16 settembre 1816 sposò Maria Manzioli (1799-1858) e divenne cognato di Giuseppe Angeli, proprietario della nota corderia, la sua innata capacità imprenditoriale lo portò a sfruttare le opportunità del mercato e nel 1826 lo indusse ad avviare lui stesso una corderia, riuscendo però a ottenere soltanto permessi temporanei per l'occupazione del suolo. Dal matrimonio con Maria nacquero: Guglielmo (Wilhelm-Simon) 19 gennaio 1817 - ?, Giorgio (George Joseph) 1822 - 1888, Antonio (Karl Anton) 1824 - 1857, Augusto 1827 - 1892, Edoardo (Johann Eduard) 1832 - 1885 e Costanza, della quale non si reperiscono notizie. [A. Seri]
Con l'intenzione di trasferire e ampliare la fabbrica di strumenti nautici ottici e matematici che possedeva con il cognato Giacomo, acquistò dall'avvocato Giovanni Corrado Platner, lungo la strada di Sant'Andrea, accanto all'omonima chiesetta, un vasto appezzamento di terreno con una casa dominicale del valore di 10.000 fiorini, denaro che riuscì a raccogliere con la vendita dei suoi beni e grazie a prestiti privati e bancari; il contratto fu stipulato 17 febbraio 1835, immediatamente vennero intraprese le opere di ristrutturazione dell'edificio, che fu ampliato e adibito a opificio e abitazione.
Dopo la morte di Giacomo Manzioli, avvenuta nel 1839, la produzione di strumenti ottici e il negozio divennero di sua sola proprietà e decise di impegnarsi nel settore siderurgico, un campo nel quale non aveva esperienza, ma che avrebbe potuto offrire grandi possibilità, a tale scopo la fabbrica venne ampliata con la costruzione di tre fabbricati, uno dei quali adibito a fonderia.
Avvalendosi di fonditori esperti iniziò con la produzione di stufe, macchine agricole e macchinari per la produzione delle cose più diverse, ma anche quando la fonderia fu ben avviata continuò ad accettare pure le commesse più semplici, come gavitelli, boe, catene.
Per imparare le tecniche di fusione dei metalli e la fabbricazione delle macchine a vapore Guglielmo, il figlio maggiore, venne inviato in Inghilterra, al ritorno riuscì a mettere a frutto l'esperienza acquisita ottenendo l'incarico di direttore della fonderia, che negli anni si svilupperà grazie all'introduzione di macchinari tali da poter accettare commissioni più importanti.
Data la difficoltà a pronunciare un cognome così complesso i dipendenti lo chiamarono "Sior Strudolf", nome che venne esteso ai suoi eredi e piacque tanto da diventare di uso corrente anche per indicare la Fabbrica Macchine.
Il 10 marzo 1847 si concluse l'intensa vita di G. Strudthoff, la proprietà, che comprendeva anche il negozio si strumenti ottici e le attività alle quali si era dedicato fin dall'inizio e nonostante il successo non aveva mai voluto abbandonare, passò ai figli Guglielmo, Giorgio, Antonio, ancora minori Augusto, Costanza ed Edoardo, i quali avevano affiancato fin da giovanissimi il padre nell'attività, acquisendo competenze e l'abilità necessaria al lavoro di squadra.

[5]
Alla stessa esposizione partecipò anche lo S.T.T. con modelli, disegni e fotografie di una macchina a vapore, di un pontone gru di 25 tonnellate e del ponte girevole noto con la denominazione "ponte verde", realizzato nel 1858 a Trieste sul Canale Grande.
La mostra si tenne nell'area al tempo sgombra di case, di fronte al Giardino Pubblico Muzio de Tommasini con l'ingresso sulla strada, allora denominata, carrozzabile del Boschetto (via Giulia).

[6]
Karl Moering o Möring (19 maggio 1810 - 26 dicembre 1870). Storico, letterato e poeta, studiò presso l'Accademia di Ingegneria di Vienna, nel 1829 entrò nel Genio Militare, dal 1846 si dedicò anche alla carriera politica. Nel 1848 giunse per la prima volta a Trieste e dopo due anni entrò nella Marina Militare. Nel 1849 venne nominato Geniedirektor (Direttore del Genio militare) di Trieste. Negli anni a seguire sviluppò un piano difensivo della città piuttosto articolato, che la proteggeva sia in caso di un attacco dal mare, con la costruzione di fortezze e batterie, che dall'interno con torri batterie e chiudi strada. Si occupò delle difese e fortificazioni in altre città dell'Impero, continuando la carriera militare.
Dal 1868 venne nominato governatore del Litorale austriaco, carica che mantenne fino alla morte.

[7]
Il Forte Olmi rappresentava uno dei punti di forza di tutto il sistema difensivo del porto di Trieste, fu iniziato nel 1858 e concluso nel 1864, a pianta quadrata, con due terrapieni rivolti verso il mare sulla cui sommità vennero posti due mortai rotanti e due più piccoli rivolti verso terra, era cinto da un fossato di circa 7 metri, vi si accedeva attraverso un ponte levatoio di cui oggi rimangono i due piloni laterali. L'armamento consisteva in 16 cannoni, due mortai rotanti, 8 cannoncini da 8 libbre e una guarnigione di circa 500 soldati; rimase inalterato per quasi venti anni, poi venne armato con nuovi cannoni e finita la prima guerra mondiale fu abbandonato. Nel 1928-32 venne usato dalla Milizia per esercitazioni, periodo in cui venne seriamente danneggiato. Nell'ultima guerra mondiale la batteria fu nuovamente attrezzata per la difesa antiaerea, all'interno del cortile venne costruita una casermetta per una piccola guarnigione e gran parte degli spalti furono spianati per realizzare una strada che porta al mare. Oggi sono discretamente conservate le due profonde polveriere, trasformate per usi agricoli, all'ingresso di una delle quali è ancora visibile la data 1864.

[8]
Ronchi-Ronk-Ronco, significa roncola o falcetto, il nome deriva da un toponimo medioevale piuttosto ricorrente in regione, che indica territori interessati in passato da grandi disboscamenti, altrettanto valida la derivazione dal verbo latino "runco - runcāre" estirpare.



Bibliografia:
La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea di Alfieri Seri.
San Rocco storia di un cantiere navale di Ernesto Gellner - Paolo Valenti 1990.
Istria storia, arte, cultura di Dario Alberi.
Le chiese di Trieste di Giuseppe Cuscito.
Muggia attraverso le sue chiese di Giordano Pontini 1967.
Il Mare di Trieste e dell'Istria di Aldo Cherini e Paolo Valenti 2004.
"Le piccole architetture di Muggia a soggetto religioso" di Sergio Pupis - Borgolauro N°59-60 anno 2011.
Muggia di Fabio Zubini.
La chiesetta di San Rocco: dal cantiere navale al "Marina Muja" di Italo Vascotto - Borgolauro N° 5 anno 1984.
Trieste industriale - Trieste 1885 di Teobaldo Saffaro.
Fortificazioni Austriache dell'Ottocento di Leone Veronese Jr. Borgolauro N°5 1984.
Il Diavoletto 22 maggio 1861.
Il Diavoletto 5 novembre 1860.
Discover Muggia itinerari muggesani.
Il Building Information Modelling (BIM) e l'interoperabilità in ambito energetico. Caso di studio: Cenacolo di artisti nell'ex scuola elementare di Muggia. - Tesi di laurea di Nicola Tosolini.
Famiglia Cristiana "San Rocco il pellegrino che non aveva paura degli appestati".

giovedì 20 agosto 2020

Lo stabilimento galleggiante "Maria", ovvero il "Bagno Maria"

Litografia intitolata "Stabilimento Balneario Maria" di Alberto Rieger ed. Linassi 1858.


Trieste stava vivendo un momento di grande espansione e grazie alla nuova linea ferroviaria inaugurata il 27 luglio 1857 anche per molti forestieri fu ancora più semplice raggiungere le tanto decantate acque del nostro golfo, per soddisfare le loro esigenze e quelle della borghesia triestina ai bagni galleggianti già attivi si aggiunse il "Bagno Maria", che si preparava a essere il più elegante, accogliente e attrezzato della città.


La costruzione e il varo
Per conoscere l'origine di questo stabilimento è necessario risalire al 1850, quando gli Strudthoff, proprietari della Fabbrica Macchine di Sant'Andrea, per ampliare la loro attività con la costruzione di un cantiere, acquistarono a Muggia un'area abbandonata di proprietà Comunale, nella quale in seguito alle pestilenze del 1631 erano stati costruiti un lazzaretto, un cimitero e una chiesetta dedicata a San Rocco [1]; dopo otto anni di lavori impegnativi e complessi il cantiere San Rocco, diretto dal giovane Edoardo Strudthoff, entrò in funzione.
Pochi mesi prima, con atto notarile del 27 aprile 1857, la Fabbrica Macchine era diventata una società per azioni con il nome di "Stabilimento Tecnico Triestino", la neonata Società e il cantiere vennero inaugurati con un lavoro piuttosto particolare, la costruzione dello stabilimento balneare "Maria", che il 15 maggio 1858, festeggiato da tutti gli operai e accompagnato dalla musica, entrò in acqua con un varo scivolato laterale e trainato successivamente di fronte all'Hotel de la Ville iniziò immediatamente la sua attività.
I cittadini stavano aspettando questo bagno elegante e innovativo con grande curiosità, i giornali da tempo avevano pubblicato stuzzicanti anticipazioni e le aspettative non furono deluse.


Nel disegno è rappresentato il Cantiere, al centro la chiesa edificata nel 1631 in onore di San Rocco, a sinistra i magazzini. L'anonimo artista ha voluto fissare il momento del varo del Bagno Maria avvenuto il 15 maggio 1858.
Tempera a colori conservata al Museo Scaramangà (foto da libro).


Lo stabilimento balneare venne finanziato da una società rappresentata dagli imprenditori Pietro Chiozza e Francesco Carlo Ferrari, disegni e progetti furono eseguiti dall'ing. Lorenzo Furian [2], il sistema di galleggiamento venne realizzato dal costruttore primo tenente del Genio Stolfa, affiancato per le parti tecniche dai fratelli Strudthoff. Si trattava del primo bagno sostenuto da una struttura in ferro, questa era formata da una serie di tubi stagni in metallo a sezione quasi ovoidale sui quali poggiava una piattaforma di circa 158 x 82 piedi (~ 50 per 26 metri). Era stata così ammodernata con nuove tecnologie e materiali l'idea che Domenico Angeli aveva concretizzato con la costruzione del "Soglio di Nettuno", primo bagno galleggiante della città. Le parti metalliche vennero costruite dalla Fabbrica Macchine e, non essendoci ancora un collegamento stradale con San Rocco, furono trasportate al cantiere via mare, dove vennero montati tutti gli elementi, mentre i carpentieri costruivano le elaborate sovrastrutture in legno.


Disegno del bagno Maria di Gustav Lahn per la rivista "Allgemeine Bauzeitung" del 1859, si nota l'elegante facciata, i ponti esterni lungo i fianchi protetti da una leggera ringhiera e le torrette, dalle cui terrazze si godeva lo spettacolo dell'ampio golfo e del Castello di Miramare che sarà completato nel 1860.


La struttura
L'insieme era forte e resistente alle intemperie, ma allo stesso tempo molto elegante e arredato con lusso, una serie di archi conferivano un senso di leggerezza alla facciata, un'ampia scalinata collegava l'approdo a un vestibolo che conduceva poi a un salone con caffetteria, altre sale più piccole erano predisposte per ritrovi conviviali, inoltre lo stabilimento era dotato di un panoramico terrazzo. Le cabine poste lungo i fianchi, comode e ben arredate, erano dotate di vasche protette da una gabbia e munite di un fondo che poteva essere abbassato nel mare a piacere dei bagnanti, accortezza che permetteva di immergersi con sicurezza anche a coloro che non sapevano nuotare, inoltre vi era un bacino chiuso, sempre munito di fondo, riservato alle donne e una vasca, a uso degli uomini, che offriva la possibilità di uscire in mare aperto, in quest'ultima parte si trovavano pure due trampolini, una struttura per gli esercizi ginnici e una doccia a pompa; grazie alla presenza delle due vasche separate questo è stato il primo bagno che permise l'ingresso contemporaneo a uomini e donne, dove quelli fin qui costruiti prevedevano orari di frequentazione differenziati per i due sessi. Le coperture a protezione di sole e pioggia erano realizzate con tavole di legno larghe circa 25 cm, inclinate e parzialmente sovrapposte, ma spaziate verticalmente affinché potesse circolare l'aria, le rimanenti sezioni dello stabilimento erano invece protette da teli, che scendendo lungo i fianchi della struttura facevano da scudo, oltre che dal sole, anche dagli sguardi di passeggeri ed equipaggi delle navi ormeggiate nelle vicinanze.

                        
                                  
La parte finale dello stabilimento con al centro la vasca per gli uomini e l'accesso al mare aperto, sulla piattaforma si vedono i trampolini di diverse altezze e il quadro per gli esercizi ginnici, la linea tratteggiata indica invece la struttura metallica galleggiante. Negli anni lo stabilimento subirà importanti modifiche che lo differenzieranno dal progetto iniziale qui sopra illustrato.


I prezzi degli ingressi variarono con il passare degli anni, ma non venivano riportati dai giornali come accadeva per gli altri bagni, in questi infatti si leggono solo alcune lamentele dei clienti per i rincari; le tariffe in vigore erano evidentemente tenute "elegantemente" nascoste, tanto che i gestori del bagno ricevettero persino un invito dal Governo Marittimo a esporle in modo evidente. Come per altri esercizi di questo genere esistevano abbonamenti di vario tipo e gli ingressi singoli, trascrivo quanto pubblicato nella rivista Allgemeine Bauzeitung del 1859, anno in cui variò il valore del Kreuzer (kr) [3]: "...il costo di un bagno completo di biancheria nella vasca comune è di 32 e 35 kr, rispettivamente per signori e signore, 42 kr per i bagni individuali sempre compresa la biancheria, 1fl e 60 kr. per un bagno di famiglia per quattro persone.".


Nell'elegante locandina del Bagno Maria, datata maggio 1858, viene illustrata in tre lingue la dislocazione delle varie zone dello stabilimento, sono elogiate le qualità del servizio, del personale, dei maestri di nuoto e ginnastica e la modicità dei prezzi.
L'immagine permette di vedere la notevole ampiezza del bagno, la galleria protetta da una ringhiera che corre lungo il fianco e la grande vasca posteriore riservata ai nuotatori esperti - litografia Linassi.






    





Il disegno realizzato da Gustav Lahn per la rivista "Allgemeine Bauzeitung" rappresenta la sezione del bagno in corrispondenza della vasca recintata centrale, è stato illustrato il dispositivo, presente sia nei bagni singoli che in quelli per famiglie, con il quale gli addetti dal corridoio potevano abbassare il fondo delle vasche, si nota la griglia che proteggeva i bagnanti anche da pesci e "bote marine"[4], ma nel contempo consentiva il continuo ricambio dell'acqua. Le forme quasi ovoidali alte 2 m e larghe 1,58 m corrispondono alla struttura metallica cava che permetteva il galleggiamento della piattaforma.


Nella locandina viene elogiata la pulizia dei locali, si legge che i bagnanti avevano a disposizione il personale d'istruzione per il nuoto e la ginnastica e che l'impianto poteva ospitare fino a duecento persone, i prezzi erano modici e la direzione auspicava un grande afflusso di clienti.

Conferma che questo bagno fosse il vanto della città fu il suo inserimento nella guida "Tre giorni a Trieste" del 1858, tralascio la dettagliata descrizione dello stabilimento per riportare altri passi degni d'interesse: "L'acqua del nostro mare è ottima, limpidissima e contiene tutti quei principi che sono utili per quelli che hanno bisogno di prendere i bagni; molto sale marino, varie alghe, idroclorati, e carbonati di calce e di magnesia, come pure del jodio, e tanto più è migliore, in quanto non ha fiumi vicini che vi mescolino le loro acque"..."per cui dopo l'apertura della ferrovia, qui accorrono da ogni parte i forastieri, specialmente dalla Germania, dalla Stiria, dalla Carintia, onde profittare della tanto proficua cura dei bagni di mare, in una posizione amena e centrale, in una plaga bellissima, in uno Stabilimento a niun'altro secondo...".

Effettivamente i bagnanti affluivano in gran numero e con previsioni ottimistiche i proprietari avevano già fatto preparare i progetti con le modifiche necessarie ad aumentare il numero degli spogliatoi e la capacità della vasca centrale, ma piccole migliorie venivano apportate a ogni stagione, sia per preservare il carattere di eccellenza che contraddistingueva lo stabilimento, che per poter presentare delle novità che mantenessero viva la curiosità nei clienti.


Volantini che venivano distribuiti dal personale di servizio per ottenere qualche mancia.
Collezione Iure Barac.


Le due frecce indicano da sinistra il bagno Maria e, appena visibile, il bagno Boscaglia, confusi nelle acque affollate da velieri affiancati da qualche nave a vapore; in primo piano la facciata posteriore del palazzo Kalister, che sarà portato a termine nel 1882; accanto al maestoso palazzo Panfilli, con la copertura del corpo centrale ricurva, concluso nel 1881, ancora qualche magazzino dell'omonimo squero chiuso dal 1850; a destra l'edificio della stazione allora Meridionale, poi Centrale, inaugurata il 19 giugno 1878; ancora in cantiere la piazza della Stazione (dal 1919 piazza della Libertà).


In occasione dell'apertura della quarta stagione estiva venne pubblicata questa inserzione sul giornale "L'Osservatore Triestino" del 19 maggio 1861.
Collezione Iure Barac.
                                              

L'Hotel de la Ville
La frase "nel più bel punto del nostro porto", riportata nell'inserzione pubblicata qui sopra, si riferisce al tratto di mare dinanzi l'Hotel de la Ville, collocazione che ottenuta fin da subito verrà confermata negli anni a venire.
Lo stabilimento comunque non era destinato ai soli clienti dell'albergo e per raggiungerlo venivano utilizzate delle imbarcazioni, munite di tendaletto per proteggere i passeggeri dal sole, ormeggiate in vari punti lungo le rive e con tariffe fissate dalle autorità, questo comunque non evitava il nascere di discussioni.
L'Hotel de la Ville, completato nel 1841, era l'albergo più lussuoso della città, particolarità che lo collega all'argomento trattato nell'articolo era la presenza al pianterreno di un bagno diurno, con nove stanzini dotati di vasche in marmo di Carrara, che offrivano acqua dolce e salata, calda o fredda; l'acqua di mare, con la quale era possibile bagnarsi in tutte le stagioni, veniva pompata dalla radice del molo San Carlo (Audace) e convogliata all'albergo con un complesso sistema di pompaggio e filtraggio. Grazie all'ingresso indipendente in via della Cassa (dal 1919 Via Genova) poteva usufruire del bagno anche chi non era ospite dell'Hotel.


I bagni dell'Hotel de la Ville venivano ampiamente pubblicizzati con inserzioni poste nelle "Guide generali della città di Trieste", in giornali e riviste.
Annuncio pubblicitario tratto da "Il Cittadino" 28 maggio 1872".


I nuovi proprietari
Il 18 aprile 1870 lo stabilimento balneario Maria venne acquisito da una nuova società, il capitale venne frazionato in 400 azioni e le condizioni vennero definite con un statuto, il bagno continuò l'attività senza evidenti cambiamenti, proseguì l'organizzazione di cene e feste serali, sempre accompagnate da musica e occasionalmente concluse con fuochi d'artificio, talvolta piccole orchestrine dilettavano gli ospiti anche nei pomeriggi, la melodia si diffondeva nell'aria e ne godeva la borghesia che passeggiava lungo il molo San Carlo.


Dopo le stampe vediamo la prima immagine fotografica datata 1870 che riprende il Bagno Maria ormeggiato, durante il periodo invernale, al riparo nella darsena della Sacchetta. Sullo sfondo la Lanterna con ai piedi "la Scuola Militare di nuoto" prima denominazione del "Bagno Militare", in primo piano uno del moli dell'ex Lazzaretto San Carlo. 
Foto di E. Seebald tratta dal libro "Triest 1865-1935 - album".


Nell'immagine presentata sopra si vede una struttura galleggiante piuttosto diversa da quella presentata nelle stampe e nel progetto, è formata da due corpi, le torrette panoramiche risultano notevolmente più basse, posteriormente, in sostituzione della parte arrotondata, la vasca riservata agli uomini viene delimitata da una piattaforma lineare sulla quale comunque rimangono i trampolini e il quadro per gli esercizi ginnici. A questo proposito vorrei riportare quanto scritto dal "Dizionario Corografico dell'Italia" del 1871[5], nel capitoletto degli stabilimenti balneari, dopo una precisa descrizione del bagno Maria, conclude scrivendo che la solida struttura metallica non riuscì a resistere a una terribile bufera che la distrusse nell'estate del 1870 e il bagno venne ricostruito in legno di più modeste proporzioni. Non ho trovato altre fonti che confermino questo incidente, ma anche se alcune modifiche possono essere state fatte per soddisfare le esigenze dei clienti e per la necessità di un ampliamento, molti giornali, per motivi diversi, citano i barconi che sostenevano la piattaforma, a conferma che la struttura di galleggiamento metallica era stata sostituita tutta o in parte dai meno tecnologici e più economici barconi, usati anche dagli altri bagni galleggianti.   


 
Nel 1872 l'Hotel de la Ville ospitò i coniugi Burton appena giunti a Trieste e anche successivamente rimase uno dei loro locali prediletti, specie per Isabel Burton che amava frequentare il Bagno Maria, dove poteva vestirsi comodamente con "pantaloni corti, con un busto e cintura di lana blu o alpacca
bianca"
per fare una nuotata in tranquillità grazie alle spesse grate anti squalo che proteggevano le vasche [6].
Prendo spunto da questo fatto per aprire una parentesi e parlare degli squali che popolavano le nostre acque, per la maggior parte erano innocui, ma vi si poteva trovare anche lo squalo bianco (nel 1873 classificato con il nome di carcharodon carcharias), il più temuto predatore, questi, attratti dal grande numero di tonnare che si trovavano da Trieste fino al golfo del Quarnaro, da maggio a settembre erano piuttosto numerosi e oltre ai danni che procuravano alla pesca erano un fonte di preoccupazione per i bagnanti, tanto che l'I.R. Governo Marittimo emise un'ordinanza che stabiliva dei premi per la cattura di questi animali [7] e nel contempo, per tutelare la sicurezza dei nuotatori, aveva disposto l'installazione di reti anti squalo attorno alle vasche dei bagni galleggianti, annualmente verificate da una specifica commissione, infine, quando in prossimità del golfo veniva segnalata la presenza di pesci-cani, definiti popolarmente "il mostro marino", i proprietari erano tenuti a controllare che i bagnanti non uscissero dalle piscine dello stabilimento per delle nuotate in mare aperto.


Nell'immagine possiamo vedere lo stabilimento ancorato davanti all'Hotel de la Ville. Dietro al palazzo Carciotti, ancora in costruzione il palazzo Genel, che fu realizzato fra il 1876 e il 1878, questo ci permette di datare la foto approssimativamente nel 1877, per cui il bagno era in già attività da quasi vent'anni.
Foto collezione Iure Barac.


Una barca si stacca dalla riva per condurre le due dame al Bagno Maria ancorato al largo.
Foto collezione Antonio Paladini.


I "lagni" dei triestini
Così venivano definite le proteste per le cose più diverse che i cittadini manifestavano scrivendo al Podestà o ai vari giornali, una specie di "segnalazioni" ante litteram.
Una lettera a firma del Podestà datata 18 luglio 1864 raccoglie le lamentele di alcuni cittadini che passeggiavano lungo il Molo San Carlo: "...in quanto con offesa del pudore risulta inevitabile la vista dei bagnanti nel loro costume pressoché adamitico...", riferendosi agli ospiti del Bagno Maria alla portata dei loro sguardi. Il Comune trasmise la lettera al al I.R Governo Centrale Marittimo e questi rispose che sarebbe bastato interdire il nuoto dalla parte prospiciente il molo e far chiudere le tende lungo la fiancata del bagno, non essendo possibile allontanare l'impianto galleggiante in quanto era stato ormeggiato poco discosto dal molo per la necessità di avere maggior spazio per le manovre delle navi.

Si leggono proteste, ripetute negli anni, anche riguardo i ragazzini che si tuffano dalle rive e dal molo San Carlo. I controlli erano assidui e agli agenti che sorvegliavano il molo e le rive si aggiunsero i piloti che vigilavano dal mare, in quanto i ragazzini talvolta si avvicinavano al molo con piccole barchette per riuscire a realizzare i sospirati tuffi. Comunque gli organi della I.R. Direzione di Polizia ben sapevano che i "monelli" erano velocissimi e appena passato il controllo si spogliavano e con un balzo erano in acqua, in quanto più volte gli agenti, nei rapporti consegnati a fine giornata, manifestavano l'effettiva impossibilità di impedire "l'inconveniente".

L'abitudine di tuffarsi nudi era piuttosto diffusa e riguardava prevalentemente i tratti di spiaggia liberi e i bagni popolari, ma non solo, con "orrore" di chi si trovava a passeggiare nelle vicinanze. Per questo motivo ad ogni inizio di stagione estiva veniva rinnovata l'ordinanza che indicava i luoghi e l'abbigliamento indicato per i bagni di mare, che così si può sintetizzare:
1) Vietato bagnarsi fuori dai luoghi indicati.
2) Durante il giorno, e cioè dal primo colpo di cannone all'ultimo, i bagnanti devono indossare le mutande o una vestaglia.
3) I contravventori del punto 1 verranno puniti secondo all'art. 338 del codice penale, i trasgressori del punto 2 verranno trattati a norma dell'ordinanza imperiale 20 aprile 1854 - datato 4 giugno 1861 a firma del direttore consigliere del Governo cavaliere Hell. [8]

Ricorrono infine spesso, per uno o l'altro bagno, le proteste di quelli che vengono definiti "vecchi parrucconi", bagnati dagli spruzzi d'acqua sollevati dall'impeto con cui i ragazzi si tuffavano.


Stampa presente nella guida "Tre giorni a Trieste", successivamente acquerellata.
Collezione Iure Barac.


I bagni del golfo 
A ogni stagione l'Ufficio Porto e Sanità stilava l'elenco dei bagni galleggianti presenti nella rada di Trieste, dove venivano registrati i nomi degli stabilimenti, dei loro proprietari e la collocazione; per diversi anni nel golfo si trovarono contemporaneamente al nuovo stabilimento "Maria"il veterano "Soglio di Nettuno" inaugurato nel 1823, il bagno galleggiante Buchler [9] in attività dal 1830 e, all'interno della Sacchetta, fissato alla terraferma ai piedi della Lanterna, "La scuola militare di nuoto", quest'ultimo, destinato ai militari della Marina austriaca, era attivo probabilmente dal 1830 e si configurava come una struttura in legno dotata di passerelle e trampolini di diverse altezze, coperta da teli per riparare i nuotatori dai raggi solari; visto l'interesse dimostrato dai cittadini per le lezioni di nuoto ben presto venne aperto ai "civili", che erano pure attirati dalla possibilità di raggiungerlo senza la necessità di attendere barche o traghetti, caratteristica particolarmente apprezzata nei casi di improvvise fughe dovute al maltempo.
Anche quando iniziarono a sorgere i primi bagni sulla terraferma (a Barcola nel 1886 il bagno Excelsiorche darà il via al turismo balneare e alla trasformazione del borgo, e nel 1890 alla radice del molo Teresiano l'elegante Bagno Fontana) le strutture galleggianti continuarono a essere molto amate dai triestini in quanto poste nel cuore della città e facilmente raggiungibili in pochi minuti, permettendo anche ai commercianti e impiegati di godere del ristoro di un bagno durante la pausa pranzo o alla sera prima di rientrare nelle loro abitazioni. Pare che i bagni galleggianti, anche se condivisero le acque del golfo con i velieri, i piroscafi a vapore che si accostavano alle rive per le operazioni di carico e scarico delle merci, le maone e le chiatte colme di sassi o carbone, il gran movimento di vaporini strabordanti di passeggeri e collettame, potessero comunque offrire un paio d'ore di tranquillità lontani dalle strade polverose della città, in un luogo dove poter respirare l'aria marina e godere la frescura di qualche tuffo.

                                                
In basso i tetti dei palazzi del Tergesteo e della Borsa, indicati dalle frecce, il bagno Maria e più a destra il bagno Buchler vicino al molo del Sale, il quale sarà interrato per la costruzione della Capitaneria del porto e il molo Kluch che sparirà nella costruzione del porto, a protezione delle mareggiate la diga foranea, conclusa nel 1875.
Dettaglio di una foto collezione Sergio Sergas


Bufere estive
Gli stabilimenti galleggianti erano alla mercé dei perturbamenti atmosferici e, nonostante fossero saldamente ancorati ai fanali d'ormeggio, i danneggiamenti dovuti agli improvvisi cambiamenti di tempo, come i violenti "neverini" estivi, erano un concreto pericolo per la struttura e per i bagnanti.
Quella del 1865 fu una stagione sfortunata per il bagno Maria, riporto un trafiletto tratto da "Il Diavoletto" dell'11 luglio: "Bufera improvvisa alle 8, due signore e alcuni fanciulli che si trovavano al bagno vennero salvati da un'imbarcazione dell'I.R. marina di guerra e riportati alla riva", molto spavento per i bagnanti e non troppi danni per il bagno, ma il maltempo continuò, due giorni più tardi scoppiò una nuova bufera estiva e un bastimento pugliese, in attesa di un pilota, ancorato troppo vicino al bagno Maria che aveva salpato l'ancora, probabilmente nel tentativo di allontanarsi, urtò il fianco della struttura con tale violenza da dividere lo stabilimento in due parti, provocando il distaccamento dell'ultima vasca grande; nonostante i gravi danni il bagno riprese l'attività dopo pochi giorni. Da segnalare che il maltempo di quei giorni danneggiò anche il bagno Buchler, il Soglio di Nettuno, alcuni tratti delle rive e affondò una piccola imbarcazione. Infine cito nuovamente l'ipotetica bufera del 1870 che avrebbe distrutto la struttura galleggiante, costringendo i proprietari a riedificarla con materiali e tecnologia differenti.


Particolare di una foto in cui è evidente la struttura del Bagno Maria, ancorata nel mare prospiciente l'Hotel de la Ville, nella parte terminale i due trampolini e il quadro per gli esercizi ginnici.


Il 13 luglio 1904 arrivò a Trieste una flotta della Marina Militare Statunitense che si fermò nel golfo circa due settimane, i marinai ebbero il tempo di visitare la città e frequentare il Bagno Maria, qui sono ripresi, fra altre persone, nella vasca esterna riservata agli uomini. Sullo sfondo ancorate in rada alcune navi statunitensi. Questa potrebbe essere un'importante testimonianza che in quella data lo stabilimento fosse ancora in attività, ma è possibile che nella descrizione riportata sull'immagine sia stato confuso con il bagno Buchler, la cui vasca delimitata da travi in legno aveva una struttura simile.


Il Bagno Maria e l'Associazione Triestina di Ginnastica
Per un certo periodo il Bagno Maria entrò nella storia della sezione nautica della Società Triestina di Ginnastica, sodalizio istituito il 10 novembre 1863 [10]. "L'esercizio a remo" iniziò l'attività sportiva con un lancione denominato "la Ginnastica", che veniva custodito nei magazzini di proprietà del presidente Matteo Dudich siti nell'attuale Porto Vecchio, per esercitarsi con il nuoto gli iscritti ebbero anche la possibilità di usufruire di un abbonamento annuale scontato al bagno Maria e al Soglio di Nettuno. Non era trascorso neppure un anno dalla fondazione quando con un decreto della Luogotenenza la società venne sciolta e solo il 31 gennaio 1868 risorse con il nome di Associazione Triestina di Ginnastica, dopo la pausa forzata l'attività nautica riprese con fatica e difficoltà finanziarie dovute al limitato numero di iscritti, le barche ora venivano affidate al bagno galleggiante di Domenico Angeli il "Soglio di Nettuno" e questa rimase la loro sede fino al 1872, quando la società trovò un'adeguata sistemazione nel Bagno Maria, dove furono costruite delle tettoie adatte a proteggere le barche più leggere e dove la società affittò anche due spogliatoi per gli atleti. Dal 1883 la sezione remiera andò sviluppandosi, aumentarono gli iscritti e vennero acquistate nuove imbarcazione più agili e veloci, iniziarono i successi alle regate, per cui verso la fine del 1886 l'Unione Ginnastica sentendo l'esigenza di avere una sede più confacente acquistò per 1300 f un corpo del bagno Maria, si trattava una piattaforma in legno saldamente assicurata a due barconi, sulla quale, secondo il progetto del direttore ing. Federico Angeli, venne costruita una grande tettoia a quattro navate, di cui le due centrali, più alte erano adibite a deposito di barche e le due laterali a spogliatoi, il costo fu superiore a quanto preventivato e per rientrare nelle spese si deliberò di affittare parte della sede ai circoli nautici l'Esperia e il Glauco. Il galleggiante venne ormeggiato per un anno in Sacchetta vicino al bagno Militare, poi al molo Sartorio.

                                                                   
I prezzi per gli abbonamenti stagionali riservati agli iscritti all'Associazione Triestina di Ginnastica.
Tratto dal quotidiano "Il Cittadino" del 28 maggio 1872.

                                                                                                                                      
Associazione Triestina di Ginnastica - l'equipaggio in posa con le bandiere vinte alla prima regata internazionale di Genova 16 agosto 1875 -
Gli atleti: Antonio d'Elia, Carlo, Edoardo e Giovanni Ghezzo, Vincenzo Romito, Aristodemo e Silvio Sillich, Giacomo Pincherle.
Dall'Archivio Storico della Società Triestina busta 29.2 Sez. Nautica.

                         
Prima sede dell'Unione Ginnastica costruita su una piattaforma galleggiante del bagno Maria su progetto del direttore ing. Federico Angeli, si tratta di grande tettoia a quattro navate, di cui le due centrali, più alte erano adibite a deposito di barche e le due laterali a spogliatoi. In primo piano un faro d'ormeggio.
 

L'incognita della fine del Bagno galleggiante
Anche il Bagno Maria durante il periodo invernale veniva rimorchiato in una zona riparata della Sacchetta e quando necessitava di manutenzione o riparazioni veniva riportato al cantiere muggesano di San Rocco.
Non è rintracciabile il momento in cui il bagno andò in disarmo, nessun libro consultato azzarda una data, simpaticamente A. Seri e S. Degli Ivanissevich riportano che: "morì di vecchiaia corroso dalla salsedine e da quello iodio marino di cui è ricco il nostro mare".
Sicuramente il bagno Maria era ancora attivo nel 1901 citato nell' "Austria, Including Hungary, Transylvania, Dalmatia, and Bosnia: Handbook for Travellers".
Se la didascalia della foto dove vengono ripresi i marinai americani è corretta, significa che pure nel 1904 lo stabilimento era ancora in attività, anche se in verità potrebbe essere stato confuso con il bagno Buchler, poi Nazionale.
Probabilmente non era in funzione nella notte fra il 13 e il 14 giugno 1911, quando una terribile tempesta distrusse il bagno Buchler, danneggiò il bagno alla Diga, le rive e molte imbarcazioni, altrimenti sarebbe stato ripreso in una delle molteplici foto che vennero scattate in quell'occasione.


Dal logo del fotografo riportato nell'originale l'immagine può venir datata dal 1875 e 1885.
Fra le imbarcazioni e file di fari d'ormeggio, il Bagno Maria trovava riparo nelle acque della Sacchetta protetto dal molo Teresiano (oggi Fratelli Bandiera). In basso si può vedere l'ingresso ad arco ribassato, esistente ancora oggi, e i due moli dell'ex lazzaretto San Carlo interrati nel 1905 assieme al tratto di mare prospiciente per la realizzazione la riva Ottaviano Augusto. 
Dettaglio della foto di Giuseppe Wulz.


Da confrontare con la foto sopra il vecchio ingresso dell'ex Lazzaretto di San Carlo, in via Campo Marzio, che oggi risulta piuttosto distante dal mare, da cui è separato dall'ampia riva Ottaviano Augusto.



NOTE
[1] Si tratta della terribile epidemia che si scatenò nel Nord Italia tra il 1630 e il 1631, quella descritta da Manzoni nei "Promessi Sposi", infuriò con particolare virulenza nella città di Milano decimandone la popolazione, si propagò arrivando a Venezia e Capodistria e nel luglio del 1631 il contagio cominciò a mietere vittime anche a Muggia, in quell'anno ci furono 245 morti su i circa 1000 abitanti, cessata l'epidemia venne eretta una chiesa votiva in onore di San Rocco protettore degli appestati. Molti anni dopo tale chiesetta si venne a trovare nel cantiere degli Strudthoff, nel marzo del 1864 per la costruzione di un bacino di carenaggio si rese indispensabile liberare l'area ed Edoardo Strudthoff avviò un trattativa con le autorità comunale ed ecclesiastica per il trasferimento della cappella, il 23 maggio ebbe il benestare da parte del podestà Nicolò Frausin e la chiesetta venne demolita e ricostruita più grande nel sito attuale.

[2] L'architetto e ingegnere Lorenzo Furian, figlio d'un capo-maestro, nacque a Pirano nel 1834. Concluse con lode gli studi all'Accademia di Venezia nel 1854, mentre già collaborava con diversi architetti. G.Righetti nel libro "Cenni storici, biografici e critici degli artisti ed ingegneri di Trieste" ne parla con toni entusiastici ed elogia la precisione e le innovazioni nei progetti di diverse case realizzate nella nostra città. Per citarne alcuni, giovanissimo collaborò al progetto di Villa Bottacin, nell'attuale vicolo dei Roveri 16, con l'architetto Francesco Giordani realizzò casa Caroli in via Mazzini 16, Villa Hutterott, nell'attuale via Ginnastica 5 e dopo il progetto del bagno Maria realizzò un bagno galleggiante analogo e un albergo a Portorose, anche questo illustrato in una stampa di Alberto Rieger, dopo aver perso i propri risparmi in speculazioni sbagliate a soli 40 anni una grave forma di oftalmia lo rese inabile alla sua professione.

[3] Il Kreuzer venne coniato per la prima volta nel Tirolo verso il 1270 e fu così denominato, perché sul verso della moneta recava una doppia croce (in tedesco kreuz). Venne chiamato anche Etschkreuzer o Zwanziger, volgarmente Svanzica, si diffuse nei paesi d'Europa di lingua tedesca, divenendo poi una moneta frazionaria.
Il Kreuzer, detto Creuzer o Carentani o Carantani, fino al 1858 ebbe il valore di 1/60 di fiorino, dopo prese il valore di 1/100 di fiorino. Per cui la rivista "Allgemeine Bauzeitung" edita nel 1859 definisce la moneta "neukreuzer" e riporta il variare delle tariffe dopo la svalutazione.
Nell'Impero austro-ungarico il Fiorino fu in uso dal 1754 al 1892, poi sostituito dalla Corona.

[4] Bota marina - pota marina - polmone marino - potta di mare - pottamarina - nome scientifico: Rhizostoma Pulmo

[5] L'Italia - Dizionario Corografico vol. VIII 1871 edizioni Dott. Francesco Vallardi pag. 657-658

[6] La Trieste di Sir Richard Burton (Itinerari del Comune)

[7] Nell'ultima parte del secolo ci furono molti avvistamenti di squali bianchi, nell'aprile del 1872 il Governo Marittimo emise una notificazione con la quale dispose una ricompensa per la cattura e l'uccisione dei "pesci cani" (sic.) nelle acque dell'impero austro-ungarico, la misura si applicava unicamente a esemplari della specie Carcharodon-rondeletii (nome scientifico per lo squalo bianco coniato nel 1841 da Müller e Henle, mentre la prima classificazione scientifica Squalus carcharias venne data da Carlo Linneo nel 1758, nel 1833 Sir Andrew Smith lo definì con il nome generico di Carcharodon e nel 1873 il nome generico è stato accorpato a quello scientifico dato da Linneo, diventando così quello attuale di Carcharodon carcharias), detto in volgare "Cagnizza", la somma corrisposta era proporzionale alle dimensione delle prede e i premi andavano dai 20 fiorini per esemplari lunghi meno di un metro, salivano a 30 per esemplari lunghi da uno a quattro metri, per arrivare ai 100 fiorini assegnati per la cattura di esemplari di dimensioni maggiori di quattro metri.



[8] "Il Diavoletto" del 7 giugno 1861.

[9] Nel 1830 nello spazio di mare fra il molo del Sale e il molo Klutsch, oggi non più esistenti in seguito alla costruzione del Porto Nuovo, venne inaugurato il "Bagno galleggiante Boscaglia", divenuto dopo circa trent'anni "Bagno Buchler", denominazioni derivate dal cognome dei proprietari, dal 1868 venne gestito dalla signora Maria, vedova di Adolfo Buchler, che gli attribuì il nome di "Galleggiante Nazionale"; nonostante fosse circondato da un cantiere per i lavori portuali e da un gran movimento di piroscafi è comprovato da documenti d'archivio che il bagno galleggiante rimase accanto al superstite molo del Sale fino 1870 e probabilmente qualche anno in più, poi si trasferì nel tratto di mare antistante l'area dove, fra il 1880-83, verrà edificato il palazzo Lloyd Austro-Ungarico. Dal 1904 il bagno verrà rinnovato dal nuovo proprietario, Carlo Kozmann, utilizzando il legname del relitto della fregata francese "Danae", esplosa il 4 settembre 1812 mentre era ormeggiata in prossimità del molo San Carlo (dal 1922 molo Audace). Questo stabilimento fu il più longevo del nostro golfo, concluse la sua attività dopo più di ottant'anni di "servizio" la notte tra il 14 e il 15 giugno del 1911, quando una tempesta lo distrusse completamente. Fu un nubifragio violentissimo che si scatenò su tutta la città fra la mezzanotte e l'una e mezzo, ma i danni maggiori si ebbero lungo le rive, il quotidiano "Il Piccolo" il giorno seguente riportò: "Il mare livido gonfio ruggente s'avventava con furia rabbiosa contro i moli e le rive, spazzandoli con ondate che sorpassavano i sei sette metri", "...coinvolse 104 navi e diverse imbarcazioni, il bagno Nazionale fu il primo a cedere e completamente sfasciato seminava lo specchio d'acqua di tavole, travi botti".

[10] Lo spirito nazionalistico della società ginnica portò l’Associazione Triestina a frequenti problemi con la locale Direzione di Polizia tanto che dal 1863 al 1915 fu sciolta e ricostituita molte volte, dovette cambiare il nome e adeguarsi alle regole dei nuovi statuti, ma lo spirito rimaneva il medesimo.
--Società Triestina di Ginnastica 10 novembre 1863 – 14 ottobre 1864
--Associazione Triestina di Ginnastica 31 gennaio 1868 – 6 giugno 1882
--Unione Ginnastica 6 marzo 1883 – 22 marzo 1901
--Società Ginnastica 5 giugno 1902 – 18 luglio 1904
--Associazione Ginnastica 26 febbraio 1907 – 23 novembre 1909
--Società Ginnastica Triestina 2 gennaio 1910



Bibliografia
Archivio di Stato -Governo Marittimo 11/12 1859-1892 busta 940
La Fabbrica Macchine di Sant'Andrea di Alfieri Seri
Tre giorni a Trieste P. Kandler - S. Formiggini - P. Revoltella - G. Battista Scrinzi 1858
Allgemeine Bauzeitung -Wien - 1859 / Rivista trimestrale austriaca per lavori pubblici / 24th 1859
San Vito di Alfieri Seri e Sergio Degli Ivanissevich
Borgo Giuseppino di Fabio Zubini
Vocabolario del dialetto triestino - Ernesto Kosovitz 1890
"Il Diavoletto" 1858 - 1859 - 1860 - 1861 -1865
Enciclopedia Treccani
Cinquant'anni di Vita Ginnastica a Trieste - 1863-1913 di Mario Presel
L'Hotel de la Ville a Trieste 1841-1955 di Silvio Rutteri
Ocio, col bagno! Vecchi stabilimenti balneari a Trieste di Liliana Bamboschek
La Trieste di Sir Richard Francis Burton - Itinerari del Comune di Trieste
L'Italia - Dizionario Corografico vol. VIII 1871 edizioni Dott. Francesco Vallardi
Triest 1865-1935 : album -- Dieter Winkler 2008.