mercoledì 28 dicembre 2016

"Panorama Internazionale" e il precinema



Piazza della Borsa, a sinistra il palazzo settecentesco che ospitava il "Panorama Internazionale".

Iniziamo facendo un passo indietro, per ricordare che una delle più diffuse forme di svago del tempo erano le feste e le fiere, che si tenevano soprattutto in Acquedotto, in quanto offriva ampi spazi. Per diversi mesi vi stazionava un modesto parco dei divertimenti, con baracconi del tiro a segno, teatri di marionette e burattini, spettacoli con le pulci ammaestrate e le immancabili bancarelle che vendevano semplici giocattoli. Altri e più particolari ambulanti si sistemavano in zona con baracche, anche realizzate solo con tende, che ospitavano delle semplici strumentazioni, dove, con un soldo, i clienti potevano vedere le immagini proiettate, con l'aiuto di candele o lampade a olio, dalle lanterne magiche. Potete immaginare come queste attrazioni fossero le più apprezzate e come la società dell’epoca ne venisse rapita. Con il tempo, anche grazie alla rivoluzione apportata dall'energia elettrica, arrivarono degli apparecchi sempre più raffinati e dai nomi curiosi: taumatropio, stereoscopio, caleidoscopio e il ricercatissimo mondo nuovo, un apparecchio simile nel funzionamento alla lanterna magica, dove però le immagini, invece che essere proiettate da una scatola verso l'esterno, erano fruibili guardando dentro la scatola stessa, poteva quindi essere usato in ogni luogo e non necessitava di ambienti particolarmente bui.
Bisogna pensare che la fotografia fa le sue prime apparizioni sperimentali nel 1839, ma si dovrà attendere ancora diversi anni per una sua discreta diffusione, per questo motivo nelle "scatole magiche" venivano solitamente inseriti vetri dipinti a mano con immagini sacre o di paesaggi o fiabe. In tutte le proiezione giocava comunque un ruolo fondamentale l'abilità che aveva l'imbonitore nel commentare le scene e creare suggestioni che animavano soprattutto la fantasia dei bambini, anche se gli spettacoli erano seguiti con entusiasmo dalle persone di tutte le età, che senza muoversi dalla città potevano conoscere paesi dei quali avevano solo sentito parlare e vedere immagini di terre lontane, reali o inventate che fossero. Credo che sia innegabile il ruolo didattico e informativo che ebbe la diffusione di queste immagini.


Il Mondo nuovo è uno strumento ottico di intrattenimento popolare, con cui è possibile vedere le "vedute ottiche", disegnate o stampate su carta e colorate a mano, retroilluminate da una candela.
Questo è dotato di spallacci. Foto di Museo di Stato di Württemberg



Nelle fiere venivano usati diversi tipi di visori stereoscopici più voluminosi e meno raffinati di questo, che essendo maneggevole e discretamente economico, era più diffuso nei salotti, assieme alle stereoscopie, soprattutto di paesaggi, monumenti e ritratti.
Immagine tratta da "Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano".

Nel 1895 a Parigi i fratelli Lumiere presentano al pubblico le "fotografie in movimento", tecnica che arriverà nella nostra città l'anno successivo e sarà presentata al foyer dell' Anfiteatro Fenice con il nome di "proiezioni animate". Prevalentemente sono gestite da ambulanti che si spostano da una città all'altra con apparecchi e attrezzature di loro proprietà, talvolta piuttosto grossolane. Questa novità genera subito molto entusiasmo e vengono aperti diversi teatrini estivi (uno si trovava nel fondo Ralli, via Giulia 3), le proiezioni comunque sono eseguite anche in piccoli locali improvvisati e suscitano un notevole interesse, specialmente quando relative ad argomenti di attualità. Le figure però sono spesso sfocate e tremolanti, con la conseguenza che gli occhi degli spettatori ne risultano velocemente affaticati, questo uno dei motivi per cui le apparecchiature per proiezioni di immagini fisse, che da molti anni si trovano installate in diversi locali, continuano ad avere una folta presenza di pubblico. 
Tutti questi nuovi strumenti erano molto ricercati nei salotti dei cittadini più abbienti per stupire e divertire gli amici, venivano quindi realizzati anche in dimensioni più contenute e spesso impreziositi con involucri in legno pregiato.
Gli studi condotti sulla proiezione dell'immagine sia statica che in movimento che si concretizzano in una svariata quantità di dispositivi ottici entrano a far parte del cosiddetto precinema.

Uno dei posti di maggior rilievo della città è il "Panorama Internazionale", sito in un palazzo settecentesco in piazza della Borsa 14, dove si poteva fruire, a pagamento, di dispositivi ottici per le proiezioni di immagini in movimento. Il luogo era fornito di molte apparecchiature dai nomi strani, come lo zootropio, che venivano cambiate a ritmo continuo, segno delle rapide innovazioni che in questo periodo hanno contraddistinto questo tipo di intrattenimento. Una delle maggiori novità fu il "Cinematografo Edison" o kinetoscopio, si trattava di una grande cassa con un oculare, dove lo spettatore guardava e contemporaneamente girava una manovella facendo scorrere la pellicola, cosa che, in modo quasi analogo a strumenti più recenti, dava la sensazione del movimento. Quando le scene lo richiedevano, il filmato veniva accompagnato da un suono che poteva essere ascoltato tramite un tubicino da avvicinare all'orecchio (antenato delle cuffie auricolari). L'apparecchio consentiva la visione ad uno spettatore per volta e, grazie anche a questa obbligata privacy, nella scelta dei soggetti si potevano trovare brevi sequenze licenziose di cui non si conoscono i titoli, ma che venivano pubblicizzate come "soltanto per signori".

"Cinematografo Edison" o kinetoscopio è un apparecchio ideato da Thomas Edison nel 1888.
  Il filmato, come si vede nella foto, veniva accompagnato da un suono che poteva essere ascoltato tramite un tubicino da avvicinare all'orecchio (antenato delle cuffie auricolari). Immagine tratta da Wikipedia.

Mutoscope dispositivo cinematografico inventato da Windsor McCay e brevettato da Herman Casler il 21 novembre 1894.
Immagine tratta da Wikipedia.


In questa immagine si vede la parte interna del mutoscopio, formata da un blocchetto di foglietti su cui sono disegnate o stampate immagini che riproducono in sequenza posizioni successive di un soggetto animato, il rapido scorrere delle stesse dava la sensazione del movimento. Per vedere proiezioni diverse la bobina centrale veniva sostituita.
Immagine tratta da: Kurt W, Arqueología del cine, Destino, Barcelona, 1965, 264 p

Nel marzo del 1900 l'esercizio cambia gestione e nei giornali si trovano citazioni del tipo:-Nel locale che in precedenza aveva ospitato a lungo il "Panorama Internazionale" si terrà lo spettacolo...-: In un volantino pubblicitario si legge che nel negozio è possibile osservare delle "vedute ottimamente riuscite e di una speciale chiarezza", vantandosi, in modo polemico nei confronti del cinema, di poter proporre al pubblico una serie di quadri sugli avvenimenti di maggior spicco della ribalta internazionale, come la guerra anglo-boera e l'Esposizione di Parigi. Spesso è proprio l'argomento della proiezione ad attirare il pubblico, che ha la sensazione di assistere in prima persona ai fatti letti sui quotidiani. La stampa riporta che il 13 dicembre il locale viene riaperto dopo il restauro, rimane un'ultima testimonianza del 23 febbraio 1901, dove si legge che si possono trovare degli apparecchi detti "Mutoscopi" inventati da poco, che consistono in una scatola illuminata dalla luce elettrica, dove, dopo aver inserito una moneta, lo spettatore guardando in un oculare attraverso una lente e facendo ruotare il cilindro per mezzo di una manovella crea un movimento rapido dei cartoncini, sui quali è disegnata una sequenza di immagini o di fotografie, fissati al cilindro stesso e grazie al fenomeno della persistenza delle immagini, le figure delle vignette apparivano in movimento. In pratica viene riproposto in modo più elaborato il "flip book". Come tutte le novità anche questo apparecchio ha un grande successo, che sarà molto più duraturo del previsto.
Non vengono riportate ulteriori notizie sul locale, la casa sarà demolita per permettere nel 1903 la costruzione del palazzo Steinfeld, dove, al pianterreno, aprirà nel 1905 il Cinematografo Americano.


Ancora una veduta di piazza della Borsa con a sinistra il palazzo dove aveva sede il "Panorama Internazionale"

Le foto dove non diversamente indicato, fanno parte della mia collezione personale

Testi consultati:
Prima del cinema "Le Lanterne Magiche" Cataloghi Marsilio
"Trieste e il cinema" di Fulvio Toffoli
"Trieste al Cinema" 1896-1918 di Dejan Kosanović.
"I Fratelli Lumiere" di Carla Poesio
"Trieste Romantica" edizioni Italo Svevo

lunedì 19 settembre 2016

La statua di Francesco Giuseppe al Palazzo delle Poste di Trieste


Il salone delle Poste centrali triestine, dove, sulla balconata del primo piano, giganteggiava la statua di Francesco Giuseppe.



Francobollo, uscito il 3 novembre 2008, per la serie che Vienna dedicò alla vecchia Austria.


Nel 1898, per celebrare il cinquantenario del regno dell'imperatore Francesco Giuseppe I, la luogotenenza propose di erigere una statua in onore del sovrano da sistemare in una piazza pubblica. La piazza delle Poste (oggi piazza Vittorio Veneto) poteva essere la sede ideale, in quanto nel 1897 era stato tolto il fontanone e davanti al Palazzo delle Poste (inaugurato nel 1894) e si era creato un grande spazio da riconfigurare. Venne così realizzata una statua alta ben due metri e quaranta, in pregiato marmo di Laas (Lasa in italiano), proveniente dalle cave della Val Venosta, ad opera dello scultore Johannes Benk (27.07.1844 - 12.03.1914 Vienna). Nella maestosa statua l'Imperatore venne rappresentato austero e solenne, Francesco Giuseppe posò due volte e affinché ogni dettaglio fosse curato e preciso fece recapitare all'artista i capi di vestiario con cui  desiderava essere rappresentato.  

Si dice che gli irredentisti con tempestività avessero fatto realizzare dallo scultore Franz Schranz la "Fontana dei Tritoni", per evitare che lo spazio venisse occupato dalla statua.
Riporto qui alcuni dettagli in più su quanto accaduto: negli archivi si trova documentazione che già il 6 febbraio 1896 il Comune avesse bandito un concorso per una fontana decorativa da sistemare al centro della piazza fra due giardini, conferma di questo si può avere dagli articoli del "Il Piccolo" del 29 settembre 1896 e dell"Adria" del 31 maggio e 30 settembre 1896, dove vengono riportate le critiche e l'insoddisfazione della commissione per i bozzetti della fontana presentati al concorso. A questo punto il Comune contatta lo scultore altoatesino Franz Schranz, indicandogli di apportare delle modifiche al bozzetto già presentato e di allegare un nuovo preventivo, pretendendo inoltre che l'opera fosse collocata nella piazza non più tardi del 31 maggio 1898. Probabilmente il sollecito era proprio finalizzato ad occupare lo spazio della piazza per primi. Resta il fatto che la statua finì al Palazzo delle Poste e per di più in una posizione abbastanza sfavorevole: sulla balaustra di pietra del primo piano, alle spalle di chi saliva il primo scalone in marmo che permette di accedere al maestoso atrio; veniva comunque apprezzato a pieno quando si lasciava l'edificio.
La statua venne distrutta negli ultimi mesi del 1918, assieme a molti dei busti e ritratti imperiali, le aquile bicipiti e altri segni della dominazione asburgica presenti in città.




Foto realizzata da Giuseppe Furlani nel 1918, probabilmente nell'ultimo giorno di vita del monumento, è inserita nell'album "Trieste Redenta 1918-19". Le scritte a matita sono fatte di pugno dal fotografo: titolata "Il Ceco Beppe della Posta", segue "Sic transit gloria mundi !", più sotto "Il giorno 2 novembre 1918 quando la città rimase in mano degli irredentisti un funzionario triestino addetto alle I.R.Poste gettò, in segno di disprezzo e di liberazione, la divisa a coprire il monumento di Francesco  Giuseppe nell'atrio della Posta principale di Trieste"
La foto fa parte del lascito Fonda - Savio pubblicata su concessione dell'Università degli studi di Trieste - sma TS

Kaiser Francesco Giuseppe, busto in ceramica di 65 cm, realizzato da Joannes Benk nel 1890. Foto tratta da artenet.com

Non essendoci pervenute immagini più definite di quest'opera, voglio proporre un busto in ceramica di Francesco Giuseppe, realizzato dallo stesso artista pochi anni prima in Germania, che potrebbe assomigliare alla statua della quale vediamo poco più di una sagoma. Si può immaginare avesse la stessa ricchezza e cura dei particolari che ci permette di apprezzare il realismo del tessuto morbido e raffinato.

L'interno delle poste nel periodo dell'impero.
L'atrio del palazzo oggi.




Le foto dove non diversamente indicato, fanno parte della collezione personale e di Antonio Paladini

Testi consultati:
"Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa" a cura di E.Clari e B.Crevato-Selvaggi
"Fontane a Trieste" F. De Vecchi - L.Resciniti - M. Vidulli Torlo
"Borgo Franceschino" Fabio Zubini

Il Busto di Vittorio Emanuele III al Palazzo delle Poste di Trieste


Dipendenti delle Poste posano nell'atrio del palazzo, alle spalle il busto di Vittorio Emanuele.

In questa foto si vedono le tre nicchie senza i dipinti, inoltre si può notare l'interruzione della balaustra in corrispondenza del monumento e lo spostamento del pilastrino che ne diventa l'elemento terminale.

Il Palazzo delle Poste e Telegrafi venne costruito per volere dell'Impero Asburgico che, con l'aumentare dei traffici portuali, vedeva la necessità di un nuovo ufficio postale. Il progetto fu affidato all'architetto austriaco Friedrich Setz e venne inaugurato nel 1894.

Dopo che nel 1918, alla caduta dell'impero, la statua dell'imperatore Francesco Giuseppe fu infranta; 
nel il 1924, al lato opposto dell'atrio, salendo il maestoso scalone in pietra che conduce al primo piano, in corrispondenza alla nicchia centrale, venne posto su un'alta base di marmo il busto bronzeo del re Vittorio Emanuele III, opera dello scultore Fortunato Longo. Per creare un'armonia di linee la balaustra in marmo venne interrotta nel punto d'inserimento del monumento e vennero spostati i due pilastrini per portarli a chiusura della balconata.
La raffigurazione del re rimase in quella collocazione fino al 1943, in seguito la balaustra venne ricostruita, ma restarono i due pilastri a disturbare lo spazio davanti alla nicchia centrale. 
Nella foto si vede la parete con gli spazi lasciati vuoti dai tre dipinti a olio inseriti nelle nicchie, che rappresentavano delle figure femminili simboleggianti: "l'Allegoria del Telegrafo", "l'Allegoria dell' Austria" e "l'Allegoria della Posta".



Foto tratta dal catalogo del Civico Museo del Risorgimento ed Rotary Club Trieste

Foto tratta dal sito http://museodelrisorgimentotrieste.it/

Nel 1972 il busto fu donato dall'Unione Monarchica Italiana al Museo del Risorgimento, dove oggi si può ancora vedere.

Le foto dove non diversamente indicato, fanno parte della collezione personale.


Testi consultati:
"Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa" a cura di Elena Clari e Bruno Crevato-Selvaggi
"Il Civico Museo del Risorgimento e il Sacrario di Oberdan a Trieste" L.Ruaro Loseri B.M.Favetta







Le Allegorie del Palazzo Postale di Trieste


La parete di fondo del vestibolo come si presentava un tempo con le tele che rappresentano le tre allegorie, in basso al centro la targa commemorativa di P. Tommasin, in alto le bifore con simboli e fregi.

Un tempo, entrando nel vasto atrio del palazzo della Posta, si poteva trovare da un lato la grande statua di Francesco Giuseppe, mentre sulla parete che ci troviamo di fronte salendo lo scalone di marmo le tre tele ad olio, dipinte dal pittore boemo Franz Lefler (1). Queste erano illuminate dalla luce che proveniva dalla copertura a vetri, creando una atmosfera suggestiva con il variare dei colori a seconda della posizione del sole. Nella nicchia di sinistra era collocata "l'Allegoria del Telegrafo", in quella di destra "l'Allegoria della Posta" e al centro, in una nicchia delimitata da due lesene e decorata con motivi a nastri e ghirlande, "l'Allegoria dell'Austria".


La tela dell'allegoria della Posta misura cm 420 x 240. Oggi, dopo il restauro del 1994, si può osservare nella nicchia centrale della parete in fondo al vestibolo, con la figura femminile circondata da colombe e putti nell'atto di consegnare le lettere.
L'impostazione delle prime due opere doveva essere abbastanza simile: una figura femminile centrale, coperta di veli leggeri e fluttuanti, circondata da putti e con molto spazio libero ai bordi della composizione. Tutti e tre i quadri, di derivazione accademica, si distinguono per la stesura tonale del colore, le delicate sfumature che suggeriscono i volumi, l’attento studio del disegno e la cura dei particolari. Essendo l'unica opera che possiamo ammirare ancora oggi si può descrivere in modo più preciso la Posta, rappresenta da una figura femminile che regge nella mano sinistra un caduceo, simbolo di pace e prosperità, circondata da deliziosi putti che le porgono delle lettere, in alto se ne distingue uno con l'elmo alato di Mercurio, dio del commercio, nella parte bassa del dipinto due pacchi postali e un mappamondo a simboleggiare i collegamenti della città con il mondo ed un ramo d'albero a rappresentare i legami con la terra. "l'Allegoria dell'Austria", rappresentata da una figura femminile coronata, con un abbigliamento ricco, ma austero, seduta su un trono con Nettuno ai suoi piedi nell'atto di renderle omaggio e dei putti che le offrono conchiglie, una metafora abbastanza evidente, che probabilmente nel 1918, fu la causa della sparizione della tela.
Sotto la nicchia centrale c'era una lastra di marmo con un'iscrizione commemorativa in latino e l'anno di inaugurazione del palazzo, scritta dal canonico Pietro Tomasin (1894), anche questa sparita assieme alle pitture.


Mettendo a confronto i due interni si può notare il maestoso scalone in pietra l'allegoria della Posta ora nella nicchia centrale sono sparite le decorazioni nelle bifore e quelle della copertura in vetro

Il Palazzo delle Poste è stato costruito negli anni 1890-1894 su progetto dell'architetto viennese Friedrich Setz (1837-1907), è un edificio di stile eclettico con elementi provenienti dalla corrente austriaca. 
All'interno nello spazioso atrio, ancora oggi possiamo osservare l'atmosfera magica creata dalla luce che proviene dalla copertura trasparente, che un tempo era doppia: una esterna in vetro semplice e una interna in vetro decorato con emblemi postali, aquile imperiali e bordure ornamentali. Le decorazioni andarono perdute quando la copertura venne rifatta dopo il bombardamento del febbraio 1945, in quell'occasione andò distrutto anche il pavimento originale in piastre di vetro circondate da bordure verdi con fregi bianchi, costituito oggi da semplici piastrelle in vetrocemento.

La balaustra prima dell'interruzione creata per inserire il busto di Vittorio Emanuele dava una sensazione di continuità senza i pilastrini di sostegno che disturbassero la visione della tela nella nicchia centrale.

Dirigenti e postini dipendenti della posta centrale posano nell'atrio del palazzo.

Nell'immagine si nota l'assenza della tela centrale.
Foto collezione Museo Postale Telegrafico


Le altre due tele probabilmente sparirono nel 1924, in occasione della posa del busto di Vittorio Emanuele III. Per molti anni la parete rimase senza alcun dipinto, durante la ristrutturazione del palazzo realizzata in occasione del centenario, dopo una lunga e attenta ricerca, Elena Clari, allora direttrice del Museo Postale, nel 1992 individuò la tela dell'Allegoria della Posta nei deposti dei Civici Musei di Storia e Arte, nell'ex Palazzo Morpurgo in via Imbriani. La tela era in un pessimo stato di conservazione, presentava delle lacerazioni e l'ossidazione dei diversi stati di vernice aveva fatto perdere la luminosità dei colori e dopo un accurato restauro realizzato in un laboratorio specializzato di Mira Porte (Venezia), in occasione della celebrazione del centenario del Palazzo, il 28 ottobre 1994, venne posta nella nicchia centrale, dove può essere ammirata ancora oggi.
Sotto, una targa ricorda la data del restauro dell'opera, avvenuto grazie al contributo del Rotary Club.
In alto, sopra il dipinto, in mezzo a un timpano curvo spezzato, un'edicola con un orologio, che richiama quello posto sulla facciata esterna dell'edificio, ai lati due statue appoggiate alla modanatura, che tengono in mano elementi riguardanti i settori delle telecomunicazioni.


Nello stemma centrale sono spariti i simboli imperiali, nell'edicola delimitata da due erme l'orologio può venir comparato con quello posto nell'abbaino della facciata esterna dell'edificio





(1) Franz Lefler nacque nel 1831 a Langenbruck / Dlouhý Most in Boemia e morì nel 1898 a Weißenbach an der Triesting (Austria). Dopo gli studi presso le Accademie di Belle Arti di Vienna e Praga , nel 1858 si stabilì a Vienna. La sua fu una pittura di genere; i soggetti preferiti erano le allegorie i putti ed i ritratti; realizzò affreschi e decorazioni parietali in alberghi ville ed edifici pubblici.

Le foto pubblicate, sono state scattate da me o fanno parte della collezione di Antonio Paladini

Testi consultati:
"Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa" a cura di E.Clari e B.Crevato-Selvaggi
"Il Palazzo delle Poste di Trieste" di E. Clari a cura del Rotary Club Trieste
"Borgo Franceschino" Fabio Zubini

domenica 22 maggio 2016

La difficile vita del monumento dedicato all'imperatore Leopoldo I

Piazza della Borsa con il monumento dedicato all'imperatore Leopoldo I, la Fontana del Nettuno, il palazzo della Borsa e il "Tergesteo"


Leopoldo I il 25 settembre 1660, due anni dopo essere diventato imperatore, venne in visita a Trieste, che a quel tempo contava non più di 7000 abitanti, per conoscere il territorio e curare gli interessi politici, in una settimana densa di incontri. La visita ebbe un breve preavviso, la città fu addobbata a festa, ma mancando il tempo necessario per realizzare un monumento da dedicargli, in piazzetta Pozzo del Mare venne posta un'opera provvisoria in legno dorato, creata da Antonio Salvador, forse in collaborazione con Just De Corte, uno dei più grandi scultori del tempo.

Solo nel 1672 Carlo Trabucco, probabilmente assieme all'architetto Alessandro Tremignon, si occuparono della fusione del monumento presso l'Arsenale Veneziano e la statua, giunta a Trieste il 28 aprile 1673 fra gli spari dell'artiglieria, andò a sostituire quella provvisoria in cima ad una colonna ora in pietra bianca.


In questa stampa si vede ancora l'edificio della Dogana Vecchia (costruito dal 1750 al 1754 e demolito per la costruzione del Palazzo del Tergesteo nel 1842).

Piazza della Borsa nel 1854 in un disegno di Marco del Moro

Con l'intento di valorizzare una piazza da poco urbanizzata, il governatore di Trieste Sigismondo de Lovasz, il 19 agosto 1808 trasferisce il monumento in piazza della Borsa, vicino alla fontana del Nettuno e al nuovo palazzo del Mollari.


 Nei giorni di festa, al tardo mattino, la piazza si animava per il classico "liston"  della borghesia triestina elegantemente vestita.

Per il monumento continua la vita difficile e vagabonda, nel 1922 l'ufficio belle arti e monumenti di Trieste, diretto da Guido Cirilli, venne incaricato di valutare la necessità di restauro o ricostruzione dei beni artistici della città dopo i danneggiamenti della prima guerra mondiale e, fra le altre cose, denunciò il precario stato conservativo del monumento di Leopoldo. Una parte politica (la Federazione Repubblicana Giuliana e Società pro cultura Mazziniana) si rivolse all'amministrazione e alla giunta per chiedere la sostituzione del monumento con un altro dedicato a Mazzini. L'attacco fu esteso a molte opere che ricordavano il dominio straniero, perché, tra le altre cose, temevano che i forestieri potessero equivocare sul sentimento politico della città. In quel contesto il Cirilli scrisse che trattandosi di un'opera del '600, andava rispettata e a difesa del monumento all'imperatore si schierò la maggior parte della popolazione. Fu interpellato anche il Circolo Artistico, la cui italianità era nota, che scrisse al comune una lunga lettera in cui manifestarono il loro biasimo per tutti coloro che volevano che i monumenti venissero scalpellati o demoliti.

Il 19 aprile del 1934, per il riordino della sede tranviaria, la colonna venne spostata quattro metri verso il centro della piazza.

1934: per permettere il nuovo assetto tranviario è stato spostato il monumento di Leopoldo I e costruita la nuova isola pedonale con i servizi igienici sotterranei. Gli edifici sullo sfondo sono in fase di demolizione per lasciare spazio alla costruzione del palazzo delle Assicurazioni Generali

Piazza della Borsa il primo luglio del 1939 venne ribattezzata "Piazza Costanzo Ciano" e tale nome rimarrà fino al 10 giugno 1944. Nel 1940 la statua venne tolta dalla colonna e il governo ne propose addirittura la distruzione. Motivo scatenante una dichiarazione poco gradita che i membri dell'ex famiglia imperiale austriaca avevano rilasciato, in una visita negli Stati Uniti, riguardo al futuro della città di Trieste. L'insorgere dell'opinione pubblica e l'intervento della Soprintendenza delle Belle Arti scongiurarono la fusione della scultura, che venne depositata in un magazzino del comune e successivamente posta nel Civico Museo di Storia e Arte in via della Cattedrale.
Per anni la colonna rimase orfana del suo imperatore e, dal momento che i triestini volevano aver notizie del monumento, nel febbraio del 1946 la rivista "Trieste Trasmette", con un articolo ironico, apre un concorso a premi per chi avesse dato notizie della statua di Leopoldo.
Solo nell'ottobre del 1950 il monumento finalmente ritorna alla sua completezza.


 La colonna senza la statua di Leopoldo I, che venne tolta nel 1940 e ritornerà alla sommità della stessa nel 1950.

Il numero di febbraio 1946 della rivista "Trieste trasmette", uscito con un articolo ironico nel quale si chiedeva notizie della statua ancora assente dalla piazza

13 ottobre 1950 dopo aver ricollocato il monumento sulla colonna gli operai si apprestano a smontare l'armatura
foto collezione Iure Barac


Nel 1991 venne deciso il restauro del monumento, per troppi anni esposto alle aggressioni degli agenti esterni, dello smog e del deposito di materie organiche. Nel giugno dello stesso anno la statua sarà smontata. Già ad un primo controllo si presume che sia stata realizzata con la tecnica della "cera persa" e si osservano diversi difetti di fusione, che verranno meglio definiti dopo un'analisi tecnico-scientifica eseguita in un laboratorio specializzato a Pordenone. Il bronzo è una lega e le percentuali dei componenti sono estremamente delicate in quanto influenzano le modalità esecutive e la resa e possono creare degli inconvenienti al momento della fusione, come dimostrano le diverse lacune sul mantello, alcune integrate già in fase di rifinitura.
Il lavoro sarà lungo e impegnativo, prima del restauro ci sarà la necessità di rafforzare la struttura di sostegno ed eliminare i chiodi in ferro, dimenticati nella vecchia armatura interna.


Nel 1993-94 è la volta della colonna, che viene smontata, ripulita e, dopo un riconsolidamento delle fondamenta, riposizionata ad opera dell'ufficio tecnico dell'Amministrazione Comunale.

Nel febbraio del 1994 la statua sarà trasportata nei locali del comune in via Madonna del Mare 13, dove il 12 settembre inizieranno i lavori di restauro, ultimati nei primi di dicembre. Per San Nicolò infatti sarà collocata in Piazza della Borsa, su una bassa base di legno che per un giorno permetterà ai passanti di avere un'inusuale visione ravvicinata dell'imperatore. Nonostante la pioggia la giornata diventerà una festa popolare: donne in costume, la Banda Refolo con la presenza delle autorità e del sindaco Illy. Dal giorno seguente il monumento sarà riportato alla sua composizione originaria, sulla cima della colonna Leopoldo, con lo sguardo rivolto al corso continuerà ad osservare parte del borgo Teresiano.

6 dicembre 1994 il monumento di Leopoldo ritorna in piazza (foto Sillani)

Descrizione dell'opera

La statua bronzea raffigura l'imperatore armato, coronato e avvolto in un ampio mantello la cui ricchezza denota il gusto barocco del periodo. Il volto è reso in modo molto realistico e si nota persino il "prognatismo", difetto genetico degli Asburgo. La mano destra impugna lo scettro, mentre l'altra sostiene il globo terrestre sormontato da una croce, simboli del potere imperiale e militare degli Asburgo. Alcuni testi riportano che l'altezza della colonna corrisponde a 7 metri e 90 centimetri, il Tribel e il Generini scrivono che l'altezza è pari a 24 piedi, per cui circa 7 metri e 60. Realizzata in pietra bianca d'Aurisina, alla base troviamo tre ordini di gradini, sopra i quali posa il basamento ottagonale decorato da riquadri rappresentanti trofei d'arme e da uno scudo incorniciato da un cartiglio con un cronogramma, oggi appena visibile. Il capitello è caratterizzato da quattro mensole che dividono altrettanti stemmi, i due laterali rappresentano l'emblema storico di Trieste con l'alabarda, gli altri due sono legati alla Casa d'Austria. Di questi ultimi oggi sono rimaste solo le corone, il resto è reso irriconoscibile dalle avversità politiche e atmosferiche.



LEOPOLDO. I. AVGVSTO
TERGESTINOS. INVISENTI
STATVTAQVE. PATRIA
APPROBANTI. DEVOTA
VRBIS. GRATITVDO
EREXIT

"A Leopoldo I Augusto, in occasione della sua visita a Trieste e dell'approvazione dei patri statuti, la devota gratitudine della città eresse".
Le lettere che nello scritto originale erano più grandi delle altre corrispondono a dei numeri romani (qui evidenziate in grassetto), sommando tali cifre si ottiene la data 1660.
Tale dedica per ringraziare l'imperatore della riconferma degli statuti dei diritti e dei costumi della città.
Il Tribel nella "Passeggiata storica per Trieste" scrive che viene conservata nel Museo Lapidario una lastra commemorativa, realizzata al tempo della visita dell'imperatore, che verosimilmente era collocata nell'antico palazzo civico.

HANC.VENIT.CAESAR  
LEOPOLDVUS.PRIMVS.IN.VRBEM.
IVRAQVE.FIRMAVIT.IVRE.VETUSTA.NOVO.
ANNO.MDCLX.DIE.V.SEPTEMBRIS

La statua dell'imperatore Leopoldo I si staglia contro il cielo, alle spalle il Palazzo del Tergesteo

L'imperatore in armatura chiodata impugna lo scettro e con la mano sinistra regge il globo terrestre sormontato da una croce, sul capo porta la corona gemmata del Sacro Romano Impero
Il prezioso mantello riccamente decorato


Particolare del capitello con le mensole che dividono gli stemmi di Trieste e la corona dello stemma asburgico
                                                                   
       
Particolare del capitello: si possono notare le diversità  dei due stemmi, sicuramente legati alla Casa d'Austria.
              
                                                               
                                                       
Il basamento della colonna, nei  riquadri i trofei d'arme

                                               
Nel riquadro centrale lo scudo con il cartiglio sul quale è stato inciso lo scritto reso quasi invisibile dal tempo

Il Rotary Club Trieste, in accordo con Soprintendenza e Comune, nel giugno 2013 ha installato sul pavimento di fronte alla colonna di Leopoldo I  una targa bronzea che illustra la figura dell'imperatore


Testi consultati:
"Cittavecchia" di Fabio Zubini
"Borgo Teresiano" di Fabio Zubini
"Trieste Antica e Moderna" di Ettore Generini
"Passeggiata Storica Per Trieste" di Antonio TribelArcheografo Triestino serie IV vol.LXXII
Archeografo Triestino anno 8 n°157
"Il deposito della Pietra: la guerra dei monumenti Trieste 1915-2008" di Diana De Rosa
"Memorie Storiche Sacre e Profane" Mannati
Guido Cirilli Architetto dell'Accademia a cura di Alberto Giorgio Cassani e Guido Zucconi

Le foto pubblicate, dove non è diversamente specificato, sono state realizzate o fanno parte della collezione di Sergio Sergas e Margherita Tauceri


sabato 6 febbraio 2016

"Caregon"


Foto del 1860 circa che ritrae Anton Sever, nato a trieste nel 1811.

Copricapo di pelo usato dai "mandrieri", abitanti del contado, la cui caratteristica era di proteggere le orecchie ed il collo abbassando la falda, che nella foto appare alzata. Deve il nome alla sua forma che ricorda un seggiolone, in dialetto triestino caregon(1).
Si trattava di un cappello molto prezioso, realizzato con pregiate pellicce, poteva essere orlato con del velluto verde. I mandrieri ne erano molto orgogliosi e spesso si trattava di un tesoro di famiglia che veniva passato dal nonno al nipote. I più bei cappelli di questo genere venivano fatti realizzare a Vienna e la spesa da sostenere per poterne avere uno era piuttosto sostanziosa circa 20-30 fiorini.
Nel dialetto sloveno del Carso veniva chiamato anche "frkindiš", che dovrebbe derivare dalla parola tedesca "verkünden" proclamare; infatti, ogni giovane che voleva sposarsi, indossando questo cappello annunciava che era prossimo alle nozze.


Coppia di mandrieri, l'uomo sul capo porta un "caregon" Stampa litografica Linassi & C.

(1) Carega italiano popolare antico "cadrega", alterazione di "cattedra" composto da "katà" (sopra) ed "èdrà" - per "sédrà"- sedia. "caregheta" (seggiolaio) - "careghin" (seggiolino) - "caregon" (seggiolone con i braccioli)
"Nuovo Dizionario del Dialetto Triestino" di Gianni Pinguentini

Altri link sullo stesso argomento "El Mandrier" di via Cisternone

Testi consultati:
"Čarbona nit - Il filo Magico" Gruppo Folkloristico Triestino Stu Ledi
"Nuovo Dizionario del Dialetto Triestino" di Gianni Pinguentini

sabato 30 gennaio 2016

"Le Venderigole" in piazza della Legna



In primo piano il mercato, come si vede elevato da un gradino rispetto al piano stradale, a sinistra la monumentale casa Caccia, del 1875, in fondo, zona Ponte della Fabra, la casa preesistente al palazzo Georgiadis, costruito nel 1927, sulla destra la casa A.Pippan, demolita, per la costruzione del palazzo Parisi, nel 1912.


Il Mercato

In piazza della Legna, dal 1902 piazza Carlo Goldoni, operava un vivace mercato. Nelle bancarelle, sormontate da tende in precario equilibrio, venivano venduti non solo i prodotti della terra, ma ogni sorta di generi alimentari: si trovava la "bota coi capuzzi" (botte con i crauti), le trippe, il miele, le uova freschissime e, quando queste erano terminate, la venditrice correva a prenderne altre al "magazin dei ovi" in via Pondares. Immancabili poi erano i banconi dei venditori di fiori. Tutto questo contribuiva a creare un vivace e chiassoso mercato dai tanti colori.
Al centro un antico pozzo, trasformato nel 1774 in una fontana più volte modificata, forniva l'acqua, indispensabile e preziosa in questa frequentatissima piazza, anche per limitare, con frequenti bagnature, la polvere che, alzata dal vento, andava a ricoprire la frutta e la verdura.



Due immagini di bancarelle con cesti di frutta e verdure.
Come si può vedere è stata buttata acqua sui masegni della piazza nel tentativo di limitare la polvere.


Un tempo, come tutti i rivenditori e gli artigiani, anche le venderigole erano riunite in una "fraglia" o corporazione; a loro erano riservate delle feste e per carnevale disponevano di un carro.
I vecchi statuti avevano delle regole per questo tipo di commercio e dalle le onerose multe riportate dai documenti, si evince quanto fossero severi in caso di trasgressione, anche se non ci è sempre dato di capirne le motivazioni, per quanto probabilmente di base si trattava, nella gran parte dei casi, di norme igieniche.
Usualmente le foto riprendono i mercati durante la bella stagione, ma la frutta e la verdura venivano vendute con tutti i tempi e quelle povere donne avvolte negli scialli ed infagottate in più strati di abiti pesanti, restavano per tante ore al loro banco a sfidare l'inverno e ad attendere che la merce fosse tutta venduta.

 
                                            
In primo piano il mercato con dietro il palazzo Tonello, sede del quotidiano "Il Piccolo", in fondo la galleria di Montuzza e la Scala dei Giganti 1905-07, in cima la torre piezometrica dell'acqua, a sinistra l'imponente chiesa dei Capuccini,
Riporto una poesia di Fulvio Muiesan


"Le Venderigole"


Dove xe andade,Trieste,

le tue done cole zeste
sentade in piazza per tera
dala matina ala sera

tra fagoti de radicio
bighe e pianieri de ovi
freschi del giorno prima,

che stava là tuto l'inverno
con quela teribile zima,

e per parar via i rafredori
che cussì facile se ciapa
zercava tra le sotocotole
la botilia de trapa.

"Siora Ursula"

Una difficoltà di notevole importanza che potevano incontrare le "venderigole" era la mancanza di liquidi per comperare la merce dai contadini, per questo c'era "el Banco Prestiti de siora Ursula della Verdura", una banchiera popolana che compariva in piazza della Legna all'alba ed esercitava fino all'ora di pranzo. La "contabilità", contenuta in una grande tasca della gonna variopinta, consisteva in un "lapis" (matita) ed alcuni fogli di carta dove annotava i movimenti della giornata ed i nomi o soprannomi dei beneficiari del prestito. Alle "venderigole" della piazza bastavano piccole somme, però l'interesse che chiedeva era piuttosto alto, il quattro per cento al giorno sul capitale prestato. Oggi "Siora Ursula" verrebbe definita strozzina o usuraia, ma a quel tempo quel piccolo commercio clandestino era molto utile.
All'epoca comunque lo strozzinaggio era considerato un delitto perseguibile penalmente, tanto grave da essere demandato alle competenze del Tribunale, quale sia stata l'entità dell'infrazione.
Le leggi austriache inoltre non contemplavano né il condono né la condizionale.
Il mercato rimase attivo più o meno fino al 1936, quando venne conclusa la costruzione del mercato coperto, una struttura moderna e funzionale che poteva ospitare fino a 300 banchi, per le venderigole e per i prodotti venduti. Si risolvevano in questo modo una serie di problemi sia climatici che igienici.



Vorrei concludere con la canzone più nota sulle venderigole

LA VENDERIGOLA
(Parole e musica di Edoardo Borghi "Oddo Broghiera" - 1895)

Presentata il 14 febbraio 1895 al Concorso dei complessi corali (con un premio di 200 corone) organizzato dalla "Previdenza" durante il veglione mascherato di Carnevale. Già conosciuta nei café-chantants della città, venne cantanta da un coro, pure lui in maschera, con accompagnamento di mandolini e chitarre e vinse il primo premio.

I.
Son de mestier venderigola in piaza,
son triestina, matòna, sincera,
mi trato tuti con bela maniera,
solo un scartozo no posso sofrir.

El vien, el palpa, el sbècola,
el resta là impalà
a dirme stupidezi
che proprio no me va.
Se ancora, el guardi, el stùziga,
ghe tiro drìo un limon;
go brazi stagni e forti,
che nova? Sior paron!

II.
No cambiarìa la mia bula baràca,
nè istà, nè inverno, con qualche palazzo,
là sfido 'l sol, co' la bora me iazzo,
ma no bazilo, son fata cussì.

Pecà che vien quel tàngaro
in guanti profumai;
per spender la flicheta
el tira su i ociai.
E po' 'l me disi «strucolo»
el tenta un pizigon...
go brazi stagni e forti,
che nova? Sior paron!

III.
Se qualche volta i me tira in barufa,
la cavelada va in aria, no nego,
e zigo forte che proprio me sbrego,
za chi che ziga ga sempre ragion.

E a quel ghe zigo: "bacoli!"
se 'l credi 'sto pivèl
de rimurciarme in casa
coi fruti in tun zestèl.
Son nata venderigola
a l'ombra del Melon,
go brazzi stagni e forti
che nova? Sior paron!


Testi consultati:

"Teatro dei mestieri della Trieste "de una volta" di E. Rigotti
"Trieste Romantica" autori vari edizioni Italo Svevo
"Trieste Antica e Moderna" E. Generini
www.wiki-site.com