domenica 30 agosto 2015

Chiesa della Madonna della Provvidenza


Chiesa Madonna della Provvidenza
foto Pietro Opiglia

Le suore Ausiliatrici delle anime del Purgatorio, a Trieste dette "Suore Francesi", perché fondate a Parigi dalla Beata Eugenia Smet, sono arrivate nella nostra città nel 1908. Si sistemarono nell'edificio precedentemente occupato dalle Suore Scolastiche di Marburgo, giunte a Trieste dieci anni prima.
Nel 1910 acquistarono la proprietà di Margherita Damianovich e iniziarono a costruire la chiesa, affidando il progetto all'ing. Giuseppe Gualandi.
Il primo dicembre 1912 venne benedetta la cappella inferiore, trasformata in teatrino delle educande il 14 maggio 1914, quando sarà completata la chiesa superiore.
Questo fu il primo edificio sacro a Trieste ad essere costruito con le nuove tecniche del cemento armato, fu anche la prima chiesa ad essere dotata di impianto di riscaldamento.
Le suore si prodigarono per l'educazione delle giovani, l'assistenza ai poveri ed ai malati. Organizzarono feste di beneficenza e spettacoli con le educande, in un teatrino sempre affollato.
Rimasero a Trieste fino al 1966, quando la casa madre di Parigi ordinò il definitivo rientro.
Le parrocchie della Madonna della Provvidenza e Nostra Signora di Sion (in via Don Minzoni 5) vengono fuse, dal vescovo Bellomi, il 15 novembre 1994.



La chiesa ripresa da via Besenghi angolo via Navali.

Ingresso da via Besenghi.

Retro della chiesa.
L'edificio, decorato con una serie di archetti ciechi e con le finestre ad ogiva schiacciata, riprende lo stile neogotico nordico inglese.

Parco posto sul retro dell'edificio.
Un tempo molto ampio e dotato di un campo di pallavolo ed una pista di pattinaggio.


L'interno della chiesa con la copertura lignea, da notare il profilo ad ogiva schiacciata dell' arco centrale. Sono una pregevole opera di falegnameria le scale a chiocciola, che portano al coro, ed i banchi di rovere con intagli provenienti dalla cappella delle Scolastiche. Per consentire lo svolgimento della nuova liturgia, dalla mensa è stata staccata la parte superiore dell'altare maggiore, opera di Laerdinando Perathoner St Ulrich Groden Tirolo (1909), dove erano site tre statue lignee con al centro la Vergine affiancata da due Angeli. Il pannello, che riveste la parte anteriore dell'altare, raffigura la Comunione di S. Stanislao Kostka, patrono della Polonia e primo beato della Compagnia di Gesù.


 In alto si possono apprezzare le vetrate nelle finestre ad ogiva schiacciata, questo tipo di
arco viene ripreso nelle cinque arcate sorrette da pilastri a fascio che dividono l'interno in tre navate.


La vetrata all'ingresso rappresenta la Natività e la visita dei Magi.

Ingresso in via Besenghi.

Le foto, dove non diversamente indicato, sono di Margherita Tauceri.

Fonti:
"San Vito" di Alfieri Seri Sergio Degli Ivanissevich
"Le Chiese di Trieste" di Giuseppe Cuscito
Sito ufficiale della Diocesi

sabato 29 agosto 2015

Tomba collettiva caduti I Guerra Mondiale nel Cimitero di Sant'Anna

Un piccolo monumento funebre, in un angolo nascosto del XIX campo del Cimitero di Sant'Anna  raccoglie le spoglie di alcuni dei tanti triestini caduti durante la prima guerra mondiale vestendo l'uniforme austro-ungarica.

Qui riposano solo quanti ebbero la (relativa) fortuna di essere precedentemente sepolti nel Cimitero Militare di Trieste, da cui furono qui traslati negli anni '70.
La maggior parte invece si trova altrove, soprattutto in sperduti cimiteri militari in Galizia.

Qui si trovano anche "resti di marinai della Corazzata Wien"; nell'affondamento della SMS Wien nel Golfo di Trieste, il 10 dicembre 1917, perirono 33 marinai.
I loro resti furono recuperati nel corso di lavori di smembramento del relitto, tra il 1953 ed il 1955.












venerdì 21 agosto 2015

"Garofolini"

Sono delle bitte settecentesche in pietra bianca del Carso, con un ringrosso a forma di fungo nella parte terminale, che venivano chiamate "garofolini " o "garofolo" o "garofulin", si tratta comunque di termini del dialetto triestino che non trovano una corrispondenza specifica nei termini nautici della lingua italiana.


I "garofolini" superstiti lungo il Canal Grande

Le bitte erano alte circa un metro ed interrate per il doppio della loro altezza.
Si trovavano in Ponterosso, dove è possibile vederle tutt'ora, e servivano per legare i cavi d'ormeggio dei velieri che un tempo entravano nel Canale, ma erano posizionate anche lungo le rive e sul Molo San Carlo, oggi Molo Audace, prima alternate e poi sostituite dalle bitte in ghisa.




 Il Canale Grande: realizzato nel 1756 per facilitare il trasporto delle merci via mare era praticabile da grosse imbarcazioni a vela che venivano ormeggiate sulle bitte poste lungo le rive per poter scaricare le loro merci direttamente nei magazzini. Ancora oggi, lungo le rive del canale,si possono vedere diversi esemplari di bitte in pietra.


Riva Carciotti, oggi Riva III Novembre. In primo piano uno dei "garofolini", a lato  il palazzo fatto costruire dal mercante di stoffe greco Demetrio Carciotti su progetto di M. Pertsch.


Sul Molo San Carlo, dal 1922 Molo Audace, ripreso in un momento di grande attività, si possono notare le bitte in pietra, sulle quali vengono assicurate le gomene dei bastimenti ormeggiati per le operazioni di carico e scarico delle merci. Ai lati sono posizionati i fanali a gas, montati su delle basi in pietra che fungono da bitte.



lunedì 17 agosto 2015

El muretto de via Molin a Vento e i "Jaka Bibi"

A sinistra via della Tesa, al centro il muretto di via Molino a vento.
Foto collezione Antonio Paladini

Il muretto di via Molino a Vento, che sostiene il terrapieno e funge da parapetto verso la strada che un tempo si chiamava via della Tesa e oggi è denominata viale G.D'Annunzio e più avanti Largo Sidney Sonnino, era una pittoresca sartoria-bazar, un campionario di mode passate, robe smesse, scarpe consunte, cappelli, colli e cravatte. Le donne, ai piè del muretto rammendavano, toglievano macchie, lucidavano le scarpe, spazzolavano, cercavano di valorizzare la mercanzia. Si trovavano abiti da lavoro e da passeggio, da marinaio, da ciclista, da amazzone, marsine e molto altro. La piana del muretto diventava una "scanzia", dove venivano esposti cappelli di ogni tipo ed ai piedi del muretto una parata di scarpe e stivaletti.
Dalmati, montenegrini e bosniaci, chiamati dai triestini "Jaka Bibi", arrivavano in città con i loro costumi nazionali, che venivano lasciati al "bazar" di via Molino a vento dove acquistavano degli abiti che gli avrebbero permesso di fondersi con il resto dei cittadini. Le venditrici erano anche abili sarte, sempre assistite da "Siora Maria delle strazze", direttrice energica e sbrigativa, che con la sua esperienza dava suggerimenti alle sue lavoranti mentre queste aiutavano gli acquirenti a scegliere gli abiti delle misure giuste. Le prove erano fatte all'aperto, sulla strada, per cui veniva adottata la tesi secondo la quale l'ampiezza delle braccia corrispondesse alla lunghezza delle gambe così, dopo aver fatto allargare le braccia, venivano divaricati i pantaloni e controllavano se le misure corrispondevano. All'occasione venivano accorciati, mentre per allungarli veniva scucita la balza o si utilizzavano stoffe affini. Le calze venivano misurate avvolgendole attorno al pugno, se punta e tallone si toccavano, la misura era quella giusta. Questo sistema di misurazioni è continuato, in vari negozi, per molti anni è mi ha coinvolto personalmente quantomeno sino agli anni '60.


Via Molino a Vento con "el mercato delle strazze" e la vivace attività dei rigattieri.
Foto collezione Antonio Paladini


Jaka Bibi

I triestini, che non conoscevano il significato di questo termine, chiamavano con questo nome tutti coloro che arrivavano in città indossando un costume nazionale, o anche solo qualche parte di esso, come turchi, greci, albanesi ..., ma, in modo scherzoso, lo stesso termine veniva usato anche verso gli stessi cittadini che vestivano in modo stravagante.
Probabilmente il nome è stato importato dai marittimi, che lo avevano sentito ripetere dagli arabi che tentavano di vendere loro la mercanzia, e il significato sarebbe "caro mio".


Misurazione dei pantaloni per un "Jaka Bibi"
Disegno di Adolfo Leghissa, tratto da "Trieste che Passa"


Fonti:

"Trieste che passa" Adolfo Leghissa
"Din, din. Chi xe?" Livio Grassi

sabato 15 agosto 2015

Chiesa di San Sebastiano e San Rocco


Via San Sebastiano con l'omonima chiesa a destra il Palazzetto dei Leo attuale sede del Museo d'Arte Orientale - foto datata 3 agosto 1936  collezione Cosimo Sisto



Una prima chiesa dedicata a San Sebastiano fu edificata nel 1450 dal vescovo Enea Silvio Piccolomini (nel 1458 divenuto papa con il nome di Pio II), grazie a un lascito del 3 febbraio 1447, fatto dal suo predecessore vescovo Nicolò de Aldegardis, per l'edificazione di una chiesa dedicata a questo Santo, al quale il prelato era molto devoto, tanto da far incidere l'immagine nel proprio sigillo vescovile, ma causa l'imperversare della peste si attese qualche anno per l'edificazione. Il patronato di questa chiesa fu concesso al patrizio Antonio de Leo.
L'edificio ebbe breve vita, tra il 1511 e il 1543 periodi in cui imperversavano le epidemie, la chiesa venne sconsacrata e forse temendo che l'edificio fosse contaminato fu demolita.

Riguardo alla possibilità che ci fosse stata una precedente chiesa dedicata a san Sebastiano costruita dalla confraternita di San Paolo, è pervenuta solo la notizia di una concessione del Comune nel 1365 per la costruzione di un edificio sacro in contrada Cavana sul fondo "dannato e vacuo" dei Ranfi,  senza alcuna testimonianza dell'avvenuta costruzione e precisa collocazione; la proprietà dei Ranfi infatti non viene riportata in alcuna mappa, dopo la condanna la loro casa fu rasa al suolo e l'area cosparsa di sale, con l’obbligo di mantenere il terreno libero, a perpetua memoria dell’accaduto.
Su dove sorgesse tale casa gli storici hanno prodotto varie ipotesi, che la vedono prevalentemente collocata al NT 207,  in piazza Cavana all'angolo della contrada dei Cavazzeni, un'area diversa da quella in cui la chiesa venne fatta edificare dal Vescovo Enea Silvio Piccolomini.

3 agosto 1936 via San Sebastiano ripresa da via Pozzo del Mare 
 collezione Cosimo Sisto

La chiesa, dedicata ai Santi Sebastiano e Rocco, fu costruita nel 1543 sul fondo del dr. Antonio de Leo, nipote dell'omonimo patrizio, dove era anche edificata la sua casa (oggi civico Museo d'Arte Orientale).
 Nell'anno 1694 in questa chiesa venivano conservati "i sacramenti per i moribondi", per somministrare i quali il vescovo Giovanni Francesco Miller  deputava il sacerdote don Stefano Knes o Chinese[1]. L'edificio sacro venne restaurato nel 1749.
I de Leo ebbero titolo di Rettori fino alla soppressione della stessa a seguito del decreto di Giuseppe II del 24 giugno 1782, venne chiusa nel 1784 e successivamente venduta all'asta assieme alla adiacente casa del cappellano, fu acquistata il 17 agosto 1785 dal barone Francesco Vito de Zanchi, patrizio fiumano stabilitosi a Trieste nel 1777, che la convertì in abitazione con annesso magazzino, sopra l'architrave di quest'ultimo è incisa l'iscrizione - QVID RETRIBVAM DOMINO.
La casa che fungeva da canonica aveva l'ingresso nell'androna dei Coppa, sulla chiave di volta dell'arco ancora oggi si può vedere uno stemma in pietra con due cuori fra le volute ed incisa la data del 1737, questa potrebbe corrispondere ad un rifacimento su una costruzione precedente, in quanto durante gli scavi fatti dopo la soppressione della chiesa ci furono dei ritrovamenti che fanno supporre la presenza di un antico sacello.

Particolare del portale in androna dei Coppa n 1 con dell'arco in bugnato, sulla chiave di volta lo stemma a rilievo.

I lavori di adattamento fatti dal barone portarono importanti modifiche alle facciate e agli interni della casa, per cui risultò difficoltoso ricostruire la configurazione originale. Fra le altre cose trovo interessante segnalare che all'interno, sul pianerottolo del primo piano furono trovate due piccole pile per l'acquasanta ed un affresco che raffigurava S. Sebastiano, quindi si può presumere che in quella stanza risiedesse la Confraternita di San Sebastiano e Rocco e che un corridoio la collegasse alla chiesa.

In primo piano l'ex canonica addossata alla chiesa di San Sebastiano e San Rocco, a sinistra l'androna dei Coppa con l'ingresso dell'edificio - Foto datata 3 agosto 1936 collezione Cosimo Sisto - 

  I primi anni del '900 l'edificio passò in eredità al conte Laval Nugent, alla sua morte, avvenuta nel 1923, tutti i beni vennero trasmessi alla figlia, la baronessa Margherita Nugent Laval, che affittò questi spazi a commercianti e privati cittadini e nel 1951 lasciò l'immobile al sindaco Bartoli a condizione che la chiesa venisse riaperta al culto pubblico [2].

Con il decreto del 22 maggio 1959 della Soprintendenza ai Monumenti, Gallerie e Antichita' di Trieste, ritenuto l'edificio di notevole interesse artistico e storico viene sottoposto a tutela.



Descrizione dell'edificio sacro
A destra del presbiterio si trovava un campanile, sulla facciata nello spazio fra le due finestre, si trovava un affresco che rappresentava i due Santi sopra si può vedere il fregio con la conchiglia [3] simbolo di San Rocco [4].
Internamente erano prese
nti tre altari in legno: il maggiore dedicato ai due Santi, accanto al quale, a terra, era posta una lapide romana collocata in precedenza nel muro esterno della chiesa precedente, e altri due, più piccoli, ai lati, uno dedicato a San Rocco, patrono degli appestati, e l'altro a Santa Barbara. A quest'ultimo era aggregata la confraternita dei civici bombardieri, che il 4 dicembre festeggiavano la Santa con una messa solenne e spari e mortaretti.

Quando a poca distanza, in Piazza Grande, addossata alla chiesa di San Pietro apostolo, nel 1602 fu costruita la chiesa di San Rocco si scemò la frequentazione chiesa che ora veniva chiamata  "chiesa vecchia di San Rocco" o semplicemente "chiesa di San Sebastiano".

L'ex chiesetta per un periodo fu sede della succursale della tintoria e pulitura a secco Pietro Antonio Braida, fondata il 14 marzo 1826, lo stabilimento centrale con i laboratori si trovavano in Barriera Vecchia 9. Foto collezione Cosimo Sisto

Foto P. Opiglia aprile 1910 CMSA

Chiesa di San Sebastiano e San Rocco ripresa prima della ristrutturazione. Sotto le finestre la vecchia insegna del negozio di casalinghi "Cesca" 
Foto Sergio Sergas

Passaggio di proprietà
L'ultima giunta Dipiazza [5] nel 2011 vendette alla curia, per 325.000 euro, la chiesetta di via San Sebastiano n°3, con la clausola per cui il denaro incassato dal comune avrebbe dovuto essere utilizzato per restaurare altre chiese.

Ristrutturazione
Nel 2015 l'edificio nascosto dalle recinzioni del cantiere fa pensare che siano iniziati i lavori di ristrutturazione ma, il 18 maggio dello stesso anno, don Pier Emilio Salvadè, vicario generale ed economo della Diocesi, dichiara che per ora sono stati commissionati solo lavori di pulizia e di messa in sicurezza, per il restauro e la consacrazione della chiesa si dovrà aspettare l'esito di una richiesta di finanziamento fatta al comune e la generosità dei fedeli.
I tempi previsti per il restauro non sono stati rispettati, hanno inciso le interruzioni dovute alla mancanza di fondi e, nel maggio del 2016, la sospensione degli scavi dovuta al rinvenimento di alcuni segni che denotano la presenza di edifici del periodo medioevale, [sono stati individuati setti murari, strutture articolate in vani quadrangolari e diversi livelli pavimentali in lastre o scaglie di arenaria,  anche ceramica relativa al XIII - XVI secolo e frammenti di vetro].
Pare che la ricerca sia stata archiviata, dei ritrovamenti non si hanno altre notizie e vengono riprese le opere di restauro degli edifici.
Si arriva alla fine del giugno 2018, al pianterreno viene inaugurato uno spazio commerciale affittato alla catena "Tulipano", un negozio con un assortimento di prodotti per l’igiene personale, profumi e detersivi, con l'obiettivo di utilizzare gli introiti derivati dal canone quale contributo per il prosieguo dei lavori, perché anche se su via San Sebastiano spiccano le eleganti facciate rinnovate, internamente i lavori devono proseguire.  
Alla fine dello stesso anno viene comunicata dal  Vescovo Monsignor Giampaolo Crepaldi l'intenzione di dedicare il primo piano dell'edificio a una cappella, nella quale sarà valorizzato e disposto in modo che diventi oggetto di pubblica devozione il quadro della Vergine Addolorata, opera ottocentesca di modeste dimensioni (62 x 75 cm) realizzata da Luis Ferrant y Llausás (Barcellona 1806 - Madrid 1868) davanti alla quale il 30 aprile 1945 il Vescovo Santin si raccolse in preghiera e fece un voto prima di salire al Castello per trattare con il comando nazista [6] e fino a quel momento custodita nel palazzo vescovile.

Particolare della pala realizzata dal pittore Oleg Supereco con la tela della Vergine Addolorata

Il progetto viene assegnato al pittore russo Oleg Supereco con la proposta di una particolare pala d'altare dalle misure indicative di 220 per 300 cm, nella quale l'artista prevede di rappresentare, a olio su tela, i santi martiri della città (Giusto, Sergio, Servolo, Eufemia e Tecla), che sorreggono il dipinto della Vergine Addolorata, che sarebbe quindi integrato nella pala stessa. Per la realizzazione di quest'opera la Diocesi ha chiesto un contributo al Comune, dopo qualche incertezza e lunghe discussioni il 10 dicembre del 2018 il Consiglio Comunale ha deliberato [7] la concessione di un contributo straordinario di 28 mila euro al fine di valorizzare il palazzo e la chiesa, di ottemperare a quanto disposto nell'atto di donazione dell'immobile dalla contessa Margherita Nugent Laval e arricchire il patrimonio culturale della città.

Nella pala del pittore Oleg Supereco, posta alle spalle dell'altare, vengono rappresentati i Santi Giusto, Servolo, Eufemia, Tecla con in mano la palma e inginocchiato San Sergio con l'alabarda, raccolti accanto al dipinto della Vergine Addolorata.

Dopo tanti anni di cantiere, un cambiamento alla direzione dei lavori che in fase finale vede incaricato l'architetto Eugenio Meli e spese che hanno superato le previsioni, nella primavera del 2020 viene aperta una struttura ricettiva all'interno dell'immobile, con ingresso nell'androna dei Coppa, che finora ha sofferto per le restrizioni dovute al Covid19.

Restituzione dell'edificio al culto
Nel febbraio 2021 la cappella, che è stata realizzata con il contributo di imprese, donazioni private, l'8 x 1000, completata dagli arredi e dalle tele del pittore moscovita Oleg Supereco, viene presentata dal Vescovo Monsignor Giampaolo Crepaldi in un servizio televisivo, dove con grande intensità illustra le opere, facendo trasparire l'emozione di veder realizzata la cappella dedicata alla "Madre della Riconciliazione" da lui fortemente voluta, e spiega i motivi che lo hanno portato a scegliere questo nome: Trieste, città martoriata che ricorda gli orrori delle barbarie subite nella  Risiera di San Sabba e nella Foiba di Basovizza, ora può ritrovare un nuovo impulso sulla strada già intrapresa della speranza, della pace e della riconciliazione grazie all’intercessione di Maria.

La benedizione e la prima messa celebrata Mons. Giampaolo Crepaldi il 19 marzo 2001
Foto di Luca Tedeschi per la Diocesi di Trieste

La prima messa privata è stata celebrata da Mons. Giampaolo Crepaldi il giorno della ricorrenza di San Giuseppe, data del ventennale della sua Ordinazione episcopale avvenuta il 19 marzo 2001, a questa avrebbe dovuto seguire l'inaugurazione ufficiale della Cappella il 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, ma non è stato possibile causa il difficile momento dovuto alla pandemia da Covid 19 e alle conseguenti restrizioni.

L'ex chiesa dedicata ai Santi Sebastiano e Rocco dopo il restauro che ha coinvolto anche la canonica.

L'edificio ormai ristrutturato con al pianterreno il punto vendita della catena Tulipano, inaugurato nel giugno del 2018, come si vede nelle foto precedenti, gli ambienti a livello della strada da tempo erano dedicati ad attività commerciali, come la succursale della tintoria e pulitura a secco Pietro Antonio Braida e il negozio di casalinghi "Cesca".


Descrizione della Cappella Madre della Riconciliazione.
Si accede alla cappella dalla via San Rocco attraverso un portone in legno scuro con specchiature e forme geometriche che ricordano la croce, appena salita la prima rampa di scale mi trovo di fronte al "Battesimo di Gesù" di O. Supereco, dalla prima opera comprendo l'originalità dell'artista, Gesù, che occupa l'asse mediano del quadro, viene ripreso di spalle, dietro un energico Giovanni Battista.

"Il Battesimo di Gesù" di O. Supereco
Foto di proprietà della Diocesi di Trieste


Oltrepassata la porta trovo un ambiente accogliente e armonioso che trasmette una sensazione di pace e calore, il pavimento in marmo chiaro e le pareti bianche contrastano piacevolmente con il legno scuro degli arredi sacri: l'altare, il tabernacolo, l'ambone, le sedute, i banchi [8], un organo di piccole dimensioni realizzato dalla rinomata ditta Zanin (Codroipo Ud) e un'antica croce astile in lamina d'oro e d'argento con i simboli dei quattro evangelisti circondati da un'elaborata lavorazione a sbalzo. 






Nella parte alta del vano risulta visibile quanto è stato conservato del cornicione, con parte dei capitelli dell'antica chiesa.




Le finestre, impreziosite da vetrate colorate[9] con i toni caldi dell'ocra gialla, fanno trasparire una luce morbida, quella rivolta verso via Pozzo del Mare riporta l'immagine sacra di Gesù su vetro sabbiato, dietro a questa verrà posta una luce sempre accesa che renderà l'edificio sacro riconoscibile anche da piazza Unità. 

Recto e verso dell'antica croce astile 

Lo spazio liturgico è decorato da tele dipinte a olio che narrano episodi della vita di Gesù realizzate da Oleg Supereko [traslitterazione dal cirillico], che qui si firma Supereco non volendo utilizzare in Italia lettere non proprie del nostro alfabeto, un artista moscovita di fama internazionale, autore di numerose opere d'arte sacra, tra le quali il ciclo di affreschi presso la Cattedrale di Noto in Sicilia.   

Il pittore nel suo studio mentre realizza la tela della "Natività", sul cavalletto il bozzetto dell'opera.
Foto tratta dal sito di Oleg Supereco


L' Atelier del pittore (che si trova a Casale del Sile in provincia di Treviso) è un luogo di ispirazione e creazione, che per la sua notevole produzione appare ingombro di tele, pennelli, diluenti, colori e altri strumenti del mestiere; le varie fasi di realizzazione del suo lavoro vengono rivelate dai numerosi schizzi, abbozzi e bozzetti definiti con precisione per le opere di grandi dimensioni, dettagli che ancora una volta dimostrano la professionalità, unita a dedizione e passione di questo artista.
Nella pittura usa la forza comunicativa del linguaggio figurativo, predilige i temi religiosi, ma la sua produzione comprende anche ritratti e paesaggi. Le opere hanno per protagonista il corpo umano, definito con notevole perizia anatomica e un'evidenza plastica.



Sulla parete di fondo della cappella, ai lati della porta a vetri, due tondi rappresentano "l'Annunciazione", uno racchiude l'Arcangelo Gabriele, dipinto con toni tendenti all'oro, che si rivolge a Maria, ritratta nell'altra opera, merita soffermarsi a osservare il grande valore comunicativo della gestualità delle mani.

San Rocco con i simboli iconografici:  il bastone rappresenta il faticoso cammino, il mantello per proteggersi dalle intemperie e il cane che lo sfamò portandogli il pane quando contrasse il morbo della peste.


San Sebastiano coperto da un panneggio con la freccia che sta penetrando il corpo 

Lungo la parete di sinistra due tele con i Santi Rocco e Sebastiano ricordano la primitiva titolazione della chiesa, rappresentati con grande realismo e un'attenta cura dei particolari, come in tutte le sue opere i panneggi sono resi con maestria attraverso la precisa definizione di luci e ombre nelle pieghe.

Sulla parete alle spalle dell'altare, dove converge lo sguardo dei fedeli, è collocata la pala che vede nella parte centrale la tela della Madonna Addolorata, della quale ho già menzionato il significato storico.



Le due tele tele rappresentano la "Via Crucis"
Foto di proprietà della Diocesi di Trieste

Sulla parete destra due grandi tele, separate da una nicchia dove trova posto l'organo, rappresentano le stazioni della Via Crucis in modo inedito, con una successione di scene che rievocano il doloroso percorso di Cristo verso la Sua crocifissione, la drammaticità degli avvenimenti si legge nei volti, nei gesti e nei colori pacati della tela.





Alzando lo sguardo al soffitto si scorge una lunetta con il tema della natività.

Foto di proprietà della Diocesi di Trieste

Al centro una tela circolare di grandi dimensioni rappresenta "la Pentecoste" con la discesa dello Spirito sulla Vergine e gli Apostoli, le figure con il fisico ben tornito e muscoloso disposte a corona con le braccia protese verso l'alto si staccano dallo sfondo monocromo,



Un'altra lunetta riproduce la resurrezione di Gesù, ponendone al centro il corpo risorto nell'atto di protendersi verso il cielo e investito da una potente luce.




NOTE
[1] Nome riportato da Pietro Tomasin , mentre nella "Passeggiata storica per Trieste" di A. Tribel, si trovano i nomi di Don Stefano Chenes e del vescovo Müller.

[2] Nell'atto di donazione dell'immobile Margherita Nugent Laval indicava: "che nell'edificio n civ.3 di via San Sebastiano, vano, cripta e facciata, sia ripristinato, nell'ampiezza, nelle forme e nello stile originario del tempo in cui fu soppressa la Chiesetta o Cappella di San Rocco risp. dei Santi Rocco e Sebastiano possibilmente con gli arredi sacri che vi erano contenuti ad uso del culto e di ornamento, se fossero altrove rintracciabili, e riconsacrata a San Rocco, sia, a cura del donatario, riaperta al culto"

[3] I segni distintivi dei pellegrini cristiani del medio evo, erano un bastone, un sacco, un cappello a larghe falde, il mantello corto con la pellegrina adornati da conchiglie o meglio le valve della capasanta, nota anche anche come pettine di mare e pettine di San Giacomo (nome scientifico: Pecten Jacobaeus).

[4] Il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379.

[5] Delibera Giunta Comunale n 201 - 09/05/2011.

[6] Per evitare che il comando tedesco asserragliato nel castello di San Giusto  distruggesse il porto prima di lasciare la Trieste.  Riguardo al voto fatto alla Madonna riporto quanto annotato nel diario del Vescovo Monsignor Antonio Santin:
 “Qui sull’altare della mia cappella, davanti al S.S. Sacramento, oggi 30 aprile 1945, festa di S. Caterina da Siena, Patrona d’Italia e apertura del mese di Maria, alle ore 19.45 in un momento che è forse il più tragico della storia di Trieste, mentre tutte le umane speranze per la salvezza della Città sembrano fallire, come Vescovo indegnissimo di Trieste mi rivolgo alla Vergine Santa per implorare pietà e salvezza. E faccio un voto privato e un voto che riguarda la città. Questo secondo è il seguente: se con la protezione della Madonna Trieste sarà salva, farò ogni sforzo perché sia eretta una chiesa in suo onore.
Dopo quell'incontro la città fu risparmiata e in seguito a quella promessa il 19 settembre 1959 fu posta la prima pietra del Tempio Mariano di Monte Grisa.    

[7] Delibera n°60 del Consiglio Comunale 10/12/2018.

[8] prodotti dall'Azienda di arredi sacri Pilosio Snc Tricesimo UD

[9] prodotte Arte Poli


Bibliografia:
"Passeggiata storica per Trieste" Antonio Tribel 
"Reminiscenze storiche di Trieste dal secolo IV. al secolo XIX" Canonico Pietro Tomasin.
"Borgo Giuseppino" F.Zubini
"Cittavecchia" F. Zubini
 "Trieste Antica e Moderna" E. Generini.
"Il Piccolo"  19 maggio 2015.
"Il Piccolo"   8 febbraio 2016
"Il Piccolo"   13 maggio 2016.
"Il Piccolo"    7 aprile 2017
" Il Piccolo"  14 novembre 2018
"Il Piccolo"   28 maggio 2018
"Il Piccolo"   1 marzo 2021
"La Cappella Madre della Riconciliazione" Vescovo Monsignor Giampaolo Crepaldi